Quando si guarda alle prospettive per i giovani in Italia, viene da pensarla come Oscar Wilde quando diceva: “La maggior parte della gente non vive, esiste soltanto”. All’estremo opposto, sembra esserci la provocazione responsabile di Albert Einstein: “tutto ciò che ha valore nella società umana dipende dalle opportunità di progredire che vengono accordate a ciascun individuo”.
Due citazioni che riflettono due punti di vista solo apparentemente incoerenti, ma che invece descrivono il paradosso del dibattito sulle prospettive per i giovani italiani: il compito di ogni società è quello di garantire ai singoli le opportunità per realizzarsi come individui e, così facendo, contribuire alla crescita e allo sviluppo della comunità in cui vivono. Tutto questo, però, in Italia non succede.
È evidente che perseguire la propria felicità e la propria realizzazione non va solo a beneficio del singolo, ma anche della società in cui il singolo vive e opera. Le due dimensioni, individuale e collettiva, sono legate da uno scopo e interesse comuni. Per questo, chi gestisce la comunità e ha responsabilità pubbliche dovrebbe preoccuparsi della realizzazione dei singoli: perché il successo della comunità dipende dalla capacità di creare le condizioni per la riuscita di ognuno. In Italia, invece, molte persone, e in particolare i giovani, si ritrovano a doversi accontentare di esistere, abdicando spesso in questo modo alla realizzazione del proprio talento e dei propri sogni e impoverendo anche la società di ciò che avrebbero potuto costruire se fossero state date loro le opportunità e le risorse per farlo. In Italia, la constatazione che l’interesse dell’individuo è anche interesse di tutta la società non sembra trovare ascolto tra chi questa società ha la responsabilità di guidarla e potrebbe contribuire a cambiarla.
Chi ne paga il prezzo più alto sono quelli che – come i giovani – sono scarsamente rappresentati come gruppo sociale in una società quale quella italiana, costruita intorno ai campanili degli interessi corporativi. La retorica sul ruolo dei giovani nella società sembra svilupparsi di pari passo con il ritardo di politiche e iniziative per affrontare il problema. Una miopia, questa, che sta portando l’Italia a un serio impoverimento culturale, economico e sociale, con conseguenze gravi per il presente e drammatiche per il futuro.
La classe dirigente italiana non sembra preoccuparsi del fatto che, quando la maggior parte delle persone non vive, ma esiste solamente, queste persone non partecipano alla vita della società stessa, e indirettamente ne minano non solo la prosperità, ma la stessa esistenza nel lungo periodo. Non dimostrando di comprendere come il valore collettivo dipenda dalla capacità di sostenere la crescita e di fornire opportunità ai singoli che hanno le qualità, la preparazione e il talento per realizzarle, la classe dirigente italiana sta condannando il Paese a non avere un futuro, o ad avere un futuro peggiore del passato. Distanti ed autoreferenziali, molti di quelli che ricoprono responsabilità chiave, soprattutto nelle istituzioni e nella pubblica amministrazione nazionale e locale, nelle università, nelle imprese, o nelle libere professioni – vivono il proprio ruolo più in termini di privilegio e appartenenza che d’impegno e non sembrano capire di avere la responsabilità del declino dell’Italia. Il loro fallimento a sostenere le parti più giovani e dinamiche della società e la loro chiusura al nuovo stanno minando le basi per lo sviluppo economico e culturale del Paese.
In Italia esiste un disagio generazionale particolarmente grave, dovuto alla mancanza di opportunità di realizzazione personale e professionale. Più di quattro giovani italiani su dieci dichiarano di aver trovato lavoro attraverso raccomandazioni. Inoltre, sempre meno giovani si avventurano in percorsi professionali diversi da quelli dei genitori, dal momento che ripercorrerne le orme pare spesso l’unica reale opzione per condurre una vita economicamente autonoma e minimamente dignitosa. Secondo AlmaLaurea, quasi la metà dei padri architetti (il 44 per cento) ha un figlio laureato in architettura, mentre quattro giuristi su dieci hanno un figlio laureato in giurisprudenza che ne recupera i clienti. Lo stesso vale per gli ingegneri, i farmacisti e i medici, le professioni liberali della buona classe media. Per non parlare poi della scarsa mobilità sociale associata al passaggio di generazione: il 16 per cento dei figli di dirigenti arriva, dopo solo cinque anni dalla laurea, a ricoprire la carica di funzionario o dirigente, mentre più del quaranta per cento dei figli d’impiegati diventano impiegati. Il valore della laurea viene spesso superato dall’importanza di altri fattori, come la rete di relazioni familiari o sociali. E il prezzo di tutti questi compromessi è una fragilità degli individui, che ne inibisce la realizzazione della progettualità personale e professionale e riduce la disponibilità alla presa di responsabilità e di rischio in favore di un atteggiamento di rassegnazione.
