Sono mesi che il ministro dell’economia, nell’intestarsi il merito di aver preservato l’Italia dagli effetti devastanti della crisi e di aver saputo mantenere al riparo i conti pubblici italiani, sostiene di averlo fatto preservando la coesione sociale. Sono anni che Berlusconi prima e Tremonti poi vanno dichiarando che l’Italia sta meglio di altri paesi, che in fondo da noi la crisi economico-finanziaria più brutta degli ultimi secoli ha avuto un impatto limitato sul tessuto sociale del paese.
Ora però che, seppure in un arco temporale meno ravvicinato, il governo deve trovare e in fretta 43 miliardi di euro per raggiungere nel 2014 il pareggio di bilancio, la vernice con la quale finora si è artificialmente cercato di nascondere le crepe del sistema paese dovute alle mancate riforme sta venendo via. Con il risultato che mettere le mani nuovamente nelle pensioni appare la scorciatoia più facile.
Con un presidente della repubblica che ha definito un «impegno ineludibile e urgente quello di rafforzare la sostenibilità finanziaria del sistema-Italia, attraverso un incisivo abbattimento del debito pubblico», con le agenzie di rating che stanno mettendo sotto osservazione la credibilità del sistema Italia e i mercati che hanno messo sotto pressione i rendimenti dei titoli di stato italiani, la strada di una manovra strutturale appare obbligata.
E se per Confindustria l’intervento sull’età pensionabile anticipando al 2013 l’aggancio alle speranze di vita è necessario, così non la pensano i sindacati per i quali il tema della previdenza è un tasto che non va toccato. Almeno non per primo perché la previdenza ha già contribuito e, come ha insistito ieri il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni, prima di toccare le pensioni vanno tagliati i costi della politica, vanno tassati di più i beni di lusso, vanno aggrediti i costi delle amministrazioni.
L’avvertimento suona come una minaccia: «Lo diciamo chiaro al ministro Tremonti, vorremmo vedere se la classe dirigente è capace di autoriformarsi prima di chiamare gli altri alla riforma». Un no alla riforma previdenziale che ricompatta i sindacati. Cgil-Cisl-Uil non intendono consentire ad un governo, incapace di operare scelte di politica economica e fiscale, di fare cassa con il welfare.
Tanto più che l’anticipo al 2013 dell’aumento dell’età per l’accesso alla pensione legandolo all’aspettativa di vita porterebbe nei primi tre anni, ovvero fino al 2015, risparmi complessivi per 1,2 miliardi di euro. Se sull’aumento dell’età pensionabile per le donne nel settore privato a 65 anni è possibile trovare il consenso degli imprenditori, c’è da chiedersi come potrà un governo in crisi di consensi nel paese attingere nuovamente alla previdenza per sistemare i conti pubblici. Eppure, Tremonti ha bisogno di misure credibili e sull’efficacia dei tagli alla spesa pubblica, alla luce dell’esperienza degli ultimi dieci anni, non c’è più nessuno in grado di scommettere.
da Europa Quotidiano 24.06.11