Quale Paese troveranno i capi di Stato che stanno arrivando a Roma da tutto il mondo? E quale Paese lasceremo alle generazioni future, ai nostri figli e ai nostri nipoti? L’anniversario della Repubblica, nel centocinquantesimo compleanno della nazione, ci impone di affrontare queste domande. Non se ne è sottratto Mario Draghi, esprimendo per l’ultima volta le sue Considerazioni finali da Governatore della Banca d’Italia, prima di assumere la guida della Banca centrale europea. E ha dato risposte che incoraggiano. Draghi ha sì parlato di un Paese «insabbiato» , impaurito dal futuro, afflitto da bassa mobilità sociale. Ma ha indicato la possibilità di un «Rinascimento politico e anche economico» , con parole che evocano, oltre a Cavour, la Costituzione della Repubblica romana del 1849, poi ripresa quasi cent’anni dopo dalla Costituzione della Repubblica italiana. A Roma, per la prima volta nell’Europa liberale, si teorizzò che la libertà da sola è appena un fiato di voce, se non c’è il progresso sociale, il salario per gli operai, la scuola per i ragazzi, il lavoro per i giovani. Il modo migliore per onorare il 2 Giugno e per accogliere gli ospiti stranieri è presentarci come un Paese unito attorno ai valori costituzionali. Il voto amministrativo ha spazzato via le velleità su una riforma della giustizia che si voleva «epocale» e in realtà, anziché colmare le gravi lacune di efficienza dei nostri tribunali, avrebbe rischiato di stravolgere l’ordinamento. Il senso delle istituzioni, gli equilibri tra i poteri, il rispetto delle regole e della legge non sono valori acquisiti per sempre; ma non sono neppure simulacri che i cittadini accettano di vedere negati o vilipesi. I 150 anni hanno dimostrato che gli italiani sono più legati alla patria di quanto amino riconoscere. Ma la patria non è esaurita dalla nazione; comprende anche lo Stato, che non può essere sentito — a maggior ragione da chi ha responsabilità istituzionali — come qualcosa di estraneo, che non ci interessa e non ci riguarda. I leader che oggi renderanno visita a Giorgio Napolitano forse non hanno sempre maturato un’idea seria della politica italiana. Ma certo sanno bene quello che l’Italia rappresenta nei loro Paesi. La terra della bellezza, dell’arte, della cultura, della creatività. Il mondo globale, che diventa sempre più uniforme, sempre più uguale a se stesso, guarda con ammirazione al Paese delle cento città, alla Roma della classicità e della cristianità come alla Milano del lavoro e della finanza, e alla grande provincia che a ogni crinale di collina cambia accento, paesaggi, prodotti. All’estero c’è una grande domanda di Italia. Il mondo di domani, che ci fa tanta paura, è anche una grande opportunità per un Paese che sia davvero unito e non lacerato tra Nord e Sud, Padania e Roma ladrona, terroni e polentoni, né ostaggio di una politica ridotta a rissa tra partigiani di interessi privati. Un esempio è sotto gli occhi del mondo: i soldati italiani delle missioni di pace, che saranno rappresentati nella rassegna di oggi. Uomini capaci di dimostrare che è ancora vero quel che diceva Cavour parlando di Garibaldi: gli italiani sanno battersi e morire per riconquistarsi una patria; sanno sacrificare anche se stessi, certo per la loro famiglia, ma anche per il bene comune. Il 2 Giugno dovrebbe richiamare la politica e in genere coloro che partecipano alla vita pubblica a essere all’altezza di questo esempio.
Il Corriere della Sera 02.06.11