«La Costituzione va difesa. Non è il momento più adatto per rivederla: non stiamo dando il meglio di noi, come italiani; mancano passione civile, valori comuni. Altro che nuova Costituente… Si respira un “estremismo estremo”. È preoccupante che le ragioni dell’unità risultino offuscate». Parole, appassionate, di Giovanni Bazoli, classe 1932, presidente del Consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, intervenuto ieri alla «Biennale Democrazia» in corso a Torino. A Palazzo Madama ha dialogato con il direttore de La Stampa Mario Calabresi sulla nostra carta fondamentale.
«Non mi sono mai sbilanciato in politica – incalza il banchiere bresciano –; mi espongo, invece, per sostenere la Costituzione, la casa comune che mantiene e costruisce l’unità del nostro Paese». Bazoli – una professione di avvocato lasciata per gli impegni nel mondo della finanza, giurista di formazione, poi docente alla Cattolica di diritto amministrativo e diritto pubblico – ha argomentato le sue tesi sul filo della memoria personale. Del padre Stefano, soprattutto, deputato democristiano alla Costituente: «Ha saputo trasmettermi l’entusiasmo di quegli anni». Un’energia – precisa – che nel genitore nasceva anche dal «fascino d’incontrare persone di orientamento differente, come il latinista Concetto Marchesi, con cui c’era sì un confronto pure aspro, ma sempre alto, senza eccessi».
È la nostalgia per un clima che non c’è più: «Il pensiero liberale – rileva – ha sempre avuto capacità di rinnovarsi, eppure, caduto il comunismo, non si è più espresso al meglio». Giovanni Bazoli, così, racconta dell’educazione cattolica ricevuta (il nonno Luigi è stato tra i fondadatori del Partito popolare con don Sturzo) e alimentata in un ambiente borghese-liberale, che aveva riferimenti forti in figure come Arturo Carlo Jemolo. La Costituzione va modificata perché contiene “scorie comuniste”? «Critiche infondate di qualcuno – taglia corto Bazoli –. La carta frutto di un compromesso tra le culture cattolica, marxista e liberale? Ogni legge, nelle democrazie, è figlia di un compromesso. Ma su valori forti. Non dimentichiamo, però, che alcune istituti di garanzia, come la Corte costituzionale o i referendum, vennero osteggiati proprio da Togliatti, che addirittura sosteneva l’eleggibilità della magistratura. Il primato assoluto della maggioranza al potere non va spinto oltre i limiti. Lui era sicuro di vincere le elezioni del 1948. Per fortuna non accadde. Allora, si sa, non c’erano sondaggi…».
Riferimenti all’attualità? Punzecchiature? «Nulla di tutto questo – ribatte –. Fa bene il presidente Napolitano quando richiama all’equilibrio tra i poteri. La seconda parte della Costituzione, intendiamoci, può essere modificata, ma non in maniera illimitata, perché deve essere coerente con i princìpi enunciati nella prima parte». Bazoli sfoglia carte e appunti; cita i discorsi dei padri costituenti (Calamandrei, La Pira, Croce). E sostiene che certi guasti istituzionali di oggi andrebbero cercati anche nei ritardi dell’attuazione della Costituzione: «Si parla di federalismo: bene, a patto che sia rigoroso – conclude il banchiere –, ma se le Regioni fossero state avviate prima del 1970 oggi non ci troveremmo a questo punto».
Il Sole 24 Ore 17.04.11