Sono stati 300, non tanto giovani e meno che mai forti.
Dov’è il tanto strombazzato allargamento della maggioranza? Non si è visto. Nemmeno su una questione come l’intervento Onu in Libia sulla quale si poteva benissimo costruire una convergenza ampia. Altro che quota 330, solo per sette voti di scarto la maggioranza ha retto. Sette deputati giunti trafelati al loro scranno giusto in tempo per schiacciare il bottone giusto, altrimenti staremmo qui a parlare di un serissimo problema di governo.
Questi sarebbero persino capaci di andare in crisi mentre i soldati italiani sono impegnati nella missione Onu. Dalla due giorni parlamentare sulla Libia esce un bilancio di facile lettura: il ricostruito asse Pdl-Lega-Responsabili, cementato con la colla del potere (caso Romano) e quella dei diktat (Lega), continua a mostrare la corda in una Montecitorio da cui il premier si tiene alla larga, dove Fini si consente di non stigmatizzare un duro epiteto di Di Pietro a Frattini, dove l’intesa Pd-Terzo polo viene ogni volta oliata anche grazie ad una ritrovata sintonia all’interno del Pd.
Semmai ci si dovrebbe interrogare su un crescente disagio dei radicali, bisognerebbe occuparsene. Se questo è il quadro, domandarsi se e per quanto tempo la situazione potrà reggere non è propaganda. Perché non è difficile prevedere che i Romano e gli Scilipoti di turno, o gli scajoliani, o gli ex An, o i forzisti della prima ora, o i tremontiani, o i ciellini del Pdl, o (udite udite la novità di ieri) i “popolari europei” dei forzisti piemontesi, per non dire dei leghisti, di volta in volta alzeranno la posta. Due giorni fa è bastata la nomina di un ministro impigliato in vicende che la magistratura chiarirà, domani potrebbe essere uno stanziamento, un posto di sottogoverno, una leggina ad hoc, una nomina. E l’uomo che sta a capotavola dovrà di volta in volta abbassare la testa e mettere mano al (metaforico?) portafogli. Due anni così, per favore, no.
da www.europaquotidiano.it