Sempre in affanno il ministro dell’economia: stavolta è accusato dagli industriali. Incassato un sofferto sì per il close to balance entro il 2014 da un premier sempre più solo, il ministro dell’economia Giulio Tremonti è al lavoro sulla legge delega per la riforma fiscale. Una riforma che, stando al grido d’allarme lanciato ieri dal presidente dei giovani di Confindustriali, rischia di dimenticare le nuove generazioni. Una riforma che è stata annunciata dal premier entro l’estate e che si reggerà su tre pilastri: il riequilibrio del prelievo dalle persone alle cose, la revisione degli scaglioni dell’Irpef con la riduzione dell’aliquota più bassa e la “potatura” delle detrazioni.
Il meccanismo, già peraltro collaudato con la legge delega sul federalismo fiscale, è quello di collezionare enunciazioni di principio entro le quali si dovranno muovere i decreti delegati non scoprendo, su questo Tremonti è stato irremovibile, il fianco ai numeri o alle quantificazioni delle risorse.
Il ministro su un punto non pare cedere: la riforma sarà a gettito invariato.
E come avrebbe potuto fare diversamente il “povero” ministro che a un Berlusconi accecato dall’incapacità di far presa sul proprio elettorato ha spiegato che l’Italia in questi mesi è sorvegliato speciale non solo a fronte della crisi dei debiti sovrani in Europa, ma anche e soprattutto perché i mercati poi chiedono di stringere i tempi per arrivare in fretta al pareggio del bilancio. È di ieri il giudizio dell’agenzia di rating Moody’s che ha annunciato di star seguendo con interesse il dibattito sulla riforma fiscale in Italia e ha sostenuto che, in ogni caso, occorre assicurare la neutralità per il gettito complessivo o, in alternativa, occorre ridurre la spesa.
Se il passaggio dalle persone alle cose vuol dire il riequilibrio del prelievo dalle imposte dirette a quelle indirette in barba al principio della progressività delle imposte che è sempre stato una conquista dello scorso secolo, la tassazione sui consumi non colpisce tutti allo stesso modo ed è osteggiata dai commercianti che temono riflessi negativi sui consumi.
Tanto più se poi l’innalzamento di un punto percentuale di due delle tre aliquote Iva (quelle al 10 e al 20%) servisse non tanto ad alleggerire il primo scaglione Irpef (dal 23 al 20%) quanto piuttosto all’abbattimento dell’Irap. Il che si tradurrebbe in un aggravio per le famiglie e invece in una boccata d’ossigeno più per la grande che per la piccola impresa. In ogni caso, man mano che il lavoro sull’architrave della riforma entra nel vivo, il ministro si trova assediato.
E non solo perché la delega potrebbe figurare come un collegato alla nuova legge di stabilità, quanto piuttosto perché allo studio vi sarebbe un ripensamento (finalmente!) della tassazione dell’imposta sulle rendite finanziarie (già perseguita dal viceministro Visco nel secondo governo Prodi) con aliquota unica al 20% rispetto al 27% che attualmente grava sui conti correnti e al 12,5% sul titoli di stato e capital gain.
A gridare più forte degli altri è in questi giorni la Confindustria, che ieri ha riunito i propri giovani per il tradizionale appuntamento di Santa Margherita ligure. Per il presidente dei giovani imprenditori di Confindustria, Jacopo Morelli, l’Italia non è un paese per giovani ma «ostaggio di egoismi generazionali e di una pervasiva gerontocrazia antitesi della meritrocrazia e pericoloso blocco alla crescita ». Morelli ha chiesto di abbassare le tasse ai giovani sollecitando una fiscalità meno oppressiva tanto più che meno tasse vuol dire più risorse disponibili per consumare o per risparmiare.
Se per Morelli l’Italia sta sacrificando sull’altare dei diritti acquisiti, i diritti delle nuove generazioni, i dati della disoccupazione giovanile sono desolanti: in Italia per ogni 5 disoccupati 4 sono giovani. Dati confermati dal presidente dell’Istat Enrico Giovannini: «Ci sono due milioni di ragazzi in panchina che, ogni anno che passa, perdono parte della formazione accumulata ».
da Europa Quotidiano 11.06.11