Dopo il lungo colloquio di ieri sera a Palazzo Grazioli, si può concludere che allo stato non esiste un «caso Tremonti» nel Governo. Il che non significa che tutti i problemi tra il presidente del Consiglio e il suo ministro dell’Economia siano stati risolti. Significa però che, se il chiarimento era necessario, un incontro di oltre due ore rappresenta senza dubbio un bel passo avanti.
Tremonti ne ha ricavato il sostegno del premier al suo operato. E sarebbe stato inverosimile il contrario, considerando la cornice europea dentro la quale si collocano le scelte di politica economica. Ne ha ricavato anche una sostanziale solidarietà rispetto al malessere serpeggiante contro la «tirannia» di via XX Settembre. Si poteva immaginare che Berlusconi coprisse o persino alimentasse i revanscismi anti-Tremonti della maggioranza. In apparenza non è così. Per cui si procede con l’agenda fissata e ai primi di maggio dovrebbe vedere la luce il famoso pacchetto che comprende fra l’altro la bozza di riforma fiscale.
Tutto risolto, dunque? Non proprio. Di sicuro ieri è stata una giornata importante. Si è conclusa con una vittoria di Tremonti contro i suoi avversari, per la buona ragione che il ministro ha ancora dalla sua parte il presidente del Consiglio. In termini politici, è l’unica cosa che conta. Quanto agli autentici pensieri e sentimenti del premier verso il suo ministro, non sono proprio un segreto ed esistono ampie testimonianze al riguardo. Ma, appunto, sono pensieri (e frustrazioni) che non assumono forma politica.
Certo, non tutto torna nella curiosa vicenda di un ministro, Giancarlo Galan, conosciuto per non essere uno sprovveduto, neotitolare dei Beni culturali, che sferra un aspro attacco al collega Tremonti in un’intervista al «Giornale». Il quotidiano costruisce uno «scoop» da prima pagina (obiettivamente lo è) che diventa il punto culminante di una serie di critiche, più o meno esplicite, che in queste settimane il foglio milanese ha rivolto al ministro economico. «Il Giornale», come è noto, non è certo ostile al presidente del Consiglio. E Galan, dal canto suo, è un uomo la cui lealtà a Berlusconi è adamantina, temprata da un percorso comune che risale al ’94, anno della fatidica «discesa in campo».
Ed è proprio a quel momento magico, mito fondante del berlusconismo, che Galan si riferisce per chiedere un ritorno alle origini. Torniamo allo spirito del ’94, dice in sostanza: costruiamo il partito liberale di massa che era allora nelle nostre intenzioni. Un progetto a cui Tremonti era ed è estraneo, anche per la sua matrice «socialista». Evitiamo, conclude l’intervistato, che proprio questa estraneità tremontiana finisca «per farci perdere le elezioni».
Le parole di Galan non vanno prese alla lettera, bensì valutate per quello che rivelano. Non solo il malessere di ministri a cui, in qualche caso, il titolare dell’Economia non concede nulla, neanche la sua stima. A emergere sono le inquietudini dello stesso capo del governo, a poche settimane dal voto cruciale di Milano. Berlusconi vorrebbe da Tremonti il controllo dei conti in chiave europea, certo, ma anche qualche magìa che susciti il plauso, anziché le solite lamentele, delle forze produttive. Ecco lo spirito del ’94 che il premier evoca e che Galan cita con enfasi. Uno stato d’animo, non ancora una linea politica, dietro cui s’indovina la paura che il vecchio blocco sociale berlusconian-leghista possa, dopo tanti anni, entrare in crisi.
E come sempre accade quando una lunga stagione politica volge al crepuscolo, si rimpiange il passo d’inizio. Si vorrebbe appunto tornare alle origini. Tremonti rappresenta il richiamo prosaico della realtà, ma Berlusconi vorrebbe ancora inseguire il sogno. Soprattutto perché pensa che i sogni portano voti, mentre il rigore economico produce mugugni.
Il Sole 24 Ore 22.04.11