L´identità di un paese è fatta di gioie piccole e grandi, abitudini, parole e personaggi da non dimenticare
Ci sono i caffè con i tavolini all´aperto, l´olio e la vendemmia, le canzoni di De Andrè e il solare San Francesco. Le ragioni di sofferenza, nell´essere italiani, sono arcinote e in fondo condivise. Meno dibattute, e anche meno sedimentate, sono le ragioni di gratificazione e di gioia che l´identità italiana può consegnarci. Queste sono le mie, non necessariamente paradigmatiche o condivisibili. Ognuno provi a ripassare le sue.
Alpi – Cintura montuosa di impareggiabile bellezza, chiude inequivocabilmente a Nord la penisola italiana. Pochi paesi al mondo possono vantare un confine così netto. Sotto le Alpi è Italia, sopra le Alpi no, tutto il resto è pura illazione politica.
Bonatti – Walter Bonatti è uno dei più grandi alpinisti-esploratori della storia. Uomo di costituzione fisica e psichica inattaccabile, ha sempre opposto i suoi princìpi ferrei ai compromessi politici e commerciali. Ha impiegato cinquant´anni per far valere la sua ricostruzione della conquista italiana del K2, molto diversa dalla verità ufficiale. Ne avrebbe aspettati altri cinquanta, o cento, pur di non tradire la propria coscienza.
Caffè – Tratto costitutivo dei nostri luoghi urbani tanto quanto le chiese e i municipi. Impensabile una città italiana senza i caffè con i tavolini all´aperto. Leggere il giornale al tavolino di un caffè in una mattinata di sole è uno degli ingredienti inconfondibili della felicità italiana.
Diaspora – Gli italiani espatriati sono tanti quanti quelli residenti: si calcolano in circa sessanta milioni. Impossibile frequentare le lande più remote del pianeta senza trovare un italiano o un post-italiano. La nostra diaspora è stata prodotta dalla fame e risolta dalla migrazione, dal lavoro e da una quasi prodigiosa adattabilità. I migranti italiani, disarmati, hanno conquistato più mondo di tutti gli eserciti messi insieme.
ENI – L´epopea dell´Ente Nazionale Idrocarburi e del partigiano democristiano Enrico Mattei merita di essere riletta e forse anche riscritta. Miserie parastatali e manfrine politico-affaristiche non valgono a offuscarla. Come mi disse un vecchio ingegnere in pensione in un ascensore di San Donato Milanese, «abbiamo insegnato al mondo come si mettono giù i tubi». Vedi La chiave a stella di Primo Levi. Vedi anche il capitolo sull´Eni in Poteva andare peggio di Mario Pirani.
Fabrizio De André – Esempio ineguagliabile di come l´arte possa e debba essere popolare e colta senza contraddizione alcuna. Mia figlia (21 anni) mi ha regalato tutto De André anche se sapeva che ce lo avevo già. Le generazioni si parlano usando bellezza e poesia.
Gavoi – Piccolo borgo barbaricino dove si tiene (spero si tenga ancora) un festival di letteratura. Ho visto pastori e operai partecipare a dibattiti sul noir francese e interloquire su quanto accade nell´universo mondo. Nessuno, in Italia, parla un italiano forbito e nobile così come il popolo sardo. La Sardegna è la quarta regione italiana per numero di librerie.
Identità – Quella italiana è fragile e composita. Piuttosto che lamentarcene, dovremmo apprezzarne la naturale indisponibilità a generare nazionalismi ottusi e sciovinismi ringhiosi. Anche per questo il nazionalismo fascista fu un´invenzione infausta, e perdente.
Lavoro – Poveri di materie prime e di fonti energetiche, abbiamo imparato a far funzionare le mani come nessun altro. C´è un ingegno manuale italiano che vale quanto il celebrato ingegno artistico. Analfabeti seppero forgiare oggetti meravigliosi. Persone umili trovarono forme geniali. Il mito del “fatto a mano” trova in Italia il suo acme. Uno dei migliori ristoranti italiani, Guido a Pollenzo, è dominato da una struggente gigantografia delle Mani della Madre, artefice del raviolo perfetto. È una rappresentazione sacra.
