PROPOSTA DI PARERE ALTERNATIVO PRESENTATA DAI DEPUTATI, GHIZZONI, BACHELET, COSCIA, DE BIASI, DE PASQUALE, DE TORRE, LEVI, LOLLI, MAZZARELLA, MELANDRI, NICOLAIS, PES, ROSSA, RUSSO, SIRAGUSA.
Disegno di legge C 4357, recante conversione in legge del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, concernente “Semestre europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia”,
Per quanto riguarda i profili di competenza della Commissione Cultura,
le nuove modalità di credito di imposta per la ricerca scientifica, previste dall’articolo 1, rappresentano un cambio attuato dal Governo nelle proprie decisioni politiche in materia, non si può non rilevare criticamente il metodo di lavoro dettato dall’improvvisazione, soprattutto in considerazione del fatto che le imprese e i soggetti coinvolti, come qualunque istituzione sociale, necessitano di certezza e di continuità nelle scelte che attengono alla loro attività e finalità. Pare poi inadeguata la disposizione che il nuovo credito di imposta sia calcolato solo sulla parte incrementale delle somme destinate alla ricerca, mentre sarebbe più incentivante e più opportuno, al fine di premiare le imprese che si sono impegnate costantemente nella ricerca, disporre il credito – come introdusse il Governo Prodi – su quota fissa delle risorse investite, indipendentemente dall’ammontare e dall’eventuale incremento. Si ritiene inoltre più efficace individuare precise direttrici di ricerca e di avvalersi, per l’utilizzo dello strumento in parola, di tutti i centri di ricerca. Per le finalità individuate dall’articolo in oggetto e, pertanto, per consentire agli enti di ricerca di poter rispondere alle esigenze di innovazione espresse dall’impresa finanziata, è imprescindibile rimuovere tutti gli ostacoli frapposti all’effettuazione del turn over del personale e consentire agli enti medesimi di poter disporre delle risorse umane necessarie. Tale disponibilità andrebbe garantita anche per le università, pertanto anche per l’anno in corso dovrebbe essere applicato lo «sconto» nel conteggio delle spese di personale rispetto alle risorse del Fondo di finanziamento ordinario, al fine di non superare la soglia del 90 per cento: sono infatti numerosi gli atenei che, in assenza della norma richiamata, si trovano completamente bloccati nelle loro esigenze di assunzione di nuovo personale per garantire la continuità della didattica e della ricerca. Si ricorda, poi, che effetti negativi sta ovviamente producendo la norma introdotta dal decreto legge n. 78, che riduce del 50% l’attivazione dei contratti a tempo determinato. Si valuta pertanto negativamente che le nuove norme per il credito d’imposta non si accompagnino a misure – quali quelle richiamate- tese a rimuovere gli ostacoli che impediscono la piena operatività delle strutture pubbliche finalizzate alla ricerca. Infine, si ritiene necessario che il finanziamento dei progetti sia sottoposto ad una valutazione ex ante, coinvolgendo i garanti della ricerca previsti dall’articolo 21 della legge n. 240 del 2010, e ad una valutazione ex post a cura dell’ANVUR. E’ con rammarico, quindi, che si osserva la mancanza di tali disposizioni, tese alla concreta valorizzazione del merito e alla valutazione della reale efficacia del provvedimento in parola;
si valutano negativamente le disposizioni dell’art. 4, comma 16, poiché la finalità espressa di semplificare il procedimento per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica si presta in realtà ad attenuare la funzione di tutela esercitata dallo Stato sui beni culturali e sancita dalla Costituzione;
in merito all’istituzione della Fondazione per il merito (articolo 9, commi da 3 a 16), si ricorda che pochi mesi fa l’Esecutivo ha istituito il Fondo per il merito, destinato all’erogazione di premi e prestiti per il finanziamento degli studi universitari, sul quale il Partito Democratico ha espresso i propri dubbi e critiche – soprattutto in merito all’attribuzione di premi senza valutazione del reddito dei beneficiari e alla decisione di percorre la strada dell’indebitamento degli studenti – in occasione dell’approvazione della legge 240/10. Si stigmatizza la costituzione della detta Fondazione, alla quale sono attribuite funzioni attualmente affidate al Miur (come disposto dall’articolo 4 della L. 240/10) in materia di diritto allo studio. Si ritiene, infatti, incongruo che ad un soggetto di natura privata, peraltro sottratto a qualsiasi tipo di controllo, di merito e di natura contabile, siano affidate scelte politiche, strategiche e delicate quali sono quelle del diritto allo studio, soprattutto alla luce del progressivo calo di immatricolazioni caratterizzante l’ultimo quinquennio e della crisi congiunturale che ha colpito il Paese. L’affidamento di una funzione strumentale del Miur all’istituenda Fondazione appare estranea all’esigenza, quanto mai urgente per lo sviluppo del Paese, di dare attuazione ad un vero welfare studentesco. Si osserva, inoltre, che a fronte del grave fenomeno delle migliaia di studenti che, sebbene ne abbiano diritto, non ricevono alcuna provvidenza per affrontare gli studi universitari, la priorità del Governo dovrebbe essere quella di finanziare