Per una maggioranza parlamentare fondata sul populismo mediatico, assuefatta alla ricerca e alla raccolta del consenso attraverso il controllo pressoché esclusivo della televisione, pubblica e privata, il subdolo tentativo di sottrarsi ai tre referendum in calendario a metà giugno è un paradosso imbarazzante che ha tutte le caratteristiche di una nemesi storica. Ovvero, di una pena del contrappasso di dantesca memoria. Tanto è avvezzo il centrodestra a invocare come un´ordalia la volontà o la sovranità popolare, al riparo del conflitto di interessi che fa capo al presidente del Consiglio e in forza di questo o quel sondaggio d´opinione, quanto il governo appare adesso preoccupato e smarrito di fronte alla verifica di una consultazione diretta.
Che cosa c´è di più “popolare” di un referendum? In quale altra occasione o con quale altro strumento si può esprimere più efficacemente la volontà del popolo? E in quale istituto della democrazia, appunto, si manifesta meglio la sua sovranità?
Innescata dalla catastrofe atomica giapponese, la paura di una sconfitta politica nel referendum sul nucleare ha indotto il centrodestra a ricorrere a una duplice ipocrisia: prima, quella della “pausa di riflessione”; poi, la cosiddetta “moratoria”. Entrambe all´insegna di un proclamato “senso di responsabilità”, pubblicamente contraddetto nell´arco di pochi giorni dallo stesso Berlusconi con l´improvvido annuncio che se ne riparlerà comunque fra uno o due anni, appena superato il tragico ricordo di Fukushima. Se questo non è un trucco, uno scippo, una truffa, ai danni della volontà popolare, tanto vale abolire il referendum dal testo della Costituzione.
Hanno ragione perciò i comitati referendari a protestare contro l´oscuramento decretato dalla Rai, nell´ultima fase della dissennata gestione di Mauro Masi, violando palesemente i compiti d´informazione e gli obblighi d´imparzialità e completezza che spettano al servizio pubblico radiotelevisivo. E mentre l´Autorità sulle Comunicazioni richiama i telegiornali per la “sovraesposizione del premier”, fa bene ora il sindacato dei giornalisti interni a reclamare un segnale immediato di discontinuità da parte della nuova direzione generale. Piaccia o non piaccia al governo in carica e alla maggioranza posticcia che ancora lo sorregge, il ricorso al referendum abrogativo è un diritto supremo che garantisce il rispetto della volontà e della sovranità popolare.
A ulteriore conferma di questa operazione truffaldina, c´è poi il boicottaggio annunciato contro il referendum sull´acqua. Lasciamo stare qui il merito della questione: se l´acqua resta una risorsa pubblica, se si tratta di un´effettiva privatizzazione oppure se si possa distinguere tra gestione e distribuzione. Quello che conta è che c´è una legge approvata dal Parlamento e che questa legge può essere abrogata o meno attraverso una consultazione popolare. Non è accettabile sul piano democratico che la maggioranza cerchi di cambiare in extremis le carte in tavola, ricorrendo a qualche espediente per modificare o correggere un provvedimento già sottoposto alla procedura referendaria. Allo scippo, si aggiungerebbe in questo caso anche l´esproprio.
Ma il “clou” della manovra anti-referendaria, dissimulata sistematicamente dalla propaganda filo-governativa, riguarda il “legittimo impedimento”: cioè il meccanismo che consente al capo del governo di decidere se ed eventualmente quando presentarsi in tribunale, per rispondere alle varie accuse che gli vengono rivolte dalla magistratura, chiamata ad amministrare la giustizia proprio “in nome del popolo italiano”. E questo sarebbe davvero il colpo grosso, con l´unico obiettivo di difendere la posizione giudiziaria del presidente del Consiglio. Anche qui, a parte il merito della questione, si tratta essenzialmente di rispettare il fondamentale diritto dei cittadini a esprimere un giudizio definitivo su una legge votata da una maggioranza di parlamentari nominati dai capi-partito.
Arriviamo così all´invereconda situazione di un centrodestra che vince le elezioni con il sostegno di un apparato mediatico in cui si realizza il più macroscopico conflitto di interessi al mondo. Attraverso una legge elettorale definita notoriamente una “porcata”, conquista una maggioranza dei seggi in Parlamento pur avendo ottenuto una minoranza dei voti nelle urne. E poi, invocando a ogni piè sospinto la volontà o la sovranità popolare, nega al popolo la possibilità concreta di ricorrere al referendum abrogativo. Se questa è ancora una democrazia, bisogna dire che è gravemente malata.
La Repubblica 30.04.11