Cos’è, cos’è diventato nell’Italia del 2011 un accordo di governo che prevede impegni e scadenze stringenti e un programma concordato da rispettare? Se Berlusconi si fosse posto subito, domenica, questa domanda, invece di tirare platealmente un sospiro di sollievo perché Bossi aveva scelto di nuovo la strada del «penultimatum», non si sarebbe trovato ieri a fare i conti con un alleato impossibile da accontentare e con il Capo dello Stato che richiama il governo alle proprie responsabilità.
Bastava semplicemente guardare con attenzione ciò che è successo sul pratone di Pontida e che molte tv, non la Rai, hanno trasmesso in tutte le salse. Un leader malandato, esausto, quasi privo di forze e del tutto a corto di argomenti, che appoggiandosi a malapena sugli altri oratori chiamati sul palco snocciola una serie di proposte alla rinfusa, roba trita e ritrita a cui lui stesso non sembra più credere.
Ma davvero Bossi ritiene ancora, dopo venti e più anni in Parlamento, che la gente del Nord beva la storiella del taglio dei parlamentari e dei loro stipendi? O che il problema delle auto blu si risolva consigliando ai ministri di comprarsi una macchina? Che Tremonti taglierà le tasse solo perché lui lo chiede e l’altro non può dirgli di no? E tralasciamo, per carità di patria, il computo delle mucche morte su cui l’Europa, secondo Calderoli, vorrebbe far pagare le multe e la Lega promette che non ci riuscirà.
Ma la cosa più grave è stato l’intervento di Maroni, fino a qualche tempo fa considerato il più istituzionale del gruppo dirigente della Lega, e ieri, e non solo ieri purtroppo, in tutt’altra veste. Può il ministro dell’Interno di un Paese che sta celebrando i 150 anni della sua storia unitaria inneggiare alla «Padania libera»? Può tacere davanti ai militanti che gridano «secessione»? Può dire che l’unico modo di fermare l’onda degli immigrati è por fine alla guerra con la Libia, il che equivale ad affermare che è meglio far soccombere i profughi alla più sanguinosa delle repressioni? E può ignorare che Berlusconi non ha il potere di fermare, e neppure di imporre un termine, all’intervento della Nato a Tripoli?
Invece di spiegare ai leghisti le difficoltà in cui si trova la Lega al governo, come avrebbe fatto un leader politico che, almeno nelle aspirazioni del suo partito, potrebbe in futuro ricoprire l’incarico di presidente del Consiglio, Maroni sorprendentemente s’è distaccato dal suo ruolo di ministro e s’è rimesso la camicia verde.
Se da presidente del Consiglio qual è si fosse posto queste domande – o anche una sola: la Lega è tuttora un partito di governo? – Berlusconi non avrebbe passato ieri l’ennesima nottata a cercare di rammendare la sua tela ormai troppo piena di buchi. Se ci avesse riflettuto su, avrebbe subito realizzato che il primo a essere stato danneggiato dalla mediocre messa in scena leghista è proprio lui, il premier che tiene così tanto alla sua immagine internazionale, che soffre più di tutto l’approssimazione, i rinvii, le brutte figure. L’«uomo del fare» alle prese con le mucche morte! Possibile? Possibile: e la cosa peggiore è che a Berlusconi è toccato pure far finta di niente per timore di appesantire il clima già incerto in cui si apre oggi la verifica in Parlamento.
E’ toccato così nuovamente al presidente Napolitano intervenire. La durezza dei suoi toni, la severità dei contenuti e l’urgenza con cui ha deciso di prendere la parola fanno intuire che le conseguenze della sceneggiata di Pontida sul piano internazionale stavano già propagandosi, e si era resa indispensabile una messa a punto degli impegni nei confronti degli alleati con cui l’Italia collabora nelle missioni di pace. Un’ennesima toppa, che terrà quanto potrà, visto che ormai il guaio è fatto. E che potrebbe essere smentita oggi stesso, se la Lega sulla Libia insisterà, come sembra, per mettere Berlusconi con le spalle al muro.
La Stampa 21.06.11