Il Lingotto sale al 46 per cento di Chrysler. Così controlla il gruppo Usa. Che la Fiat sarebbe diventata americana, lo si sapeva ormai da un bel pezzo, almeno dall’audizione parlamentare di Sergio Marchionne a metà febbraio. Che «la tappa storica», come l’ha definita John Elkann, potesse essere conquistata prima di Pasqua, invece nessuno poteva neanche immaginarlo. Così, fra lo stupore generale, da ieri mattina il gruppo automobilistico torinese controlla di fatto la Chrysler.
Il tutto grazie a un accordo secondo il quale la Fiat eserciterà un’opzione call (la facoltà di acquisire il gruppo di Detroit) sul 16 per cento delle azioni degli americani, salendo così dal 30 per cento attuale al 46, percentuale che permetterà a Torino di avere quasi la maggioranza assoluta. Per quest’ultima, poi, c’è poco da aspettare: secondo gli accordi presi col governo americano, Marchionne potrà salire gratis di un ulteriore 5 per cento nel momento in cui riuscirà ad assemblare un’auto ecologica negli Stati Uniti, cosa che dovrebbe avvenire non più tardi di fine anno.
Il costo dell’operazione è diviso in due step: prima di tutto, Marchionne dovrà rimborsare i finanziamenti concessi dai governi americano e canadese, che si aggirano fra i 7 e gli 8 miliardi di dollari, presumibilmente con l’aiuto di grosse banche internazionali; poi dovrà versare il prezzo della call, fissato in 1,27 miliardi di dollari.
Un bell’esborso, non c’è che dire, che però secondo il manager italo-canadese non dovrebbe cambiare in alcun modo il livello di debiti della società torinese. Con il blitz di ieri, si avvicina così il momento tanto temuto da sindacalisti e politici italiani: quello in cui i due gruppi si integreranno e inevitabilmente sarà necessario stabilire il quartier generale in uno solo dei due paesi. E il paese individuato da Marchionne, ça va sans dire, non è il nostro. Basta riprendere l’audizione parlamentare in cui il manager ha detto chiaramente che la testa non resterà più a Torino.
All’ombra della Mole, infatti, resteranno gli uffici che gestiranno le attività europee del gruppo, null’altro. Mentre a Detroit e in Brasile ci saranno i centri decisionali rispettivamente per il Nordamerica e il Sudamerica. Per quanto riguarda la “testa”, Marchionne ha affermato di volere scegliere sulla base dell’ambiente più favorevole alle imprese e dell’accessibilità al mercato dei capitali. Un modo, questo, per dire implicitamente che il futuro sarà americano.
La rapida accelerazione della trattativa, del resto, conferma la voglia matta del Lingotto di chiudere la partita. Lo stesso Marchionne ha spiegato agli analisti che già dal prossimo bilancio i conti di Fiat e Chrysler potrebbero essere “consolidati” ossia unificati. Un’impazienza, quella di Marchionne, figlia dei dati di vendita che vengono fuori dalle trimestrali di Fiat Auto e Fiat Industrial.
Per quanto riguarda il settore automobilistico, le cifre diffuse mercoledì mostrano senza ombra di dubbio come la redditività stia tutta nel mercato brasiliano per le utilitarie e nella vendita di auto di lusso, come le intramontabili Ferrari e Maserati. Per l’Europa (e l’Italia in particolare) invece continua il bagno di sangue: -29 per cento nel nostro paese e un misero +0,2 fuori dai confini nazionali.
Fiat Industrial tuttavia continua a macinare utili, a dimostrazione della forza Fiat nei veicoli commerciali. Insomma, i guadagni sono tutti fuori dall’Italia per il settore auto, e non stupisce che Marchionne abbia fretta di andare a Detroit. E statene certi che nessuno lo fermerà: la rivista Time lo ha già inserito fra le 100 persone più influenti al mondo, la prima volta per un italiano. Se non è una prova schiacciante questa…
da Europa Quotidiano 22.04.11