Dopo i successi alle amministrative e al referendum il discorso pubblico progressista è esploso come un tappo di champagne. Gli stessi che per anni avevano fomentato un racconto disfattista del nostro Paese si sono trasformati nei cantori della nuova Italia.
Un´Italia risorta dalle ceneri del berlusconismo, dato all´improvviso come spacciato. Delle due l´una: o sbagliavano allora, descrivendo un popolo diviso tra anime morte, asservite al Cavaliere, e un manipolo di resistenti senza macchia e senza paura, o sbagliano adesso decantando le magnifiche sorti e progressive di un´inarrestabile primavera italiana. In realtà c´è una terza possibilità, quella più urticante: che sbagliassero ieri e oggi, pretendendo di dividere la complessità della realtà nazionale in bianco e nero, apocalittici o integrati, resurrezione o consunzione. In questo discorso pubblico si possono distinguere due filoni principali. Quello egemone ha interpretato il doppio successo in modo tradizionale, come una vittoria della società civile contro i partiti, della politica autorganizzata «da quattro o cinque amici» contro i «politicanti di ogni risma e “giornalisti” spesso più politicanti dei politicanti» (copyright dell´antipoliticante Flores d´Arcais). I primi necessariamente puri e duri, i secondi destinati a morte sicura.
Tale lettura nasce nel corso degli anni Ottanta a destra, tra le pagine di politologi insigni come Gianfranco Miglio e Nicola Matteucci, ma si è progressivamente spostata a sinistra, offrendo il sogno di una scorciatoia carismatica e l´idea del partito come foglia secca da spazzare via. In questo modo si è nutrita trasversalmente una spoliticizzazione del pensiero democratico alla cui analisi ha dedicato di recente un libro importante Geminello Preterossi, La politica negata (Roma-Bari, Laterza). All´interno di tale filone la società civile è esaltata a prescindere contro il palazzo e la casta. La trasmigrazione da destra a sinistra di questa ideologia post-politica è il frutto più amaro del fallimento della stagione dei movimenti degli anni Settanta e si iscrive dentro una critica al principio della rappresentanza.
Si tratta di una lettura vecchia, affermatasi nel biennio 1992-1993 con la sua teoria della supplenza (dei magistrati, dei tecnocrati, degli imprenditori, dei cittadini), che ha accompagnato il crollo della prima Repubblica e poi ha contribuito a determinare il successo di Berlusconi. Si parla di egemonia a ragion veduta perché quanti hanno proposto questa interpretazione si sono saldati con gli attendisti, ossia con coloro i quali hanno prosperato nella svalutazione della politica, la principale opzione su cui Berlusconi ha costruito la propria vittoria. Né di qua, né di là, ma in mezzo, a pedalare con ardore per cercare di tenere la bicicletta in piedi, ieri denunciando l´insufficienza dell´opposizione, oggi esaltando le ragioni della società civile contro la casta corrotta perché così si resta sempre a favore di vento. Con una formula si potrebbe dire che il berlusconismo è stato spirito padronale più il puntello del terzismo, una miscela che ha prodotto come reazione l´ossessione anti-berlusconiana. In una fase di crisi del blocco sociale e politico berlusconianleghista, le due minoranze si stanno dando la mano, sostenendosi a vicenda perché il mondo vecchio, nel quale avevano prosperato, non regge più, ma quello nuovo non nasce ancora. L´egemonia di questo posizionamento pubblico deriva da siffatta alleanza implicita tra chi è contro il palazzo e chi è contro la casta, in cui ci si dimentica che se tutti rubano nessuno ruba e se tutti sono dei corrotti nessuno lo è: il discorso così impostato produce irresponsabilità individuale alimentando una fuga dalla politica che è diventato senso comune ed è il prerequisito per l´affermazione, nuova e ventura, di un´altra destra.
Il secondo filone ritiene che la ricostruzione di questo Paese possa avvenire intorno a una rivalutazione della politica che rinnovi anche la forma partito. Alla base c´è la proposta di un accordo paritario con la società civile. Indica un percorso chiaro e nuovo: dalla contrapposizione all´alleanza puntando sul rinnovamento degli strumenti della mediazione e della partecipazione volontaria, dai partiti alle associazioni, dai comitati civici ai corpi intermedi laici ed ecclesiastici, con tutti gli strumenti possibili, dalle nuove tecnologie alle forme tradizionali di militanza e di formazione che sarebbe miope vedere in antitesi: hard power e soft power connessi insieme.
Il progetto di un´alleanza e di un risveglio civile rappresenta una sfida in grado di modificare i vecchi equilibri di potere e proprio per questa ragione viene osteggiato. Esso può rappresentare il propellente di un nuovo impulso riformatore, di un “disturbo” che tutti in Italia auspicano a parole, ma nessuno vuole veramente, preferendo una politica sotto schiaffo e screditata. Da soli o, peggio contrapposti, sia gli uni (i partiti) sia gli altri (la società civile) finirebbero per perdere di nuovo entrambi.
La Repubblica 30.06.11