Quando più di un anno fa, nel mese di maggio del 2010, chiesi da queste colonne cosa ci facesse un tipo come Luigi Bisignani nelle stanze di palazzo Grazioli, ospite fisso munito di ogni comfort tecnologico e non solo, e quale ruolo esattamente avesse nello staff del Presidente del Consiglio ricevetti la mattina dopo, molto presto, quattro telefonate. Una era di un ex direttore di giornale che si congratulava, mi disse, per “aver avuto il coraggio di mettere il dito nella piaga”. Un’altra di una collega celebre e sempreverde, fonte occulta e abituale di un sito di regolamenti di conti, uno di quei posti on line dove chiunque fa sapere quel che non può dire in modo da poterlo poi “riprendere” come se fosse una notizia: chiedeva se ne sapessi di più. La terza di un parlamentare di lunghissimo corso di area una volta andreottiana. L’ultima, la più importante, direttamente da palazzo Grazioli via centralino del Viminale, la Batteria. “Mia cara signora mi disse costui per la stima che ho di lei mi permetto di metterla in guardia da eventuali errori. Non vorrei davvero che avesse a dolersene. Lei sa meglio di me quanto certi terreni siano insidiosi e fitti di trappole. Stia attenta a non farsi strumentalizzare, a non dar credito a voci denigratorie e interessate. Sarebbe un peccato: dovremmo fare a meno di una voce che è così importante, invece, nel nostro panorama”. Credo che non vi sfugga il sottotesto muto. Tempo dopo di Bisignani hanno cominciato a parlare in molti. Se cercate in rete trovate articoli dettagliatissimi che raccontano la sua storia e le sue amicizie. Da Licio Gelli, lo scopritore del suo talento, ai Ferruzzi e Tavaroli passando per lo Ior e quella celebre volta in cui fece transitare le tangenti Enimont su un conto corrente destinato ad un’associazione di bambini poveri. Trovate anche qualche nota di colore, come si dice in gergo: che sia stato legato da affettuosissima amicizia a Daniela Santanchè e in quanto tale sponsor della sua fulminea carriera, che sia una delle principali fonti (un’altra era il non da tutti compianto Francesco Cossiga) del sito Dagospia, quella pagina internet dove una compagnia di giro fa circolare allo stesso livello facezie e carte sporche, veline e foto di salotti in uno spaccato del Paese per nostra fortuna lontanissimo da quello che si è espresso nel voto di maggio e giugno, un paese di loschi potenti e affari di pochi esattamente quello che da qualche giorno sembra vecchio di trent’anni. Mummie, pterodattili. Pericolosissimi, certo, ma preistorici e destinati alla polvere. E’ questo l’effetto che fanno, del resto, certi dibattiti tv e certe riflessioni lette in queste ore: è come se in una settimana fossero passati dieci anni, come se da ieri a oggi tutto il resto fosse diventato in bianco e nero.
Certo prima o dopo sapremo con certezza dalle carte giudiziarie e dai processi in quale oscura trama fosse coinvolta la cosiddetta P4, la loggia di affaristi e facilitatori di negozi di cui Bisignani è accusato di far parte. Sentiremo tremare i vetri dei palazzi, se è vero e non ne dubito quel che mi diceva il mio quarto interlocutore. Aspettiamoci palate di fango, e forse peggio. Resta il fatto che il secondo livello di questa nuova impresa collettiva, quella culminata con il voto di 27 milioni di cittadini, è spazzare via le cricche, le mafie, le corruttele. Un’impresa titanica perchè il paese ne è infiltrato a tutti i livelli e a tutte le latitudini politiche, leggete le cronache di oggi. La corruzione è il cancro di questo sistema: lo dicevo l’altro giorno al ministro Fitto ricevendone in cambio insulti, eppure non facevo che ripetere le ultime parole da governatore di Mario Draghi. Non ci sarà crescita senza legalità. Non ci sarà lavoro nè futuro per i giovani che sono andati domenica alle urne finchè le leve del comando saranno nelle mani delle eminenze nere. Quelle che hanno l’ufficio a Palazzo Grazioli, per esempio, e nessuno ci ha ancora spiegato per fare che cosa, per conto di chi.
L’Unità 16.06.11