Tre grandi fotografie in bianco e nero di milanesi caduti in nome della legge – Giorgio Ambrosoli, Guido Galli ed Emilio Alessandrini, giudici eroi della Seconda Resistenza contro i terroristi – esposte sulla facciata di palazzo di Giustizia sono state la miglior risposta – la più dignitosa ed efficace – ai violenti attacchi di esponenti del centrodestra alle istituzioni e, in particolare, alla magistratura. Milano non dimentica. Tre semplici immagini evocatrici di una stagione in cui violenza e intolleranza hanno insanguinato le strade della città hanno spazzato via i truci manifesti, «Via le Br dalle Procure», del candidato Pdl, Roberto Lassini e i virulenti attacchi di Daniela Santanché arrivata a definire «una metastasi», il pm Ilda Boccassini.
«19 marzo 1980: un bambino di 12 anni piange disperato il padre ucciso. Aprile 2011: un uomo di oltre 40 anni è costretto a leggere manifesti infamanti contro quelle procure che guidarono il Paese oltre la devastazione del terrorismo». L’accorata lettera scritta prima di Pasqua al Corriere della Sera da Giuseppe, il figlio di Guido Galli (le due figlie indossano la stessa toga del padre) avrebbero dovuto suonare da campanello d’allarme per Letizia Moratti e la sua squadra di consiliori e spin doctor. Odio e denigrazione dell’avversario non pagano nella città del magistero di grandi cardinali, da Montini a Martini a Tettamanzi e del riformismo socialista mai del tutto sepolto. Incredibilmente però Letizia Moratti che il 18 aprile, in linea con la sua storia di moderata, aveva preso le distanze dall’operazione Lassini è poi caduta nella stessa trappola. Non solo non ha mai preso le distanze dal cosiddetto «stile Santanché», non solo ha lanciato dopo il fischio dell’arbitro una falsa accusa a Giuliano Pisapia ma, neppure a urne chiuse, ha ammesso i suoi errori.
Molto si è già discusso e si discuterà su chi ha spinto Moratti (alla sua prima campagna elettorale con la tessera di partito; a palazzo Marino fu eletta da indipendente) su posizioni così estreme giocandosi così, almeno al primo turno, una fetta consistente del voto moderato. Di certo, però, nonostante gli indefessi tour elettorali del sindaco, di quartiere in quartiere, tra cene con mille donne, tagli di nastri e comizi in dialetto per sedurre i leghisti, il sindaco e la sua squadra di assessori non sembrano aver saputo ascoltare le voci di Milano. Facile ora dire affronteranno il ballottaggio parlando dei problemi della città. Piccolo esempio: l’assessore ai servizi sociali Mariolina Moioli, fedelissima del sindaco, per mesi ha snobbato i rappresentanti dei 1500 genitori dell’istituto St. Louis (non certo pericolosi comunisti!) disposti a pagare di tasca loro la ristrutturazione di un edificio dismesso regalando al Comune anche un asilo pur di avere a Milano un liceo inglese. Risultato: tra i genitori c’è chi, per pura protesta, ha convogliato i voti su un candidato di sinistra, Lamberto Bertolè (1660 preferenze).
Affitti impossibili per studenti e giovani coppie; difficoltà per tante donne di conciliare maternità e lavoro; inquinamento da traffico privato; luoghi storici come la Darsena e Sant’Ambrogio da anni deturpati dai cantieri di contestatissimi parcheggi. Non solo, come dice Bossi, le buche nelle strade: l’elenco dei problemi da affrontare nella metropoli in crisi è davvero lungo ed è davvero ingiusto dare tutte le colpe alla sola Moratti. Anche Berlusconi potrebbe riflettere se, in questi anni, non ha persino penalizzato (esempio: Linate-Malpensa svuotate a favore di Fiumicino con grave disagio per tanti professionisti e imprenditori del made in Italy) la città che l’ha portato fino a Palazzo Chigi. Milano di donne come Benedetta. La figlia di Walter Tobagi, un’altra vittima milanese dei terroristi che, indignata dai manifesti sulle Br e dalle invettive della Santanché, si è battuta fino all’ultimo comizio per Giuliano Pisapia ora commenta: «Milano non ha dimenticato e non si adegua; è una signora!».
La Stampa 18.05.11