«La nomina di Saverio Romano è uno dei punti più bassi della storia della Repubblica, fino al punto da dover indurre il Quirinale a obiettare». Pier Luigi Bersani si guarda bene dal preannunciare quella che lui stesso definisce «l’ora X», cioè il momento della caduta di Berlusconi. Ma il leader del Pd è convinto che
rispetto alla vigilia del 14 dicembre, quando il governo si salvò dal voto di fiducia grazie ai cosiddetti Responsabili, e poi rispetto alla vigilia di un controverso rimpasto, il governo sia solo apparentemente più forte. «La verità è che la credibilità dell’esecutivo è diminuita in queste settimane, la percezione del fatto che il Paese non ha un governo è via via aumentata. Berlusconi, piuttosto che impegnarsi sui grandi temiinternazionali e sociali fa un rimpasto faticoso, difficile e che non porterà niente in quanto a stabilità di un governo è evidentemente impotente di fronte ai problemi». Bersani parla a Cortona, dove Area democratica ha
organizzato un convegno diverso rispetto a quelli tenuti sempre qui negli scorsi anni. La prima novità è proprio l’invito a partecipare al leader del Pd, col quale Dario Franceschini ha consolidato un asse interno che sarà ancora più evidente alla Direzione di dopodomani, nel caso Walter Veltroni e gli altri
di Movimento democratico contestassero la strategia della cosiddetta «alleanza costituente» aperta al Terzo polo e chiedessero effettivamente (come ha fatto l’altro giorno Paolo Gentiloni) un congresso dopo le amministrative. L’altra novità è l’invito a partecipare anche a personalità esterne al Pd, a cominciare da Pier Ferdinando Casini. E dagli interventi emerge non solo che l’opposizione continuerà a fare fronte comune in Parlamento, ma anche che l’ipotesi dell’alleanza costituente tra progressisti e moderati è tutt’altro che archiviata. Casini sta bene attento a non scoprirsi troppo in questa fase, maè significativo che di fronte a questa platea apra a un’intesa finalizzata «alla ricostruzione del Paese, sul modello degli anni ’50». Sembra quasi rispolverare le antiche “convergenze parallele”, il leader dell’Udc, quando dice che «il nostro
compito, da posizioni diverse, è di far emergere una posizione comune, perché oggi il Paese va governato fuori dagli schemi tradizionali». Parole caute («bisogna fare unpasso alla volta», dice lui stesso) ma che suonano alle orecchie dei dirigenti Pd come la conferma che l’alleanza con i centristi nel post-Berlusconi non è una chimera.
Franceschini lo dice con una battuta (“la prima volta alleati con noi, poi vedremo”), ma il ragionamento
che fa è serio, e ruota tutto attorno al fatto che una volta archiviato il berlusconismo «non potrà una parte sola togliere di mezzo i cumuli di macerie prodotti in questi anni e ricostruire le regole, il senso dello Stato,
della legalità»: «Servirà un arco di forze il più ampio possibile, forze che sono state anche avversarie, e che poi potranno tornare ad esserlo». Bersani, che lunedì dovrà affrontare in Direzione la minoranza interna
pronta a chiedere un cambio di linea sulla strategia delle alleanze, incassa il consolidamento dell’asse interno con l’area che fa capo a Franceschini ma anche le aperture di Casini, timide ma finora inedite. «Berlusconi può rimpastare quanto vuole ma il
paese non ha un governo – ribadisce – e questo aumenta le responsabilità per il Pd. Il tramonto berlusconiano ci porterà una esigenza di ricostruzione.
E dal 14 dicembre ad oggi non è che la fase sia cambiata. Noi non ci impressioniamo e teniamo ferma la barra». Niente correzione di linea, insomma. «La famosa vocazione maggioritaria vuol dire che tocca a noi preparare il progetto per il paese». Ma bisogna anche lavorare alle alleanze. E anche alla mobilitazione nel Paese, dice difendendo la raccolta di firme del Pd che ha fatto storcere la bocca anche ad alcuni dirigenti. «Sento anche tra di noi qualche snobismo verso i nostri banchetti. Si sbaglia, non è una forma retrò, è modernissima. Va bene internet,
ma dobbiamo farci vedere
sul territorio».
L’Unità 26.03.11