Il capo dello stato italiano in visita nei Territori promette ad Abu Mazen un’ambasciata a Roma.
Il tempismo dell’annuncio di Giorgio Napolitano sembra tutt’altro che casuale. L’Italia – ha detto il presidente della repubblica, in visita ufficiale nei territori della Cisgiordania – riconoscerà alla sede diplomatica palestinese a Roma il rango di ambasciata. Come per un qualsiasi altro stato del mondo, mentre la Palestina ad oggi figura solo come entità non statuale.
Non si tratta quindi di un passaggio esclusivamente tecnico. La scelta oltretutto arriva a breve distanza dalla pacificazione firmata al Cairo tra Fatah e Hamas, i partiti che governano le due metà dei territori controllati dall’Autorità palestinese.
E nel giro di pochi mesi, a settembre, l’assemblea generale delle Nazioni Unite potrebbe votare sul riconoscimento ufficiale dello stato di Palestina. Che Napolitano allora abbia voluto anticipare la posizione italiana in vista di quel voto? Samir al Qariuti – giornalista palestinese, opinionista per al Jazeera e Bbc – ci dà risposte improntate alla cautela: «Il presidente della repubblica ha parlato dell’importanza di maggio e di giugno per riaccendere il clima di dialogo, in vista del voto di settembre. Non dico di essere scettico sull’appoggio italiano al riconoscimento della Palestina, ma le parole usate indicano – prosegue Qariuti – che ad oggi non si è ancora deciso nulla».
L’Italia non sarà il primo paese a innalzare lo status della rappresentanza palestinese. «Già i paesi arabi, molti paesi asiatici e la Russia riconoscono i delegati palestinesi col rango di ambasciatori. Ma il fatto è interessante in prospettiva europea».
Francia e Gran Bretagna infatti hanno già dato mandato ai loro ambasciatori di preparare un testo su cui far convergere la più grande maggioranza possibile nell’assemblea Onu. Secondo fonti diplomatiche israeliane, citate dal quotidiano Haaretz, la coalizione filo-palestinese nel Palazzo di vetro conterebbe 130 nazioni; il riconoscimento della Palestina – proseguono le fonti – potrebbe arrivare a sfiorare l’unanimità, con 170 voti, se la formulazione del testo fosse molto “moderata”. Il timore dei palestinesi, racconta Qariuti, è che la mozione su cui l’Assemblea voterà venga formulata in modo troppo “restrittivo”, senza un riconoscimento completo della sovranità dell’Anp. «Speriamo che (la mossa di Napolitano) non sia un “cerotto su una gamba di legno”. Serve un riconoscimento totale del diritto di questo popolo a costituire uno stato indipendente».
È possibile dunque che nei prossimi mesi lo scenario israelo- palestinese entri in una fase nuova. L’interruzione dei negoziati diretti non ha ucciso del tutto il dialogo, se persino il presidente israeliano Shimon Perez, nei giorni scorsi, ribadiva l’importanza di trattative segrete, lontane dalla luce dei riflettori.
Le rivolte in Nord Africa, poi, potrebbero ridisegnare gli equilibri della regione.
In parte sta già succedendo, commenta Qariuti, con l’accordo tra Hamas e Fatah: «La conciliazione ha una causa principale: la caduta del regime egiziano, che era alleato della destra israeliana e teneva Gaza sotto assedio. Se l’Egitto cambia, cambiano tutte le prospettive nel mondo arabo».
Il giornalista accoglie con favore la riunificazione delle due fazioni palestinesi: «È un ritorno alla normalità, si è finalmente capito che quella divisione andava a discapito del popolo palestinese. L’unica parte ad aver tutto l’interesse a mantenere quella divisione è Israele».
L’unità dei palestinesi però non indebolirà il processo di pace: «Hamas sostiene di essere pronta a sottostare a ogni decisione che favorisca un ritiro israeliano nei confini del 1967.
È qui la chiave della soluzione del problema: se tutti riconoscessero questa data, come si chiede da molti anni, davvero potremmo essere vicini a un accordo».
da Europa Quotidiano 17.05.11