Il Def continiene una previsione di spesa in calo (dall’attuale 4,2% del Pil al 3,7% nel 2015). “Riduzione effetto delle misure di contenimento della spesa per il personale e di una riduzione della popolazione scolastica”. Previsione che segue di pochi giorni l’ennesimo attacco del premier all’istruzione pubblica, con “aiuti” per chi vuole spostare i figli alle private. Nel futuro dell’Italia si spenderà sempre meno per l’istruzione statale. Il Def (il Documento di economia e finanza) presentato dal premier Silvio Berlusconi qualche giorno fa, spiega tutto. Meno risorse per il personale della scuola, che dopo la cura da cavallo da 87 mila cattedre e 42 mila posti di personale Ata (amministrativo, tecnico e ausiliario), subirà ulteriori riduzioni. Stipendi più leggeri per gli insegnanti. E una quota sempre più bassa di ricchezza del Paese destinata a scuola e università. Ma non solo: il documento prevede anche una non meglio specificata “riduzione strutturale della popolazione scolastica”. Ovviamente, quella a carico dello Stato.
Ma andiamo con ordine. “La spesa per l’istruzione – recita il Def – presenta una significativa riduzione per effetto delle misure di contenimento della spesa per il personale, a cui segue un andamento gradualmente decrescente nel trentennio successivo, dovuto alla riduzione strutturale della popolazione scolastica”. Una frase ricca di mistero, visto che nonostante il calo delle nascite degli ultimi anni la popolazione scolastica è sempre cresciuta, per almeno due motivi: l’immissione nel circuito formativo degli alunni stranieri e il parziale recupero della dispersione scolastica.
Che si tratti invece della prova generale per dirottare verso le scuole private grandi masse di alunni che frequentano le scuole pubbliche? In effetti,
le ultime dichiarazioni del presidente del consiglio 1Berlusconi contro la scuola pubblica e gli insegnanti di sinistra “che inculcano valori diversi da quelli della famiglia”, lascerebbero pensare proprio a questo tipo di scenario. Visto che le esternazioni del premier sono state spesso accompagnate dalla necessità di consentire alle famiglie di iscrivere i figli anche nelle private attraverso l’erogazione di un buono-scuola.
In questo modo, l’eventuale ricchezza prodotta dal Paese nei prossimi anni potrebbe essere spostata altrove: la quota di Pil attualmente impegnata nell’istruzione, il 4,2 per cento, calerà al 3,7 per cento nel 2015 e addirittura al 3,4 nel 2060. “La previsione delle spese per l’istruzione – spiega Tremonti – ingloba gli effetti di contenimento della spesa derivante dal processo di razionalizzazione del personale della scuola pubblica anche attraverso la riduzione del gap nel rapporto alunni/docenti rispetto agli altri paesi”.
“E la previsione – continua – tiene conto degli effetti indotti dalle misure di blocco, senza possibilità di recupero, delle procedure contrattuali per il triennio 2010/2012 e del blocco del meccanismo automatico delle progressioni stipendiali per il periodo 2011/2013”. Che tradotto dal burocretese significa due cose: niente contratto per il personale della scuola almeno fino al 2013 e scatti “congelati” per un triennio. Quello che più temevano i docenti, che vedranno calare il potere d’acquisto delle proprie retribuzioni.
Ma la scuola dovrà fare i conti anche con l’effetto di trascinamento della riforma Gelmini che continuerà a mietere posti di lavoro per il futuro. La riforma dei licei, a titolo di esempio, il prossimo anno interesserà le seconde classi e dovrà ancora dispiegare i suoi effetti fino alla quinta. Con le immancabili ripercussioni sul futuro dei precari che troveranno più difficoltà ad accedere al ruolo. Il Programma del governo, che Bankitalia ha stimato in 30 miliardi di tagli, prevede due sezioni dedicate all’istruzione e alla ricerca: Istruzione & merito e Ricerca & sviluppo.
“Il capitale umano, come capitale fisico, è pilastro essenziale per una crescita duratura – si legge nel documento – Ci impegniamo a favorire l’eccellenza e il merito, sia tra gli studenti che tra gli insegnanti”. Con incentivi per i docenti della scuola e dell’università. E attraverso il Fondo per il merito, gli studenti universitari più meritevoli potranno avvalersi di prestiti a lungo termini per pagarsi gli studi e le spese di vitto e alloggio. Per la ricerca sarà previsto un finanziamento pubblico, attraverso il meccanismo del credito di imposta, a vantaggio delle imprese private che decideranno di commissionare o pagare alle università e agli enti di ricerca. E gli studenti temono che il Fondo integrativo per il diritto allo studio possa evaporare.
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