Diritto di cronaca e di critica esistono e vanno tutelati. Per legge, come in ogni contesto che si voglia definire democratico. Se ne deve fare una ragione anche il Presidente del Consiglio. Ad esempio, è stata cronaca e poi esercizio di critica aver scritto nel luglio 2009, ai tempi dello scandalo D’Addario, che il Cavaliere cercò uno “scambio” con le gerarchie ecclesiastiche che stavano pesantemente criticando le sue abitudini private concedendo un’accelerazione sul disegno di legge del testamento biologico. Un vero e proprio «mercato delle indulgenze» come scrisse l’Unità il 13 luglio 2009
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Per ben quattro degli articoli pubblicati quel giorno, l’editoriale del direttore Concita De Gregorio e gli articoli di Natalia Lombardo e Silvia Ballestra, il premier ha chiesto i danni perchè quel prodotto giornalistico era stato «altamente lesivo della sua immagine». Un sacco di soldi, aveva chiesto il Cavaliere: un milione e 600 mila. Bene: il 21 gennaio scorso il giudice Franca Mangano, prima sezione del Tribunale civile di Roma, ha rigettato la richiesta e ha condannato il Presidente del Consiglio al pagamento delle spese processuali. Poco più di quindicimila euro, spiccioli per il Cavaliere, meno della metà del costo approssimativo di una serata ad Arcore con una ventina di fanciulle ospiti. Ma non sono i soldi il merito della faccenda. Sono le venti pagine delle motivazioni con cui il giudice Mangano riconsegna dignità e ruolo al diritto di cronaca e boccia l’insofferenza alla critica e l’obbedienza al pensiero unico tipiche e pretese del Cavaliere.
Il contesto, prima di tutto. Il 13 luglio 2009 l’Italia era alle prese con lo scandalo della escort Patrizia D’Addario, la scoperta di Papi e della sua passione per le minorenni (Noemi Letizia), la denuncia illuminante e per questo sofferta di Veronica Lario che per prima, e con massima consapevolezza, scriveva di «scempio» e del «Drago (suo marito, ndr) a cui venivano immolate le vergini». Dato il contesto, accadde che la Cei e le gerarchie ecclasiastiche puntassero il dito contro «il libertinaggio» in voga nel ceto politico e di governo. E che, all’improvviso, spuntasse fuori dai cassetti del Parlamento la legge sul testamento biologico nel senso di negare la libera scelta in punto di morte. Uno scambio, appunto. Il «mercato delle indulgenze», scrisse L’Unità. Il giudice Mangano riporta nelle motivazioni ampi stralci degli articoli incriminati. Uno per tutti: l’editoriale in cui il direttore scriveva: «Considero più integra la reputazione della escort Patrizia D’Addario… piuttosto che quella di un uomo di stato che promette solennemente una somma concordata per chi muore di fame e di malattia in Africa e poi ne dispensa solo il 3%, cioè niente (…).
Mentre noi rispettavamo la consegna di non esibire le miserie di Berlusconi al mondo (in quei giorni era in corso il G8 all’Aquila e la richiesta, istituzionale, ai media fu di ignorare per qualche giorno le ricostruzioni delle feste a palazzo Grazioli, ndr), Gianni Letta e gli sherpa dei rapporti fra Governo e Vaticano lavoravano alacremente al baratto, qualcosa che assomiglia molto al prezzo delle indulgenze di antichissima memoria(….)». Testamento biologico in cambio se non del perdono almeno del silenzio delle gerarchie, il tutto per fare in modo che «l’ossessione del premier, la sua malattia non indispettiscano la Chiesa fino al punto di indebolirlo ed isolarlo». Tutto questo, con gli altri articoli, la scelta dell’impaginazione, persino le foto e le didascalie, «costituisce – scrive il giudice – espressione del diritto di cronaca». Rispetta, cioè, i «presupposti legittimanti degli articoli 2 e 21 della Carta e della giurisprudenza correlata» che sono «utilità sociale dell’informazione, verità anche solo putativa perchè frutto di un serio e diligente lavoro, e forma civile della esposizione dei fatti e della loro valutazione».
Per il giudice Mangano gli articoli incriminati hanno un interesse pubblico perchè «hanno per oggetto temi di grande rilievo sociale come la disciplina del testamento biologico» e «non è stata pretestuosa la trattazione congiunta con il giudizio sulla moralità e sulla correttezza dell’attore (Berlusconi, ndr) non solo per il rilievo istituzionale della carica ricoperta ma anche per l’attualità del tema in quel momento in seguito alle rivelazioni di personaggi in vario modo vicini al Presidente del Consiglio (lettera della moglie, caso Noemi e caso D’Addario)». Come dire: è innegabile che “quello” fosse il tema di discussione ovunque. Circa «la verità» di cui «gli articoli appaiono rispettosi in accordo con la giurisprudenza di legittimità», il giudice elenca le fonti di prova: «L’omelia del segretario generale della Cei, in occasione delle celebrazioni per Santa Maria Goretti, contenenti vibranti censure al “libertinaggio gaio e irresponsabile esibito senza pudore”; l’accelerazione impressa all’iter di approvazione della legge sul testamento biologico; la ravvicinata successione temporale di questi due accadimenti».
Per tutto questo, scrive ancora il giudice Mangano, non solo non è stato «mera congettura mistificatoria» aver pensato e scritto che tra governo e Chiesa fosse in corso il baratto (il testamento biologico in cambio dell’indulgenza) ma era «interesse dell’attore (Berlusconi, ndr), assicurarsi quella indulgenza». Il giudice analizza anche le altre critiche sollevate da L’Unità: Berlusconi «non mantiene gli impegni internazionali ad esempio con l’Africa» e «antepone agli obblighi istituzionali impegni privati consistenti peraltro in condotte moralmente deprecabili». Tutto vero, anche in questo caso, scrive il giudice: «Risulta non inveritiero che il Presidente del Consiglio sia mancato all’assemblea generale dell’Onu, dedicata ai problemi della povertà nel mondo, per recarsi al Centro Messeguè a Todi in compagnia di ragazze».
Questo dettaglio, anche se non provato (allora; oggi invece sì dall’inchiesta Ruby) «non ha efficacia lesiva autonoma» visto che il giudizio negativo «riguarda l’assenza da impegni istituzionali per ragioni di mero benessere personale». Poi, nelle conclusioni, un ripasso di cosa voglia dire libertà di stampa, diritto di cronaca e di critica. «Al giornalista è consentito di diffondere a scopo informativo e formativo dell’opinione pubblica la propria originale versione dei fatti …. Al contrario, un sistema informativo che garantisse libertà di opinione solo al giornalista che dà voce alla versione ufficiale propagandata, tradirebbe i principi basilari a cui è ancorato l’esercizio della professione giornalistica: la libertà di manifestazione del pensiero, infatti, si connette ad altre forme di libertà poichè il diritto a diffondere opinioni e giudizi è alimento di quelle realtà associative e organizzazioni politiche imprescindibili protagoniste di un sistema democratico pluralista. Quello voluto dalla Costituzione».
L’Unità 17.03.11