Spesso si spiega il problema dello scarso dinamismo e dell’avversione al rischio dei giovani italiani richiamando cause culturali. Il problema, invece, è strutturale e sistematico: la propensione a impieghi sicuri e poco imprenditoriali e la staticità delle famiglie italiane sono i sintomi, non le cause. Il problema sta piuttosto nella mancanza di incentivi a una maggiore responsabilizzazione e nella mentalità appiattita su interessi corporativi e di casta. Mentre il problema è noto, le soluzioni sono meno evidenti. Al centro di ogni politica o iniziativa deve però esserci la convinzione che i giovani sono una risorsa a cui non si può rinunciare.
Per tentare di dare una risposta pragmatica e concreta a queste domande, oggi nasce NEXT. Un’iniziativa promossa dalla Rete per l’Eccellenza Nazionale (RENA) e costruita sul potenziale di giovani dinamici, intraprendenti, curiosi del nuovo e aperti al mondo, intenzionati a favorire la crescita e l’affermazione di coloro che verranno subito dopo. Un’iniziativa di quella che in Italia tutti chiamano ancora “prossima generazione”, e che sente invece di dover pensare già, a sua volta, alla generazione successiva. E di doverlo fare oggi. Una generazione che non riesce pienamente a realizzare i propri sogni, né a diventare compiutamente classe dirigente, e che si preoccupa di evitare che lo stesso accada, a termine, con la generazione che verrà dopo di lei. Una Commissione nazionale di centoundici membri si riunirà nella primavera del 2009 per discutere, vagliare, e formulare proposte per iniziative (rivolte a diversi livelli del governo e del settore privato) e soprattutto lanciare progetti pilota, concreti e immediatamente attuabili, per fare in modo che una nuova generazione d’idee e un nuovo entusiasmo possano contribuire ad affrontare efficacemente i nodi di un’Italia che trascura la sua parte più vitale, e con essa il proprio avvenire.
I centoundici raccolti in NEXT – tutti idealmente sotto i 40 anni – saranno scelti in modo da assicurare expertise e esperienze in aree diverse, e sulla base di risultati concreti e importanti ottenuti nei rispettivi percorsi di lavoro, sia in Italia sia all’estero, attraverso l’impegno, il merito, la creatività e la determinazione, e non grazie a background privilegiati. Si tratterà nella maggior parte dei casi di “facce nuove”, e cioè di persone non inserite in strutture già consolidate. Non primi della classe, ma persone determinate a mettere energia, entusiasmo e tutto il proprio “disinteresse personale” a favore della comunità.
Tutti i centoundici sottoscriveranno una Carta dei Valori, centrata attorno al ruolo dell’onestà morale e intellettuale, della concretezza, della predisposizione al dialogo e all’apertura, ma anche della intraprendenza personale e della voglia di rischiare e scommettere sul futuro, in particolare sul futuro degli altri. La Commissione nazionale si confronterà con le cause del disimpegno dei giovani, con particolare attenzione, tra gli altri temi, all’accesso al credito, all’educazione e al ruolo di scuola e università, all’alloggio, al mercato del lavoro e alle prime esperienze professionali, ai valori della società, alle politiche familiari. L’obiettivo è quello di identificare azioni concrete da realizzare in favore della meritocrazia e dell’impegno dei giovani.
NEXT si propone non tanto di colmare il vuoto nel dibattito sui giovani, quanto piuttosto di mettere l’accento sulle opportunità di crescita e di valorizzazione dei giovani, e di indicare la strada di un nuovo approccio al capitale umano come risorsa fondamentale per il futuro economico e sociale dell’Italia. È necessario che ai giovani, e in particolare ai più svantaggiati, sia data l’opportunità di realizzarsi, e di non rinunciare al proprio sogno e alla realizzazione del proprio talento per accontentarsi di quello che hanno trovato. Perché anche per loro sia meglio “fallire in qualcosa che amano, piuttosto che avere successo in qualcosa che odiano” (George Burns).
L’Unità, 29 gennaio 2009