I colpi maggiori al nostro ordinamento vengono dai tagli massicci del bilancio, imposti da Tremonti per fronteggiare deficit e debito pubblici, un obbligo cui non si poteva deflettere, ma che si sarebbe dovuto suddividere su altre voci (di spesa e di entrata) così da salvaguardare l´istruzione e l´avvenire delle nuove generazioni, come è avvenuto negli altri Paesi europei. Ogniqualvolta m´imbatto in qualche analisi seria sullo stato della nostra scuola, un senso di desolazione mi pervade e non mi consola unirmi al coro anti-Gelmini, non perché anche quest´ultima non abbia commesso i suoi errori, ma in quanto i colpi maggiori al nostro ordinamento vengono dai tagli massicci del bilancio, imposti da Tremonti per fronteggiare deficit e debito pubblici, un obbligo cui non si poteva deflettere, ma che si sarebbe dovuto suddividere su altre voci (di spesa e di entrata) così da salvaguardare l´istruzione e l´avvenire delle nuove generazioni, come è avvenuto negli altri Paesi europei che dimostrano ben altra sensibilità di fronte a questo snodo centrale del loro futuro. Del resto, i tagli sono cominciati nel 2004, col secondo governo Berlusconi, sono proseguiti anche in seguito e si sono ancor più accentuati negli ultimi anni. Lo prova ad abbondanza il dossier “Un´indagine sugli insegnanti italiani” presentato dal Cidi (Centro d´iniziativa democratica degli insegnanti, e-mail: insegnarecidi.it) che si potrebbe paragonare, per l´accuratezza della documentazione e dei dati, a una Tac sullo stato di salute (o meglio di malattia) di quella che un tempo orgogliosamente si chiamava Pubblica istruzione. Se a qualcuno sta ancora a cuore il tema se lo procuri con la modica spesa di 9 euro. Potrà riflettere, per citare qualche dato, sul fatto che gli insegnanti italiani sono i più vecchi e i peggio pagati d´Europa, con una età media superiore ai cinquant´anni e un´assunzione che risale almeno a vent´anni orsono. La mancanza di concorsi, la diminuzione di nuovi posti, il taglio di ore che proseguirà fino al 2015, l´andata in pensione senza rimpiazzo si tradurranno in un´ulteriore riduzione di organico anche senza licenziamenti. Nel contempo si cristallizzerà una condizione di precariato di lungo periodo, spesso sopra i 40 e talvolta i 50 anni di età, con un ulteriore invecchiamento del personale.
Ma quel che ha depauperato socialmente oltre che economicamente gli insegnanti, avvilendone sempre più il ruolo, è il progressivo calo delle retribuzioni reali, senza recupero del fiscal-drag e dell´inflazione accertata, accentuato dall´ultima Finanziaria che impone il blocco della contrattazione e degli scatti di anzianità fino al 2013, con ricadute sulle pensioni e sul trattamento di fine lavoro. A seconda dell´anzianità e del livello scolastico un insegnante guadagna al netto delle ritenute tra 1200 euro a inizio carriera a 2000 al suo termine. Non tenendo conto di questi ultimi aggravi, le statistiche Ocse al 2010 vedevano, a parità di potere d´acquisto, a fine carriera un insegnante italiano delle elementari a 38.000 dollari l´anno contro una media internazionale di 48.000, un docente della secondaria di I grado a 42.000 contro 51.000, un docente della secondaria superiore a 44.000 contro 55.000. Vi è inoltre da considerare che il massimo del livello viene raggiunto da noi dopo i 35 anni di servizio, contro i 25 della media Ocse. L´indagine del Cidi si sofferma a lungo su considerazioni che non possiamo neppure riassumere concernenti gli effetti negativi del declassamento economico sulla percezione sociale degli insegnanti come figure di riferimento e dello stesso studio concepito come un valore controcorrente se non inutile. Ne deriva un quadro deprimente della marginalità culturale del nostro Paese, in coda per numero di laureati in proporzione alle leve demografiche, per titolo di studio (meno della metà della popolazione ha un titolo secondario superiore contro l´85% della Germania), per spesa pubblica per l´istruzione (il 4,5% contro il 5,7% della media Ocse). Abbiamo elencato solo alcuni dati di un dossier che se vigesse un codice per punire i delitti sociali potrebbe costituire l´atto di incriminazione di una intera classe politica.
La Repubblica 16.05.11