Li guardiamo, li scrutiamo, cerchiamo segnali per sentirci noi sicuri di
loro. Ma non ci ricordiamo se veramente ci parliamo, se comunichiamo, se il nostro affetto arriva. Se siamo dalla loro parte, sempre e comunque. Noi, genitori, loro, i figli. I malfermi, gli insicuri siamo noi. Ed è così che quando irrompe l’imprevisto non sappiamo quasi mai reagire, se non autocommiserandoci. Nel mondo invisibile degli adolescenti entrano ed escono universi troppo grandi per loro. La cybervelocità crea crepe, fratture, miti e falsi miti ogni giorno. Marida Lombardo Pijola, giornalista, inviato del Messaggero, negli ultimi anni ha indagato questo territorio sconosciuto. Da qualche settimana è uscito Facciamolo a skuola, Storie di quasi bimbi, Bompiani, 14 euro.
Si può dire idealmente il terzo capitolo di una trilogia iniziata con Ho12 anni, faccio la cubista, mi chiamano principessa, seguito da L’età indecente, di un anno e mezzo fa. Né romanzi né saggi, ma l’uno e l’altro insieme. Lo sforzo grande che l’autrice fa anche in questo libro è l’esatta rappresentazione del linguaggio degli adolescenti, quasi adolescenti. Coatto, ostentato molto più che in stagioni passate. Ma anche rattrappito, slegato, triste, vuoto, una continua richiesta di aiuto.
La storia di Facciamolo a skuola parte dalla realtà, si intreccia nella fantasia. Ma è meglio non illuderci che sia la seconda a prevalere sulla
prima. Una ragazza come tante di tredici anni non bella, ma adolescente né carne né pesce che per emergere inizia a vendersi a scuola facendosi nprima toccare il seno sbocciato in bagno e poi facendo molto, molto altro, con relativo prezzario. Annichilita dalla sua stessa determinazione, in una scelta vissuta come autoaffermazione, ma in cui l’auto e l’affermazione non esistono. La discesa agli inferi arriverà e nel modo peggiore.
Una figlia normale di una famiglia comune, comunissima. Un’adolescente obbligata a mostrarsi, ad accedere forzosamente in un mondo dove ritiene di non poter concorrere, per entrarci però con la chiave dell’autodistruzione. Lombardo Pijola ci avverte: le sollecitazioni del cyberlinguaggio sono alla portata di tutti, dei nostri figli. E dall’esposizione di sé sulle pagine di Facebook, alla simulazione erotico
pornografica del linguaggio sui social network, da cui si pretende di rimanere immuni, alla vendità di sé dove il cyber reale diventa reale. E fa male, distrugge, uccide. La rete è libertà, ma anche prigione. La giornalista, al termine della sua trilogia immaginiamo scarnificante non essendo affatto facile riprodurre in modo così fedele linguaggi e comportamenti di un’adolescenza non lontana da sé, essendo madre, lancia un allarme al mondo degli adulti, definitivo. Prendiamo realmente per mano i nostri figli. Quanto basta per non lasciarli soli.
L’Unità 05.06.11