attualità, politica italiana

"Brunetta, il ministro in fuga dalla realtà", di Massimo Gramellini

L’Italia peggiore è quella che scappa. Dal mondo reale e dalle domande scomode, addirittura prima che siano formulate. Se qualcuno non avesse ancora capito perché la maggioranza dei cittadini ha voltato le spalle al governo, troverà nel filmino «Brunetta e la Precaria» la rappresentazione plastica di uno sfilacciamento arrogante. Siamo a Roma, a un convegno sull’innovazione, e il ministro ha appena finito di parlare quando Maurizia Russo Spena, figlia di un ex parlamentare di estrema sinistra (orrore orrore), va al microfono per porgergli una domanda.

Fa soltanto in tempo a qualificarsi: «Sono della rete di precari al servizio della pubblica amministrazione…» ed è come se a Brunetta avessero infilato due dita in una presa. «Grazie, arrivederci, buongiorno», la interrompe. La ragazza non ha ancora detto il suo nome, ma il ministro è in grado di fiutare una comunista anche a venti metri di distanza controvento. «Arrivederci, questa è la peggiore Italia!» e guadagna l’uscita.

Non è vero, come affermerà più tardi in un videomessaggio, che se ne sia andato dopo aver ricevuto insulti e per la sensazione di essere rimasto vittima di un agguato mediatico. Dal filmato emerge chiaramente che le urla «buffone, buffone» sono successive alla sua fuga ingloriosa, il cui epilogo ha una potenza d’immagini cento volte superiore alla sostanza dell’episodio: si vede il potente che sgomma via in auto blu, mentre un precario strattonato dalla scorta si piazza davanti alla macchina e grida: «Che fa, ministro, mi investe?». Sembra uno spot di «Annozero» sul distacco fra il Palazzo e i nuovi miserabili del panorama sociale italiano.

Brunetta ha poi spiegato che non ce l’aveva coi precari, ma coi provocatori. Come si dice dalle sue parti, «el tacòn xe peso del buso». Infatti il ministro si è dimenticato di ciò che aveva dichiarato la sera prima in tv da Lilli Gruber, quando si era esibito in una tiritera luogocomunista sui giovani che lamentano la mancanza del posto fisso invece di andare a scaricare le cassette di frutta al mercato. Ora, nel vasto campionario del precariato italiano, ci sarà anche una percentuale endemica di fannulloni e di schizzinosi. Ma le storie che piovono ogni giorno sui tavoli delle redazioni raccontano una realtà diversa. Raccontano di laureati costretti ad andare all’estero dopo aver attraversato decine di impieghi saltuari e sottopagati. Raccontano di giovani che invecchiano facendo di tutto, soprattutto i lavori più umili, nella vana attesa di trovare lo sbocco a cui li destinavano i loro studi e le loro attitudini. Raccontano di fallimenti professionali ed esistenziali, dovuti non all’incapacità della persona, ma a un sistema bloccato da troppi privilegi, in cui solo le conoscenze politiche e familiari consentono di ottenere ciò che il merito non basta mai a garantire.

Il centrodestra era stato votato, immagino, per sfasciare con riforme liberali il vecchiume di questo Paese, non per eternarne i conservatorismi. Invece si è smarrito in una rappresentazione della realtà più adatta alle dispute da bar che a un ceto dirigente moderno. I disoccupati non lavorano perché non hanno voglia di farsi venire i calli alle mani (parola di Brunetta e Sacconi, che in un’altra era furono socialisti, forse a loro insaputa). E il popolo di sinistra è bravo a montare scenette spiritose sui siti Internet «perché non ha nient’altro da fare» (parola dell’onorevole Stracquadanio, lavoratore indefesso, a cui per carità di patria ho depurato il linguaggio da trivio).

La parabola del fustigator Brunetta racchiude la storia di questo governo e di questi anni. Il ministro che prendeva gli applausi quando diceva che gli statali erano dei fannulloni, adesso prende i fischi quando afferma che fannulloni sono tutti gli italiani senza un posto garantito, statali precari compresi. In mezzo è cambiato il mondo, ma Brunetta evidentemente non se n’è accorto. In questo assomiglia molto al suo principale.