adeguatamente il Fondo per l’erogazione delle borse di studio e quello per l’edilizia universitaria, piuttosto che investire in strumenti di indebitamento degli studenti, quali sono i prestiti d’onore. Si valuta inoltre negativamente l’assenza di una norma che abroghi la lettera o) del comma 3 dell’articolo 4 della Legge 240/11, che ha introdotto la previsione di riservare la quota del 10 per cento delle borse di studio agli studenti iscritti in un’università della regione in cui sono residenti. A tale proposito si ricorda che in occasione della promulgazione della citata legge 240, il Presidente della Repubblica ha indirizzato una lettera al Presidente del Consiglio dei Ministri, nella quale si legge “Per quanto concerne l’art. 4 relativo alla concessione di borse di studio agli studenti, appare non pienamente coerente con il criterio del merito nella parte in cui prevede una riserva basata anche sul criterio dell’appartenenza territoriale”;
per quel che riguarda la scuola, i commi da 17 a 20 dell’articolo 9, rappresentano nel loro complesso, una clamorosa smentita del piano straordinario di assunzione e stabilizzazione del personale precario (insegnanti e personale ATA) promesso dal governo prima delle elezioni; essi inoltre contengono norme dirompenti per la programmazione e l’ordinata partenza dell’anno scolastico e omettono previsioni che invece, alla luce delle novità introdotte dal decreto, sembrerebbero necessarie. Pare utile ricordare che al momento dell’approvazione del decreto in parola da parte del Consiglio dei Ministri, non avevano fatto ben sperare le parole del Presidente secondo cui “il Ministro dell’Economia non ha voluto scrivere numeri nel decreto, ma le assunzioni nella scuola saranno migliaia”. L’assenza non solo di tabelle e numeri esatti, ma anche di un impegno chiaro alla copertura di tutti i posti vacanti e disponibili – sottolineata da tutte le associazioni professionali e sindacati nel corso della audizione qui in VII commissione- è la manifestazione plastica della scarsa capacità della disposizione ad affrontare il problema del precariato. Gli inflessibili richiami alla legge 133/2008 e al regime autorizzatorio delle nomine (legge 449/1997) fanno peraltro facilmente prevedere la prosecuzione delle assunzioni a contagocce dell’ultimo triennio, ben al di sotto della copertura dei posti vacanti e disponibili e del turnover. La disposizione in oggetto non può certamente essere spacciata per un piano straordinario di assorbimento del precariato ed è totalmente incapace di compensare l’effetto deleterio del comma 18 dell’articolo 9, secondo il quale la norma europea – già recepita nella nostra legislazione – che costringe qualunque azienda, pubblica o privata, all’assunzione di chi copre per tre anni consecutivi lo stesso posto di lavoro, non si applicherebbe alla scuola. In coerenza con la discussione già avvenuta in occasione del decreto cosiddetto Salvaprecari, ribadiamo un netto parere di contrarietà a tale norma. Una lettura, anche superficiale, rivela che tutti i commi riguardanti le assunzioni della scuola hanno lo stesso segno: quello di aumentare anziché diminuire la mole del personale a tempo determinato sfruttato dalla scuola, perfino rispetto ai posti dell’organico risultante dai tagli della legge 133/2008. Oltre all’inaccettabile segno complessivo determinato dall’articolo 9, cioè quello di una accresciuta instabilità didattica, si sottolinea l’opposizione ad una norma dirompente per la programmazione e l’ordinata partenza dell’anno scolastico: il comma 19, che fa slittare dal 31 luglio al 31 agosto la scadenza per le nomine nella scuola, mettendo i dirigenti scolastici di fronte alla pratica impossibilità di dare ordinatamente inizio, di lì a pochi giorni, all’anno scolastico, ed esponendo insegnanti alunni e famiglie ad un forte aggravio del già notevole caos di inizio anno. Non si può poi non richiamare l’assenza di norme attese, quale quella per introdurre i necessari correttivi in favore degli insegnanti che dovrebbero godere delle riserve di cui alla legge 68/1999, nonché di quelle per i malati incologici: se l’aggiornamento delle graduatorie sarà triennale per effetto del comma 20, diventa irragionevole e profondamente iniquo che gli interessati possano far valere la riserva solo una volta ogni tre anni. Appare altresì irragionevole che le stesse categorie (abilitati e abilitandi in scienza della formazione primaria, in strumento musicale, COBASLID) ammesse alle graduatorie da questo Governo al momento del loro primo aggiornamento, nel 2009, vengano invece escluse questa volta. Infine, l’assenza della proroga di validità delle graduatorie per i passaggi di profilo del personale ATA metterà a rischio il regolare funzionamento di moltissime istituzioni scolastiche per i venir meno di personale qualificato che già vi presta servizio. In conclusione, si ritiene che l’instabilità e l’iniquità di una scuola che ricorre in misura inaccettabile al personale precario è lasciata intatta, se non addirittura aumentata, da un decreto che a parole dichiara di porvi rimedio;
Per le ragioni descritte i premessa si esprime parere contrario.
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