Quattro dita della mano destra alzate, tanto per rinforzare il concetto e sul volto un sorriso beffardo per accompagnare meglio la sentenza sul retropensiero che si cela dietro una «spalmatura» così sbilanciata negli anni di questa gigantesca manovra da parte del governo: «E’ chiaro – taglia corto Pierluigi Bersani mentre si accende un mezzo toscano nel cortile di Montecitorio – che temendo di perdere le prossime elezioni, ci vogliono lasciare un regalino di 40 miliardi di euro per il 2013-2014. Vuol dire che aspettano se ne occupi qualcuno più bravo di loro… Così non è una cosa seria». Malgrado questa consapevolezza il leader Pd non sembra angosciato da quel fantasma che aleggia sul capo delle sue guarnigioni e cioè che se il centrosinistra vincesse al prossimo giro dovrebbe farsi carico dello sforzo più grande. Piuttosto, così come Casini che tuona contro «l’ultimo atto di irresponsabilità in cui prevalgono le furberie», Bersani sembra preoccupato per la figura che possiamo fare in Europa, anche «se Tremonti può andar lì a promettere che si faranno una serie di cose indicando magari pure gli anni… Ma comunque, per ridurre seriamente il debito bisogna far ripartire la crescita con una serie di misure ad hoc, altrimenti che facciamo, aspettiamo che nel 2013 si compia il miracolo di un aumento del Pil del 10%?».
Nello stesso tempo Bersani non crede sia in atto qualche «complotto» per buttar giù Tremonti, «perché è evidente che stanno cercando di tenere insieme tutto per tirare avanti. Non penso neanche che lui abbia intenzione di mollare, anche se è evidente che hanno difficoltà a reggere questa operazione nel paese». Ma in una pausa dei lavori della Camera, impegnata ad approvare la legge comunitaria con appena nove mesi di ritardo, il leader del Pd, pur liquidando come «una farsa drammatica» le prime indiscrezioni sulle misure allo studio, non esclude a priori un atteggiamento possibilista, meno marcato di quello del Terzo Polo «pronto a sostenere le misure del governo antideficit a condizione che siano credibili ed efficaci». E ancor meno marcato di quello di Tonino Di Pietro in versione dialogante che non chiude la porta in faccia al governo con il suo «vediamo il testo prima di dire sì o no». E in ogni caso Bersani mette le mani avanti, ben sapendo di avere i fucili della sinistra puntati contro («l’opposizione bocci senza appello la manovra truffa evitando tresche notturne», avverte il braccio destro di Vendola, Gennaro Migliore), stando ben attento a non dare la sensazione di voler firmare cambiali in bianco su nulla: «Se vi fossero dei provvedimenti che ci sembrassero giusti potremmo anche valutarli. Intanto aspetto di leggere i testi, ma da quel che sento non vedo il coraggio di affrontare i veri problemi. Non ci mettiamo lì a condividere una manovra con loro, anche perché se siamo a questo punto vuol dire che in questi anni hanno sbagliato più di qualcosa». Presenterete una contromanovra? «Noi abbiamo le nostre proposte, sul fisco, pubblica amministrazione, giustizia civile, se vogliono discutiamo quelle». E come vi regolerete sui costi della politica? «Ma, vedo che hanno ripreso la nostra proposta sui vitalizi e sul bisogno di uniformare i livelli retributivi ai parametri europei. Vedremo come la scriveranno ma quello che mi fa arrabbiare è che ora parlano di aerei blu! Se lasciavano in vigore la circolare Micheli fatta dal governo Prodi non sarebbero aumentati i voli di stato in quella misura…»
Bersani non è neanche intenzionato a presentare una contro-manovra, «perché non ci fanno vedere i conti veri e sono pure curioso di capire come finisce il dibattito tra rigoristi e non. Hanno preso la spending review di Padoa Schioppa e l’hanno buttata dalla finestra, ora parlano di nuovo di spending review. Ma è da persone serie?». Certo, si capisce come il bisogno di una mediazione con i leghisti restii a far digerire sacrifici al popolo padano, induca il governo a ripartire in modo soft il peso della manovra allontanando il carico negli anni a venire. «Se gli accordi sono questi è normale che la Lega esca tranquilla ma gli italiani lo sono meno perché in questo momento sono in mano a nessuno». E quindi a chi obietta che con una manovra da fare non si potrebbe aprire una crisi di governo «al buio», il leader Pd ribatte che «il buio è adesso ed è meglio una scossa e andare a votare subito, di fronte alla testarda volontà di questo governo di sopravvivere senza però riuscire a fare nulla».
La Stampa 29.06.11