La Stampa 16.06.11

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“Quell´insulto di Brunetta il ministro dei peggiori”, di Francesco Merlo

L´hanno visto milioni di italiani quel video oltraggioso e violento, con quelle immagini di paura e di arroganza davvero preoccupanti che tutti dovrebbero guardare perché illustrano bene la triste fine dell´epoca berlusconiana. Fotografano un declino scomposto che, in grande sincerità, ci sorprende e ci inquieta.Il protagonista è il ministro Brunetta, ma sbaglierebbero i lettori e i video-spettatori a pensare, d´istinto, che si tratta del solito Brunetta che ne ha fatta un´altra delle sue, sbaglierebbero i feticisti e i collezionisti del Brunetta furioso ad aggiungere questa stizzosa fuga da sconfitto agli sfoghi baldanzosi del vincente.
Il Brunetta che infatti conoscevamo, e che pure non ci piaceva, non avrebbe mai girato le spalle e maltrattato una signora prima ancora di sentirla parlare, solo perché intuiva che sarebbe stata critica nei suoi confronti. Brunetta, che pure l´aveva invitata a raggiungerlo sul palco e a porgli la domanda, le ha dato solo il tempo di dire «sono una precaria». E di nuovo bisogna evitare di pensare, per pigrizia mentale, al toro che vede il drappo rosso. Perché il toro-Brunetta, che mai avremmo immaginato di poter rimpiangere, avrebbe caricato il rosso del precariato con le corna appuntite della sua ideologia. Invece l´abbiamo visto in fuga dinanzi al più innocuo dei toreri intellettuali, abbiamo visto un uomo che si sente insolentito dalla realtà, un ministro che maltratta una donna muta e pacifica, come se i precari non fossero quattro milioni di persone di cui deve governare e risarcire il malessere, ma quattro milioni di fastidi a cui dare le spalle. E non ce l´aspettavamo neppure noi perché, nonostante le critiche, gli concedevamo una speciale spavalderia di selvaggio provocatore culturale e politico, con una voglia matta di stanare gli avversari e di inchiodarli alla forza delle sue ossessioni.
Perciò ci pare che questo Brunetta che scappa da un mite dibattito politico e alla fine affida gli interlocutori alla fisicità della sua scorta offende innanzitutto quel Brunetta spericolato e temerario che certo non ci divertiva ma che in fondo in fondo era ancora un ariostesco “cavalier villano”. Con il controllo assoluto della sala, nell´atmosfera rilassata del convegno sull´Innovazione che egli stesso aveva appena concluso, e dinanzi all´evidente disagio di una donna emozionata, il Brunetta d´antan si sarebbe infatti scatenato nella polemica e magari avrebbe pure arricchito la produzione delle sue strampalate teorie sui fannulloni, sulla «rivoluzione culturale» – così la chiamava – nella pubblica amministrazione, sui precari come «retorica», sul loro «ostinato rifiuto di andare al mercato a raccogliere le mele»…
E invece il vecchio Brunetta esce definitivamente degradato da questo nuovo Brunetta che prima se le dà a gambe per non sentire la domanda, probabilmente di biasimo, della “precaria”, e alla fine consegna il timone alle guardie del corpo stimolando con un insulto gratuito e non argomentato – «siete la peggiore Italia» – la rissa fisica. Brunetta sapeva bene che l´offesa ingiustificata avrebbe irritato quei quattro precari che avevano accompagnato la loro collega ed amica. Estremista intelligente, sapeva pure che mettendo in moto le guardie del corpo sarebbe finita ad abuso, a qualche grido – «buffone» – ma soprattutto alle manate e agli spintoni, all´assedio dell´auto. E difatti così è stato. Ed è qui la novità, il punto di non ritorno di un magistero politico che era nato all´insegna della ribalderia culturale e della boria da eversore e sta invece finendo nella protervia e nel panico dello sconfitto, nella collera dell´impotente.
Per questo il video entra nei documenti di fine d´epoca. Non ci sono infatti solo la mitezza di una donna, l´insulto arbitrario e il viso inspiegabilmente congestionato di Brunetta. Il peggio è quel fuggire e quell´affidare se stesso e i propri avversari alla “saggezza” dei gorilla. Quando in Italia un regime sta per finire c´è come un lampo di presagio nelle fughe più o meno consapevoli come questa di Brunetta, e si sente il rantolo negli oltraggi immotivati e nella trasformazione in ghigno del piglio da guascone dei potenti perché, come scrisse Malaparte a Farinacci, «tu, come animale politico, sembri nato dall´innesto di un lupo con una pecora, ma non si capisce bene se da quell´innesto è nato un lupo vigliacco o una pecora feroce» . Certo è difficile non ricordare la reazione dell´allora governatore della Banca d´Italia Antonio Fazio quando, avvicinato dall´inviato di Striscia la notizia, disse agli uomini della sua scorta: «Dategli un po´ di botte». Così reagiscono non i caduti, che hanno sempre una loro dignità, ma gli impuniti che annusano il cambio di stagione, sentono di dover precipitare, percepiscono il fallimento, sanno che «la fine è nota». Tanto più che i precari non sono Valerio Staffelli e non sono il Gabibbo, non sono sospetti stalker ma sono cittadini italiani da 250 euro al mese ai quali dobbiamo tutti delle spiegazioni e dinanzi ai quali un ministro dovrebbe comunque e sempre mettersi sull´attenti.

La Repubblica 16.06.11