L´antidoto al berlusconismo non poteva che sprigionarsi dall´interno della società milanese. La nuova sinistra del Nord è nata nell´unico modo in cui poteva nascere, cioè come alternativa culturale a un sistema di potere ventennale che, proprio a Milano, appariva granitico, pur non essendolo, grazie all´organicità della sua ideologia.
Una visione mercificata delle relazioni umane, in cui la parola “libertà” veniva disinvoltamente brandita per zittire le aspirazioni di “uguaglianza” e “fratellanza”; una “libertà” del privilegio rivolta perfino contro il vincolo comunitario della “legalità”.
Facile dirlo, ora che è successo davvero: per liberare l´Italia bisognava cominciare dalla liberazione di Milano. Ma fino a ieri il senso comune prevalente era ben altro. Una visione spregiudicata, talvolta cinica, della politica come mera misurazione dei rapporti di forza, ereditata dalle scuole di partito novecentesche, liquidava come dilettantismo ingenuo questa prospettiva di crescita della partecipazione dal basso, valorizzata infine da un leader come Giuliano Pisapia: anticarismatico, ma con un netto profilo culturale alternativo.
A lungo è prevalsa la convinzione che l´Italia potesse essere governata da sinistra nonostante Milano, solo accerchiandola e neutralizzandola. Quasi che il Lombardo-Veneto andasse considerato per sua stessa natura terra ostile a un progetto incentrato sulla giustizia sociale, su un prelievo fiscale equamente ripartito, sui valori della solidarietà nei confronti dei più deboli. Quasi che insieme alle fabbriche fosse scomparso anche il proletariato.
La teoria della Milano inespugnabile, dunque da sottomettere grazie a una maggioranza conseguita altrove (come nel 1996 e nel 2006), prevedeva necessariamente la variabile tattica dell´infiltrazione, o del compiacimento subalterno. Mai risolto l´enigma di come la sinistra possa rendersi attraente per i non meglio precisati “ceti emergenti”, da ultimo ribattezzati “popolo delle partite Iva” – parole balbettate timidamente dai dirigenti romani in trasferta, come volessero esibire dimestichezza con una lingua straniera – ha alimentato per anni la scorciatoia della lusinga. Le più prestigiose Fondazioni dei leader politici nazionali sbarcavano a Milano facendosi sponsorizzare convegni sui temi della finanza, del credito e della sicurezza, all´unico scopo di conservare il rapporto con un establishment che gli era familiare per via delle sue frequenti incursioni nei palazzi romani; e per la comune pratica dell´economia di relazione. Sì, stiamo parlando proprio di quell´establishment che secondo le teorie in auge nel Pd milanese mai avrebbe potuto appoggiare un esponente politico della sinistra nella competizione per Palazzo Marino, perché inaccettabile ai “moderati”. Ora sappiamo com´è andata, grazie alle primarie del novembre 2010 che hanno sovvertito la sua indicazione.
La traduzione nella politica locale di questa abitudine di compiacere la società del Nord, o meglio l´immagine deformata che ne trasmettevano i mass media, ha comportato imbarazzanti episodi di subalternità ai falsi argomenti della destra. Ricordiamo certi sì alle ronde; il documento del Pd lombardo in cui si proponeva un tetto alla presenza dei bambini stranieri nelle scuole; la polemica contro l´ultimo governo Prodi accusato di eccessiva debolezza con i rom; la corrività su un federalismo di facciata. Pareva che il leghismo dovesse trovare una declinazione da sinistra, nel nome di una presunta volontà popolare.
Intanto l´elettorato di sinistra – nelle periferie, ma non solo – voltava le spalle a questi astuti professionisti della tattica, con una massiccia propensione all´astensionismo. Solo l´esemplare comportamento di Stefano Boeri, sconfitto alle primarie ma impegnato dal giorno dopo alla testa del Pd nella campagna per Pisapia, ha consentito il lusinghiero successo del partito di Bersani, evitandone una pericolosa deriva. Quando già al suo interno qualcuno prospettava una scelta autolesionistica ma coerente col mito di Milano città imprendibile: appoggiare la candidatura dell´ex sindaco di destra Gabriele Albertini. Chiamando un´altra volta gli elettori a votare il “meno peggio”, nella convinzione sbagliata che il volto della sinistra milanese risultasse loro impresentabile.
Quale sinistra è, dunque, la nuova sinistra protagonista della liberazione del Nord dall´egemonia berlusconian-leghista?
Stiamo parlando della città che prima ancora di Tangentopoli aveva vissuto lo scisma di Craxi. Cioè la frantumazione della cultura riformista consumata proprio negli anni che ne avrebbero dovuto consacrare l´egemonia a sinistra, in seguito al definitivo fallimento del movimento comunista. Le inchieste giudiziarie di Mani Pulite fecero sì che a Milano la linea di demarcazione imposta dal nascente bipolarismo italiano producesse effetti brutali. Restarono dall´altra parte, più o meno inglobate nel sistema di potere berlusconiano, componenti significative del riformismo lombardo socialista, ex comunista e cattolico. Non sono pochi i rappresentanti di questi filoni riformisti che accettarono incarichi amministrativi e di governo nel centrodestra, o magari nella Compagnia delle Opere. Qualcuno con disagio, altri accontentandosi di vantaggi personali.
La simpatia manifestata nei confronti del garantista antiberlusconiano Giuliano Pisapia da parte di uomini come Carlo Tognoli, Bruno Tabacci, Piero Borghini, lasciano sperare che la nuova sinistra del Nord abbia in sé le caratteristiche per superare questa frattura storica. E spalanca inedite prospettive di crescita per lo stesso Partito democratico.
Ma sbaglieremmo limitandoci a questa lettura politologica della riconquista di Palazzo Marino. La figura straordinaria del maestro elementare Paolo Limonta, coordinatore dei Comitati elettorali di Pisapia, regista accorto di una campagna alla quale non ha voluto sacrificare neppure un´ora di insegnamento, chiama in causa la più grave dimenticanza di chi guardava a Milano come città naturaliter di destra. Bisognava esserci, nel giugno 2009, ai funerali del cantautore della sinistra milanese Ivan della Mea, nel “suo” circolo Arci-Corvetto, per ricordare come la rete dell´associazionismo popolare socialista, comunista, cattolico, sessantottino, ramificata lungo più di un secolo nei quartieri cittadini, ha continuato a esistere. Dimenticata, in attesa che qualcuno le rivolgesse di nuovo parole d´impegno e riscatto. Quanto ai vilipesi centri sociali, c´è voluto Claudio Bisio, star di Mediaset, per ricordare quanto gli sia debitrice la cultura milanese. Demonizzarli, in una metropoli afflitta dal disagio giovanile, è stato prima di tutto un segno di ignoranza, tanto più ora che questo universo ha dispiegato nella rete della comunicazione virtuale il potenziale formidabile dei suoi linguaggi creativi.
Nella Curia arcivescovile del cardinale Dionigi Tettamanzi, nel Palazzo di Giustizia di Edmondo Bruti Liberati e nella Fondazione Cariplo del vecchio democratico Giuseppe Guzzetti, la Milano che da anni mal sopportava il malgoverno e gli abusi della destra ha trovato dei punti di riferimento più saldi di quelli offerti da un centrosinistra titubante. Finché, grazie allo strumento partecipativo delle primarie, questa Milano si è messa in cammino facendo da sé. Si è scoperta giovane, o ringiovanita. Si è manifestata attraverso il suo volto migliore, plurale e collettivo, senza paura di spaventare i “moderati”. Che oggi la ringraziano.
La Repubblica 03.06.11