Niente di nuovo sotto il cielo, per carità, ma l’Italia esce con le ossa rotte dalla lettura del primo rapporto Ocse sulla famiglia. I numeri sono impietosi e imbarazzante è il confronto, tanto per rimanere nel solco di una rivalità che proprio in questi giorni è tornata di gran moda, con la Francia, indicata per molti aspetti come un modello di riferimento.
Tre dati balzano immediatamente agli occhi: il tasso di occupazione femminile, quello di fertilità e quello sulla povertà infantile. Nelle tre classifiche l’Italia occupa le ultime posizioni. Rispetto a una media Ocse del 70,9%, la quota di donne al lavoro nella fascia 25-54 anni è infatti del 59,1%, la più bassa dopo Turchia, Messico e Cile. La Francia è al 76,6 per cento. E chi pensa che a una maggiore presenza delle donne in casa possa logicamente corrispondere una maggior propensione ad avere figli viene subito smentito dal tasso di natalità: l’Italia è a 1,4 figli per donna, rispetto a una media Ocse di 1,74 e con la Francia a 1,99.
Proprio la difficoltà a trovare lavoro e, una volta trovato, il rischio di non poterlo conciliare con eventuali impegni famigliari – per l’atavica ostilità di molte aziende e la carenza di servizi a costi accettabili – spingono infatti le donne a ritardare sempre più il momento della procreazione, con il risultato che poi i figli non arrivano. D’altronde solo nel 50% delle aziende italiane con oltre 10 dipendenti esiste la possibilità di avere orari flessibili.
L’inadeguatezza delle politiche a sostegno della famiglia si traduce inoltre in una forte percentuale di bambini poveri, appartenenti cioè a un nucleo il cui reddito complessivo – anche perché la ridotta occupazione femminile fa sì che di buste paga spesso ce ne sia una sola – è inferiore alla metà di quello medio: in Italia siamo al 15,3%, rispetto a una media Ocse del 12,7% e all’8% della Francia.
Un ruolo lo gioca anche il livello di istruzione dei genitori: in Italia solo nel 6,6% delle famiglie padre e madre hanno entrambi un’istruzione “superiore” (almeno la laurea), la media Ocse è del 13,2% e la Francia è al 15 per cento.
D’altronde l’Italia è uno dei Paesi Ocse che spende meno per le sue politiche famigliari: l’1,4% del Prodotto interno lordo, mentre la media dell’organizzazione è del 2,2% e la Francia è al 3,8 per cento. E soprattutto i Paesi che spendono di più spesso spendono meglio, concentrando cioè le risorse su tutti i servizi (a partire dai nidi e da orari prolungati pre e dopo scuola) di cui le donne hanno più bisogno nei primi anni di vita dei figli. Quando devono essere in condizione di poter riprendere il lavoro in condizioni di tranquillità e sicurezza.
Senza arrivare al record del Lussemburgo (93mila dollari), la Francia spende 55mila dollari all’anno in servizi e agevolazioni per ogni bambino al di sotto dei 5 anni. La media Ocse è di 36mila dollari, l’Italia è a 33mila.
La conseguenza è che il 42% dei bambini francesi va al nido (pubblico, gratuito e di eccellente qualità, anche se negli ultimi anni qualche problema di carenza di posti è emerso), rispetto al 29% in Italia (la media Ocse è del 31%). E solo il 6% dei bambini italiani tra i 6 gli 11 anni frequenta un pre-dopo scuola, in larga parte perché il servizio, a causa dei finanziamenti ridotti, non c’è.
L’organizzazione parigina chiude il suo rapporto con una serie di raccomandazioni ai Paesi membri: finanziare i nidi, varare politiche attive a sostegno dell’occupazione femminile, promuovere i permessi di paternità (la Confindustria francese, guidata da una donna, ha persino proposto di renderli obbligatori).
Il Sole 24 Ore 28.04.11