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"Mafia a due facce sulla via Emilia", di Roberto Galullo

L’economia criminale in Emilia Romagna è impressa su una moneta a due facce. Testa è quella tribale, violenta, che vessa e intimidisce. Croce è quella raffinata, nata dal matrimonio tra colletti bianchi e mafie, che blandisce e inquina.
Su qualunque faccia cada questa moneta, il risultato è sempre lo stesso: la regione è diventata ormai una terra di frontiera per la criminalità organizzata che qui sverna da almeno 40 anni. Ad affermarlo alto e forte è il capo della Procura della Repubblica di Bologna, Roberto Alfonso, arrivato nel capoluogo nel 2009 dopo 15 anni trascorsi come sostituto alla Procura nazionale antimafia. Il grido d’allarme è giunto il 22 febbraio, giorno in cui nel Riminese erano state arrestate 10 persone vicine al clan dei Casalesi, che in Riviera può persino contare su un ufficiale di collegamento con le altre mafie – ‘ndrangheta in primis, ma anche Cosa nostra e perfino le mafie straniere, a partire da quella russa, che qui investe con spocchia anche se nessuno è mai riuscito ancora a dimostrarne le infiltrazioni.
«Tanto c’è spazio per tutti», fa eco Lucia Musti, applicata alla Direzione distrettuale antimafia e procuratore aggiunto a Modena, altra Provincia invasa dalla camorra. Al punto che il 1° aprile il prefetto Benedetto Basile ha annunciato un protocollo d’intesa con gli enti locali per evitare le infiltrazioni negli appalti. Una zona talmente inquinata che, con un annuncio shock, Musti rivela che Michele Zagaria, la primula rossa dei Casalesi, latitante dal 1994, potrebbe aver trovato a Modena protezioni e collusioni.
I Casalesi, dopo aver cominciato con l’usura ed essersi arricchiti con il narcotraffico, hanno invaso il commercio, il turismo, il ciclo del cemento, il settore immobiliare, i locali notturni. Tante leve per riciclare denaro sporco. Certo non le uniche.
Il 22 febbraio la Procura mette in luce, dunque, la camorra violenta, che minaccia, picchia a sangue chi non si piega e minaccia di morte imprenditori e commercianti. «Con tecniche sfrontate – dichiara Alfonso al Sole 24 Ore – che forse non si usano più neppure al Sud». Qualche settimana dopo, il 7 aprile, lo stesso pool antimafia porterà invece alla luce la mafia “borghese” che da decenni ha già colonizzato la Provincia di Reggio Emilia, inquinando soprattutto l’edilizia. Il 7 aprile la Procura ribalterà il tavolo di uomini vicini alla cosca Mancuso di Limbadi (Vibo Valentia), una delle più spietate nel narcotraffico mondiale. Proprio i proventi milionari della droga erano stati reinvestiti – con l’aiuto di geometri, commercialisti e avvocati – in una girandola d’immobili ma, soprattutto, di società che spaziavano, tra Bologna e Granarolo, dal turismo all’abbigliamento.
Quel giorno, la Procura estenderà nel Bolognese il sequestro di beni per milioni agli eredi di Vincenzo Barbieri, trucidato il 12 marzo a San Calogero (Vibo Valentia). «È la prima volta che applichiamo questa misura in Emilia Romagna – dichiara Alfonso – e ora vediamo quale sarà l’effetto sulla gente».
Come accade del resto in tutto il Nord, l’opinione pubblica accetta con diffidenza l’idea che la parola mafia possa declinarsi anche da queste parti. Nonostante il 23 marzo siano arrivate le prime condanne per la maxitruffa ai danni degli oltre 120 lavoratori di assistenza a terra dell’aeroporto Marconi di Bologna, orchestrata dalla cooperativa fantasma Doro Group e dal suo dominus, l’ex pentito di ‘ndrangheta Giuseppe Galiandro, alias Giuseppe Andrea Danieli. Per lui – uscito dal programma di protezione – sono arrivati 4 anni e 11 mesi, patteggiati. La storia, che vede sul banco degli imputati nomi eccellenti della Bologna che conta, non è certo finita qui. Un ex maresciallo dei Carabinieri, accusato di aver favorito l’ex pentito nel corso della tutela in cambio di un pc e un’auto oltretutto per metà pagata di tasca propria, riversa tutta la sua paura al Sole 24 Ore. «Ho il terrore – dichiara Salvatore, di cui omettiamo il cognome, che ha già cambiato tre volte casa in località segrete – che vengano a cercarmi e fare del male alla mia famiglia». Ma chi e perché? «In molti – dice tutto d’un fiato – hanno interesse a sapere dove sono nascosti i pentiti che io ho protetto in tanti anni di servizio e che ora qualcuno cerca d’infangare. Dormo armato».
Se la società civile si sveglia a fatica, le banche cominciano a capire che il muro della legalità va alzato. Dal 2008 al 2010 le segnalazioni di operazioni sospette sono triplicate, ma si tratta ancora di numeri poverissimi rispetto al totale delle operazioni. Le imprese hanno capito per prime che non c’è tempo da perdere. Confindustria Modena ad esempio – attraverso il giornale online emmeweb – fin dal 2009 ha alzato il livello di guardia anche attraverso l’informazione. I professionisti sono andati a ruota. A febbraio Pietro Balugani, presidente del Comitato unitario delle professioni di Modena, ha presentato un codice etico antimafia. «Un passo indispensabile per adeguarci alla realtà», dichiara oggi.
Anche la politica fa sempre più la sua parte. A fine marzo, con voto unanime, l’Assemblea legislativa regionale dell’Emilia Romagna ha approvato la risoluzione presentata dal consigliere del Pd Marco Carini, che impegna la Giunta ad attivarsi presso il ministero dell’Interno per chiedere che anche in questa regione venga costituita un’agenzia operativa della Dia (la Direzione investigativa antimafia). Ma quante possibilità ci sono che il ministro Roberto Maroni prenda sul serio la proposta? «Mi meraviglierei se, pur con tempi lunghi, il ministro non ci rispondesse neppure», chiosa Carini.

