Milano, Italia: forse si riparte da qui, come in altri momenti decisivi della vicenda repubblicana. Si ritorna qui, in un luogo centrale delle trasformazioni del Paese. Simbolo a più riprese dei suoi nodi irrisolti ma al tempo stesso delle sue potenzialità, delle sue risorse intellettuali e civili. Fra poche ore conosceremo l´esito definitivo del voto, e conterà moltissimo, ma va ricordato che pochi mesi fa questa tornata elettorale pareva quasi senza storia.
Condizionata dalla sua stessa parzialità. Il centrodestra appariva solido a Milano, largamente favorito a Napoli dall´inglorioso fallimento del centrosinistra, capace di mettere in qualche difficoltà l´avversario persino nella sua vacillante roccaforte bolognese e, ancor di più, in molte altre zone. La parzialità del confronto, insomma, sembrava destinata a mascherare la crisi profonda di una stagione berlusconiana che nel 2008 aveva celebrato il suo maggior successo. Successo confermato alle elezioni regionali di un anno fa grazie soprattutto all´affermazione della Lega.
Già ora quella tendenza appare comunque rovesciata, e la “rivelazione” quasi inaspettata di Milano ci permette di riflettere a fondo su di un rimescolamento più generale. Ci aiuta a interrogarci meglio sui differenti scenari che hanno iniziato a delinearsi dopo una lunga paralisi e nei quali sono destinati a confrontarsi modi diversi di intendere il futuro. Così è stato già in passato, nelle fasi di più intensa trasformazione del Paese.
Proprio nella Milano degli anni Sessanta balzarono prepotentemente in luce la straordinaria forza innovativa del “miracolo italiano” e al tempo stesso il permanere e l´intrecciarsi di contraddizioni pesanti, di ingiustizie sociali antiche e nuove.
Ad esaltare i primi versanti e ad attenuare, se non a correggere, i secondi venne allora un intenso fiorire culturale e politico che ebbe mille espressioni e mille canali. Esso contribuì anche a superare le divisioni e le lacerazioni della guerra fredda ed alimentò in forme nuove la vocazione riformatrice della città. Una città radicalmente trasformata dai grandissimi flussi migratori che la investirono: una tappa essenziale del processo di ridefinizione e di costruzione continua dell´identità nazionale.
La “fabbrica dei nuovi italiani” era il titolo illuminante di una inchiesta di Giorgio Bocca su quella Milano e sul suo hinterland, e quel processo fu messo presto, e duramente, alla prova. Nel ribollire delle ansie di trasformazione di fine decennio proprio a Milano – e contro Milano – mosse i primi passi un feroce tentativo di riportare all´indietro la storia. La strage di piazza Fontana annunciò l´inizio di quel tentativo, ma la città disse subito che esso era destinato a fallire: lo fece comprendere immediatamente, con straordinaria umanità, dignità e fermezza, la enorme folla accorsa ai funerali delle vittime. Quella, era Milano. E quella era l´Italia.
Una Milano e un´Italia che saranno attraversate e lacerate nel decennio successivo da tensioni ed esasperazioni che guardavano più al passato che al futuro, mentre il mondo si avviava a mutare e le condizioni stesse dello sviluppo erano messe drasticamente in discussione. Gli anni di piombo furono poi un vero incubo, e il successivo irrompere degli anni Ottanta sembrò travolgere, assieme a molte macerie, anche anticorpi salutari, culture generose, solidarietà sociali e civili. Sembrò porre le basi di uno stravolgimento senza argini. Per più versi l´Italia di oggi ebbe lì la sua incubazione, e quegli anni debbono ancora essere realmente capiti, nei loro differenti versanti: a partire dalla fine dell´universo industriale e dei suoi valori e dall´impetuoso affermarsi di forme inedite della produzione e del lavoro, della socialità e della conoscenza.
Nel crogiolo degli anni Ottanta, e a Milano più che altrove, la modernizzazione italiana ha avuto certamente una tappa essenziale ma resta un nodo ancora irrisolto la “qualità” di essa: le sue potenzialità ma al tempo stesso i tarli annidati al suo interno. Tarli che poterono erodere non superficialmente il tessuto connettivo del Paese proprio per l´assenza di una politica in senso alto: per lo svanire di una cultura riformatrice; per il degenerare estremo della partitocrazia; per il dilagare della corruzione come metodo; per il generale affievolirsi dei confini fra legalità e illegalità, in un processo che attraversava insieme – come Pasolini aveva intuito – il Palazzo e il Paese. In questo quadro le pulsioni all´esclusione sovrastarono drasticamente quelle all´inclusione, gli egoismi individuali e di ceto dilagarono, il rifiuto delle regole si coniugò alla rivalsa rancorosa e sin la ragion d´essere della nazione sembrò incrinarsi (su più versanti: anche dal meeting di Cl venne vent´anni fa l´invocazione di una “seconda Norimberga” contro gli artefici del Risorgimento).
La “prima repubblica” crollò in quel quadro, e in assenza di solidi argini l´antipolitica di Bossi e quella di Berlusconi trionfarono insieme. Fu un trionfo meno effimero di quel che inizialmente parve, e destinato a irrobustirsi – anche per demeriti altrui – nelle non lineari vicende di un lungo periodo. Un periodo che ha visto all´opera un´intensa “diseducazione civica” volta ad irrobustire antiche pulsioni allo sprezzo delle regole, all´affermazione individuale incurante dei vincoli collettivi. Volta, anche, a preparare una deformazione profonda dello stato di diritto e ad attentare in maniera sempre più esplicita all´edificio costituzionale. Eppure quel progetto è andato progressivamente in crisi, e alla sua agonia rimandano le pratiche dell´indecenza che la maggioranza ha fatto progressivamente prevalere.
Quell´agonia è ormai irreversibile ma più a lungo si protrarrà più si moltiplicheranno i veleni e i detriti destinati a inquinare e a ostruire le vie del futuro. Di qui l´importanza dei differenti segnali che sono venuti negli ultimi mesi, a partire anche dal rinascere dell´iniziativa collettiva. Di qui il valore della riscoperta di “essere nazione”, a un secolo e mezzo dalla nostra alba e in una delle fasi meno felici della nostra storia. Di qui, anche, il significato di un´alternativa capace di poggiare, come è avvenuto a Milano, sulla propria identità e sul proprio progetto più che sui demeriti dell´avversario (dilagati poi oltre ogni limite). Capace di far prevalere l´interesse generale, di rimettere in campo modalità di buona politica e di essere riferimento credibile per energie e speranze civili che sin qui sembravano disperse e quasi umiliate.
Auguriamoci davvero che questa alternativa vinca, con un esito assolutamente impensabile appena venti giorni fa. Auguriamoci che vinca il Paese.
La Repubblica 30.05.11