E ora il quadro non solo è completo, ma è anche fosco come soltanto nei momenti peggiori. Frasi a effetto informano che «i palazzi tremano», che agli arresti c’è finito «l’uomo che porta dritto nelle stanze del governo», che l’enfant prodige di certo segretissimo malaffare potrebbe mettere nei guai un sacco di bella gente. Nessuno può sapere se è davvero così e se accadrà, ma voci insistenti raccontano di un Berlusconi pessimista e preoccupato: prima le elezioni, poi i referendum, quindi la solita magistratura… La conclusione? «Ci vogliono far fuori», avrebbe confidato uno sconsolatissimo presidente del Consiglio, una volta informato dell’arresto di Luigi Bisignani.
Pur prescindendo dalla solita lettura di parte dell’iniziativa della magistratura napoletana (avviata mesi e mesi fa…) non si può tuttavia negare come i timori del capo del governo vadano facendosi sempre più fondati: l’errore sta però nel cercare lontano dalla politica – e dall’azione del governo, e dallo stato della sua maggioranza – le ragioni delle crescenti difficoltà. I colpi subiti con le elezioni prima e il referendum poi non c’entrano nulla – in tutta evidenza – con i presunti tentativi di «far fuori» il premier e il suo esecutivo per via giudiziaria. E a volerla dire tutta, anzi proprio la reazione a questi rovesci ha dato il senso di una vicenda politica ormai in vista del capolinea: una sorta di passaggio di fase, di chiusura di stagione che pare aver preso una china inarrestabile.
I segnali sono molteplici e, purtroppo, contemporanei. Intanto, la reazione nervosa e scomposta, appunto, del principale degli alleati di governo di Silvio Berlusconi, e cioè quella Lega che appare sempre più come il dominus della situazione. Scegliere come cavalli di battaglia per la ripartenza il trasferimento di qualche ministero al Nord e il no alla guerra in Libia – con la parziale, modesta e discutibile motivazione che essa starebbe determinando un aumento del flusso migratorio verso il Nord – è forse la prova migliore di un pericoloso stato confusionale, a voler essere generosi. Né è stata più convincente, a dir la verità, la reazione del partito del presidente, con la pretesa di varare su due piedi la sempre promessa (e oggi difficilmente proponibile) riforma fiscale. Il risultato ottenuto è stato infatti doppiamente negativo: si è aperto un delicatissimo contenzioso col ministro Tremonti e si è seminato a piene mani altro nervosismo nella coalizione.
Segnali molteplici, dicevamo. L’aria da si salvi chi può che comincia a tirare tra i gruppi e i gruppetti parlamentari che al momento garantiscono al governo la maggioranza nelle aule di Camera e Senato è uno di questi: e si tratta di un brutto affare, che il premier sbaglierebbe a sottovalutare. Un altro – tradizionale spia dello stato degli equilibri politici del momento – è la situazione in cui versa la Rai, in bilico tra epurazioni e paralisi, con nomine annunciate e rinviate in attesa di capire che accadrà: e nell’attesa, naturalmente, tutto resta fermo, con danni evidenti per la maggior azienda culturale del Paese. Poi il Parlamento che ha toccato sconcertanti limiti di produttività, il governo che lavora appena 15 ore in tre mesi… Insomma, ce ne sarebbe a sufficienza per serrare le fila e ripartire dal buon senso: ma l’aria che tira non pare affatto quella.
L’aria che tira, infatti, racconta di un mondo politico (di maggioranza, a dir la verità) col fiato sospeso per quel che accadrà tra qualche giorno a Pontida, giusto sul «pratone» fino a ieri più noto per i fumi delle salsicce alla brace che per le strategie lì elaborate. Berlusconi si chiede cosa chiederà Bossi: i cittadini, magari, si domandano invece se tutto quel che chiederà verrà concesso. L’Italia interromperà il suo impegno nella missione libica perché così vuole Calderoli? Tremonti (fino a ieri definito il miglior ministro dell’Economia d’Europa) finirà spalle al muro perché Maroni chiede coraggio e una riforma fiscale da varare su due piedi? E basterà qualche ufficio di rappresentanza o Reguzzoni vuole dei veri e propri ministeri tra Milano e Varese? E soprattutto: Berlusconi dirà sì a una qualunque di queste richieste?
L’aria è quella del passaggio di fase, del cambio di stagione. Ma c’è modo e modo di chiudere un capitolo per aprirne un altro. Berlusconi e Bossi lo ricordino e scelgano il migliore. Il migliore per il Paese, naturalmente, non per il destino delle rispettive botteghe.
La Stampa 16.06.11