“L’amministrazione dello Stato, come la tutela privata, deve essere gestita nell’interesse di coloro che le sono stati affidati, non di coloro ai quali è stata affidata”. Sarei certamente inserita tra i professori sessantottini e comunisti, che “inculcano principi” e da cui bisogna guardarsi ricorrendo alle scuole private. Ma non ho proposto la lettura di un sovversivo; è Cicerone, De officiis – Sui doveri, monumento didattico-pedagogico destinato più di 2000 anni fa alla classe dirigente di Roma. Traduciamo, i ragazzi ed io, trovando a ogni passaggio spunti di riflessione sull’oggi; e – temo – alimentando sempre più nei diciottenni l’idea di un mondo schizofrenico, dove la scuola propone e altri dispongono in modo opposto, sconfessando contenuti, modelli, finalità. II ora: Barocco e sentimento del tempo; infinitamente grande e infinitamente piccolo; l’oltre e l’iperrealismo: quanta vicinanza con il ‘900 in un tempo lontano e in linguaggi remoti, come quelli di certi sonettisti. Mi sposto in III: Primo Levi. Il progetto è finalizzato alla riflessione su memoria e diritti umani: i sommersi e i salvati, dicotomia universale. È ancora impossibile, per fortuna, leggere la prosa sobria e asciutta di Levi senza avvertire palpabile l’emozione: nell’aula e nei visi dei ragazzi, così disabituati all’espressione di sentimenti non ripresi da una telecamera e magari mercificati. Giovenale e l’indignatio, musa ispiratrice di fronte all’inarrestabile dilagare del vizio. Esco da scuola, accendo la radio, Gr1. Il Mediterraneo è una polveriera. La guerra – si chiama così: ancora, sempre, forse? – a un passo da noi e ovunque, senza condizionare le nostre vite, a parte il prezzo della benzina. Negli ultimi 2 mesi coloro che vivono dall’altra parte del mare si sono trasformati, hanno detto basta. A chi, a che cosa, in quale direzione i miei studenti non l’hanno saputo; e forse, non lo so nemmeno io. Il reattore è sempre lì, minaccioso. Andremo a votare un referendum, andranno anche loro, alcuni per la prima volta. Con quale consapevolezza? Ruby e il 6 aprile che si avvicina. Il nostro lavoro è utile solo piegando le discipline a sapere critico, formazione e valorizzazione di strumenti per interpretare il reale. Rifiuto per lo più tecnicismi o nozionismi e preferisco una didattica basata sulla capacità di mettere in relazione – mediante concetti organizzatori – le espressioni culturali dell’uomo di ieri e di oggi. Cultura come cittadinanza consapevole, l’obiettivo. Oggi non so più: ho l’impressione di vivere una sorta di Arcadia occidentale, in cui parte della scuola – la maggior parte – fa; e una parte del mondo – la maggior parte – disfa. In cui parole, chiavi di interpretazione, raffinatezza e profondità dei percorsi appaiono ridotti alla celebrazione di se stessi, perché non riescono più – contra-stati da altri modelli, sopraffatti da altre necessità e dalla lontananza di spendibilità e utilità immediate da sms – a dire parole incancellabili. Il mondo cambia vertiginosamente e l’impressione è che i nostri linguaggi non siano più efficaci per intercettare quel cambiamento in modo significativo. Mi chiedo se a capire l’oggi e il domani globalizzati sia sufficiente penetrare lo ieri mediterraneo. Se un brano di Seneca, Dora Markus di Montale o anche la visione e il commento di La rabbia di Pasolini possano stimolare domande, fornire risposte, indicare strade. Non si tratta dell’efficacia di quei messaggi, ma dello iato tra ore di scuola e minuti del Gr. Della consapevolezza di appartenere a una comunità educante che si sente priva di mandato; che deve prendere per mano generazioni sempre più smarrite, a cui non è più in grado di garantire interpretazioni del mondo solide ed efficaci. Dubbio moltiplicato, perché delle notizie di quel Gr io per prima capisco il significato, ma mi sfugge il senso. Ogni volta è più dura. Ma ogni volta riemergo più convinta: quelle parole, immagini, formule dicono l’uomo di sempre. Non è l’Arcadia, ma il miracolo laico dell’esercizio della critica e della divergenza. Che non di rado mi pare di intuire negli sguardi dei miei alunni, di leggere nelle loro parole.
Il Fatto quotidiano 29.03.11