Il Sole 24 Ore 20.04.11

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“Neppure San Marino si salva”, di R.Gal.

Una frontiera, oltretutto virtuale, non può certo fermare le mafie. Ne sa qualcosa San Marino, Repubblica nella quale la criminalità organizzata, che in Emilia Romagna è di casa, fa tappa.
L’ultima operazione contro i Casalesi è del 15 marzo. Quel giorno il gip Bruno Perla ha firmato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per una decina di persone.
L’operazione Vulcano ha svelato che l’associazione vessava alcuni imprenditori sammarinesi con metodi violenti, minacciando persino di morte i familiari. A loro veniva chiesta la restituzione di somme di denaro.
Nell’ordinanza si legge che a un’imprenditore chiedevano soldi minacciando «schiaffi al volto». In un altro passaggio, relativo a una coppia, si legge che «li avrebbero massacrati e avrebbero loro spaccato le ossa, se non avessero soddisfatto il debito». La conclusione sugli indagati del gip bolognese che firma l’ordinanza è che i reati vengono effettuati «con le aggravanti del fatto commesso da più persone riunite e munite di armi; con modalità mafiose consistite nell’avvalersi della forza d’intimidazione promanante dal vincolo associativo e dalla dichiarata affiliazione alla criminalità campana dei Casalesi, nonché dalla condizione di assoggettamento della vittima per acquisire il controllo diretto o indiretto delle attività economiche».
Anche a San Marino – soprattutto grazie ai comitati spontanei di cittadini e alle associazioni – la sensibilità sta crescendo. La scorsa settimana ha ospitato un convegno internazionale, ma la sensazione è che se il Governo non s’impegnerà nello scambio automatico d’informazioni con l’Italia, l’arroccamento e l’isolamento del Titano avranno tempi ancora lunghi.

Il Sole 24 Ore 20.04.11