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"Un simbolo di libertà", di Carlo Petrini

Il nonno diceva a un Tonino Guerra bambino: «Se non guardi mai indietro, come fai ad andare avanti?» Se io guardo alla storia dell´acqua vedo che a periodi bui e drammatici dell´epopea umana sono sempre corrisposti un arretramento nella sua distribuzione e utilizzo e diverse forme di privazione. Che, guarda caso, ha la stessa etimologia di privatizzazione.
Si pensi alle tecnologie idriche, per quel tempo stupefacenti, dei Sumeri o più tardi alla maestosità degli acquedotti romani. Facevano capo a società floride, che avevano inventato modi per distribuire l´acqua liberamente a tutti, per affrancarsi dal limite di doversi insediare presso i fiumi e le sorgenti. Era tutta acqua pubblica, cosa che a quel tempo nessuno avrebbe mai messo in discussione. Anzi, i castellum acquae di epoca romana, dove finiva l´acqua degli acquedotti per essere poi attinta, erano opere pubbliche.a volte anche sfarzose, donate pomposamente alla popolazione. Pomposamente, ma “donate”.
Nel Medioevo è poi scattato una sorta di blackout: tutta quella sapienza, quella tecnologia e ingegnosità condivise, al servizio della gente e del suo poter crescere e progredire, si bloccarono. Le persone si misero ad attingere acqua dai pozzi, la stragrande maggioranza dei quali – coincidenza? – erano individuali, privati. La cosa alla lunga favorì il diffondersi di malattie e insalubrità, tempi bui.
C´è un´altra storia in tema che mi ha sempre colpito. Circa 9000 anni fa le popolazioni del Centro America decisero di stabilirsi in una valle in Messico, che va da Tehuacán a Coxcatlán. Erano zone fertili, con abbondanza d´acqua. Quando poi arrivarono gli spagnoli, millenni dopo, trovarono una civiltà florida e una fitta, complessa, geniale rete di canali e bacini idrici che garantivano abbondanza d´acqua tutto l´anno grazie a un sistema che integrava perfettamente le risorse sotterranee e la raccolta d´acqua piovana. Questi canali delimitavano anche le terre, e gli spagnoli per espropriarle agli indios li smantellarono completamente: oltre alla violenza come mezzo di sottomissione usarono anche la privazione dell´acqua. Con i conquistadores non iniziò certo un periodo risplendente per quella civiltà indigena, fu lo sprofondo nel buio. Oggi questa zona lotta strenuamente contro la desertificazione ed è una delle più povere del Messico, nonostante le fonti d´acqua sotterranee ci siano ancora e diano acqua pregiata, da bere, tanto che se si chiede dell´acqua minerale in un bar di Città del Messico si può tranquillamente domandare della “Tehuacán” senza timore di essere fraintesi. Peccato che quelle fonti e quelle bottiglie di minerale ora appartengano alla Coca-Cola.
Se l´acqua non è libera la gente non è libera. Se l´acqua non è libera, disponibile e abbondante, la civiltà fa un passo indietro. Quanto serve guardare al passato, a volte. I mezzi e mezzucci che oggi usano le multinazionali per accaparrarsi l´acqua in tutto il mondo, e la politica irresponsabile che in questa missione d´imbarbarimento gli regge il moccolo, prona e instupidita dal fiutare anche lontanamente qualsiasi business, sono deleteri per la nostra libertà. Privatizzare un bene comune come l´acqua significa privarne qualcuno, e non c´è nessun richiamo all´efficienza o altra scusa che tenga. Perché l´efficienza dei beni comuni dev´essere pubblica, al limite pomposamente “donata” senza chiedere nulla in cambio. Non è soltanto una questione di principio, lo dimostra la storia. Privare gli italiani del diritto di esprimersi attraverso i referendum è prima di tutto becero, un triste regredire della nostra civiltà. Sorvoliamo sui reali motivi, è un periodo buio e ci siamo dentro fino al collo.

La Repubblica 23.04.11

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