attualità, politica italiana

"Un partito chiamato fascista", di Massimo Gramellini

Cinque senatori del Pdl (più un finiano che si è poi sfilato) hanno depositato un disegno di legge costituzionale per abrogare la dodicesima disposizione transitoria e finale della nostra Carta, quella che vieta «la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista». Il Parlamento è in preda a un’esplosione quotidiana di creatività. Lunedì gli eserciti regionali padani, martedì la ricostituzione dei fasci. Chissà cosa partorirà di audace stamattina. Non azzardo ipotesi, anche se vedrei bene una raccolta di firme per la beatificazione di Lucrezia Borgia. O l’inserimento dell’olio di ricino nella lista dei farmaci mutuabili.

I cinque senatori ricostituenti sostengono di voler abolire un reato d’opinione. Ma la rinascita di un partito chiamato fascista non appartiene al campo delle opinioni, ampiamente garantite dalla presenza degli eredi di Mussolini in ben quattro partiti chiamati in altro modo (Forza Nuova, La Destra, Fli e Pdl). Appartiene a quello dei fatti. E il solo evocarla provoca una reazione collettiva e irrazionale di disgusto, perché va a ferire il subconscio di una comunità, la nostra, che nel secondo dopoguerra si è formata proprio intorno all’antifascismo, inteso come ripudio del razzismo e della violenza politica.

È lo stesso effetto respingente che la parola «comunismo» produce nel cuore di un ungherese o di un lituano, che il comunismo al potere – come noi il fascismo – lo hanno sperimentato sulla loro pelle.

La Stampa 06.04.11

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“Se dal Pdl si invoca la libertà di fascismo”, di Michele Serra

Una sparuta pattuglia di deputati del Pdl vorrebbe abrogare la norma che vieta la ricostruzione del partito fascista, e le conseguenti leggi penali contro l´apologia del fascismo.
Probabilmente quei deputati sono rimasti di stucco di fronte alla reazione compatta dell´opposizione e, fortunatamente, di settori importanti della maggioranza, a partire dal presidente del Senato. Perché tanto scandalo? Quella proposta anti-antifascista è perfettamente in linea con un clima diffuso e pervasivo che ha la sua vetrina nella pioggia di inserti e gadget mussoliniani dei giornali di destra, il suo nocciolo politico nella lunga egemonia del primo premier repubblicano che non si riconosce nell´antifascismo, la sua officina culturale nella annosa pubblicistica revisionista, che equiparando “esistenzialmente” repubblichini e resistenti finisce per equiparare storicamente e politicamente i due pezzi di Italia che si batterono gli uni per la dittatura e la fedeltà al nazismo, gli altri per una nuova Italia democratica.
L´antifascismo, a quei deputati del Pdl come a una parte probabilmente non piccola del loro elettorato, deve parere ormai un albero morto, del quale rimane solo una vecchia ceppaia da svellere con la definitiva cancellazione del divieto di ricostruire quel Partito Unico che abolì la libertà d´espressione, molte delle garanzie democratiche, e ci portò alla guerra e alle leggi razziali. Quel divieto, nei fatti, è già ampiamente disatteso: di propagande fasciste a vario titolo, e di partitini che al Ventennio si ispirano, c´è robusta traccia nel nostro presente politico e sociale (si pensi alle curve ultras, nonché, e peggio, al supporto attivo che formazioni neofasciste danno alla maggioranza di centro-destra). Si può anche sostenere che questa tolleranza, per quanto irritante, sia un ragionevole compromesso tra il principio e la prassi. Ben altro conto, di fronte a una prassi spudorata e aggressiva, è abolire il principio, cambiando i connotati della Carta (antifascista nella sua genesi storica e nella sua natura culturale) e asportandone un pezzo di Dna.
Un paio d´anni fa loro colleghi ugualmente fiduciosi di non incontrare resistenza proposero, del resto, di concedere la pensione di ex combattenti anche ai reduci di Salò, “servitori della Patria” tanto quanto i caduti di Cefalonia o i volontari della guerra partigiana. Se anche a loro andò male (così come sembra butti male anche per questi nuovi revisori della Costituzione), evidentemente significa che l´antifascismo non è, come credono, una formalità, un involucro disseccato. Non nell´assetto istituzionale, non nel sentimento popolare. Come è emerso – non dico a sorpresa, ma certo con un vigore inaspettato – nelle celebrazioni del Centocinquantenario, durante le quali il nesso tra Risorgimento e Resistenza, tra la Costituzione albertina e quella repubblicana di cento anni dopo, tra i primi moti unitari e la nascita della Repubblica, è riemerso in libri, interventi pubblici, convegni e soprattutto nell´appassionata ricostruzione storica del capo dello Stato.
Quanto all´esigenza di adeguarsi al tempo che passa: l´Associazione nazionale partigiani d´Italia, che anche a sinistra viene considerata un nobile consesso di reduci vegliardi, sta raccogliendo migliaia di iscrizioni tra ragazzi di vent´anni. L´antifascismo, anche anagraficamente, è più giovane del fascismo. E questo fa sperare che l´onda revisionista, prima o poi, appaia perfino a chi la solleva ben più logora, e meno dinamica, dell´antifascismo.

La Repubblica 06.03.11

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