Quanto è grande la differenza tra Beppe Signori e Domenico Scilipoti o tra Daniela Melchiorre e Stefano Bettarini? E anche le note spese di Minzolini al Tg1 non sono, a modo loro, scommesse a centrocampo?
E come si distinguono eticamente una notizia addomesticata e tre gocce di sonnifero nel tè del centravanti? La vendita delle lauree, il traffico dei concorsi e le assegnazioni delle cattedre sono maledettamente simili al totonero. E perché all´ex governatore della Banca d´Italia non è riservata la stessa sfrontata benevolenza sociale e gli stessi incredibili onori che vengono concessi a Luciano Moggi, ex governatore del calcio d´Italia? Forse gli istituti di credito su cui il primo metteva mano ci sono meno cari degli scudetti che il secondo intossicava?
La verità è che l´associazione a delinquere che controlla il gioco del calcio sta dentro un recinto magico: la retorica del sogno domenicale è la sua rete di protezione. E forse sarebbe ora di accusare di concorso esterno, ovviamente soltanto morale, tutti i dirigenti che ieri, per l´ennesima volta, sono rimasti «sgomenti e indignati» dinanzi alla forza dell´inchiesta di Cremona: non sapevano, non se lo aspettavano, non immaginavano nemmeno. Niente terzo livello nella mafia del calcio?
E sono complici anche le finte anime belle, i commentatori specializzati nell´esaltazione del ‘gioco bambino´ e del ‘sogno infranto´, sono complici perché fingono di non vedere e ad ogni scandalo (il primo dell´era moderna fu nel 1980) compongono il canto del pastore errante sulla disillusione della favola-sport mentre accade esattamente il contrario ai tifosi e agli sportivi che, ad ogni scudetto, si domandano se sia vero o se sia comprato, e ad ogni pedalata si chiedono dove finisca la forza della natura e dove cominci il doping. Al punto che non c´è quasi più distinzione tra abilità e mascalzoneria, considerata anzi una speciale forma di abilità. Perché siamo tutti pronti a giustificare il delitto pur di conservare il risultato, il primato, il gol e la vittoria. Certo, è vero che in quel chiedere pietà di Beppe Signori c´è la speciale fragilità dei calciatori che rimangono dei deboli narcisi anche quando delinquono, più delicati degli altri delinquenti. Al punto che in questa storia di falsificazioni sembra falsificato pure il boss.
Difatti un boss che chiede pietà non si era mai visto. Eppure Beppe Signori davvero era il capoclan e anzi era ‘il Dominus´proprio come Totò Riina era u curtu´. Ma ha chiesto pietà come i mollaccioni, ed è l´esordio nel mondo della malavita nazionale del boss quaquaraquà. Gli inquirenti raccontano che il nome di Signori non poteva neppure essere pronunziato dagli affiliati ai clan, e infatti nelle intercettazioni è sempre indicato con una perifrasi, qualche volta è ‘quello che ha segnato tutti quei gol´, più spesso è il ‘Beppe nazionale´, come Michele Greco era ‘il papa´. Ma ve lo immaginate Provenzano che chiede pietà quando lo arrestano?
E forse sono squalificati anche come boss perché, con i cavalli da corsa, i cani da caccia e le belle di notte, i calciatori condividono l´invalicabilità della giovinezza. Sia Signori sia Bettarini sono ex calciatori, ex divi che combattono contro il proprio narcisismo ferito. E sono purtroppo pochi gli sportivi che, da adulti, si aggiornano e riescono a reinventare il proprio destino. Alcuni fanno gli allenatori e altri riescono ad investire bene il denaro guadagnato. Quelli patetici finiscono in televisione a ballare sotto le stelle, semivip nella scuderia di Lele mora come appunto Bettarini… Non è facile per nessuno dimenticare di avere vissuto la stagione dei re e dei paladini, e ci vuol poco a perdere lo stile, a valicare il confine dell´etica personale, a organizzare scommesse, ad entrare nel clan che – attenzione – penetra dentro le fragilità del calcio così come si radica nelle debolezze sociali dei territori a rischio: il centrocampo dell´Atalanta è come le strade di Scampia, la difesa del Benevento è come una piazza del Brancaccio.
Dunque delinquere non è più il paradosso dello sportivo. Come sanno bene anche i presidenti del Coni e della Federcalcio, dell´Assocalciatori e della Lega, delinquere è uno dei destini possibili di quell´attività che fu disinteressata, che fu il luogo del diletto ma è diventata anche il luogo del delitto, un´area infetta, e non perché è professionismo ma perche è professionismo di quest´Italia, dell´Italia di questa epoca. Scandali ce ne sono dovunque e ce ne saranno sempre, guardate per esempio quel che accade in Francia. Di tradimenti e complotti è piena la storia. Ma è oggi che l´Italia corrotta della politica non rispetta più gli argini. La corruzione in Italia, che è mostruosa in politica, è carsica nello sport.
Certo, nel calcio suona ancora caricaturale quel gergo malavitoso: la cosca degli albanesi e quella degli zingari, i bolognesi e la divisione per bande. Sono i codici della ‘ndrangheta e della camorra, parole d´ordine dei quartieri spagnoli che segnalano l´aspirazione della delinquenza a farsi sport, così come le minacce, «ti ammazzo», esprimono per ora l´escalation della combriccola, sono schizzi di bile nera e scaracchi di violenza che sovrastano l´intelligenza e anche la viltà individuale. Ma la faciloneria delle parole grosse e l´uso disinvolto della minaccia sono ferocia in cammino. Prima o poi le parole non bastano più…
E quel Marco Paoloni che versa intrugli nel tè dei suoi compagni sembra uscito da un romanzo di Cagliostro, è la strega che consegna a Biancaneve la mela avvelenata per farla diventare brutta, ma potrebbe presto trasformarsi nella vecchia dell´aceto, l´avvelenatrice, sino al caffè di Gaspare Pisciotta. E guardate il tariffario: 400mila euro per la serie A,120mila per la B, 50mila per la Lega professionisti, i titoli bancari a copertura delle giocate… Somiglia al tariffario del ragioniere Spinelli, quello che retribuisce le ragazze di Arcore, l´uomo delle buste ‘dedicate´, una tariffa per ogni gol del padrone, e gli appartamenti a Barbara, a Marysthelle, a Miriam che stanno in serie A, gioielli e foulard e vestiti ad Aris, a Elisa e a Ioana che stanno in B.
Ovviamente non bisogna sparare nel mucchio, c´è un´Italia normale che fa il braccio di ferro con quell´altra, non tutto il calcio è Beppe Signori, non tutta l´università è il rettore Frati, non tutta l´alta finanza è Antonio Fazio, non tutti i preti sono l´orco pedofilo di Genova, non tutta la politica è Berlusconi, non tutta la Rai… C´è un braccio di ferro tra due Italie e ci vuole sempre un segnalinee che stabilisca gioco e fuorigioco perché viviamo border line e basta poco per passare il confine che c´è tra Beppe Signori e Gigi Riva.
La Repubblica 03.06.11