Meticciato – Continuamente invasi da eserciti di ogni risma e provenienza, ne abbiamo tratto infiniti lutti ma anche un grande vantaggio: siamo un popolo meticcio. Non esiste un “soma italiano”. Ci sono italiani con facce arabe, germaniche, slave, turche, impastate con i precedenti archetipi latini, greci, etruschi, fenici, goti. Più varie ed eventuali. Basta consultare un qualunque manuale di genetica per sapere quanto più sano e fecondo è il melting-pot cromosomico rispetto alla triste e sterile endogamia. Chi non si mischia è perduto.
No – Nel Bel Paese dove il sì suona, alcuni gloriosi “no” punteggiano di coraggio un lungo tracciato di obbedienza e conformismo. Il no di Giordano Bruno, quello dei Valdesi, quello dei giacobini napoletani, quello degli insorti e dei volontari del Risorgimento, quello delle lotte operaie e contadine, quello dei partigiani, quello di don Milani, quello dei preti antimafia, quello di Guido Rossa, quello di Peppino Impastato. E ne ho dimenticati molti.
Olio – Con il vino e il pane di frumento completa la trinità dei cibi sacri alle civiltà nate attorno al Mediterraneo. Regalare olio d´oliva o riceverlo in regalo è un omaggio alla potenza della vita. Le radici dell´ulivo rigenerano, anche per millenni, la vita della pianta. Senza la forma ritorta dal vento degli ulivi, il paesaggio meridionale sarebbe irriconoscibile. Alcuni designer italiani sono riusciti addirittura a concepire oliere che non sgocciolano. È una prova di genio indiscutibile.
Pasolini – Raro caso di sommo intellettuale anche sommo artista, e viceversa. La breve, muta sequenza di Caro Diario con la gita in Vespa verso i luoghi del suo martirio è una delle pagine più intense e pietose del cinema italiano. Vedi anche Lamento per la morte di Pasolini di Giovanna Marini. Da inserire nei programmi scolastici.
Quartiere – La vita di quartiere consente agli abitanti di molte grandi città italiane una semplificazione logistica e un agio psicologico formidabili. «Il mio quartiere è come un paese» è frase tipica del romano o del milanese che nel giro di trecento metri da casa trova ogni conforto. Le ragioni economiche che spingono verso la chiusura delle botteghe e l´apertura degli ipermercati, ancorché legittime, sono oggettivamente anti-italiane.
Riassunto – A parte il deserto e la foresta pluviale, l´Italia è un incredibile riassunto del pianeta. Si va dai ghiacci abbacinanti alle arsure para-africane. Dalle spiagge tropicali alle brughiere nebbiose. In Italia è sempre estate e sempre inverno, basta spostarsi di pochi centimetri sulla carta geografica.
San Francesco – Patrono d´Italia. La sua fede solare, mite e riconoscente spicca, per contrasto, nel percorso di mortificazione e punizione di quasi tutte le religioni conosciute. Impossibile non amarlo anche per i miscredenti. Fa specie constatare che san Pio di Pietrelcina, cupo e dolente, fosse un frate cappuccino e dunque appartenesse all´ordine dei francescani. Non fu mai visto sorridere.
Tavola – Povera o ricca, la tavola imbandita è l´anima di ogni casa italiana. Infelice la casa dove non si apparecchia per gli amici. Le cucine regionali italiane sono un´enciclopedia vivente della sconfitta della penuria, dell´abbandono, della fame. La recente tendenza a unificare cucina e soggiorno rende omaggio alla nostra storia contadina e smentisce il vezzo borghese di separare il cibo, con i suoi odori e i suoi fumi, dalla conversazione. Ci sono tavoli pluricentenari che hanno visto molte generazioni discutere, litigare, odiarsi, amarsi. Nei letti si nasceva e si moriva, ma è attorno al tavolo che si viveva.
Vendemmia – Nonostante le enotecnologie raffinate, decidere il giorno della vendemmia è ancora l´atto decisivo del vinificatore. Grandine e siccità sono in agguato. Attorno alla vendemmia resiste un´aura ancestrale, fatta di esperienza, talento, divinazione e fortuna. Tra settembre e ottobre, in molte zone d´Italia, italiani meditano, tastano, rimandano, decidono. Il loro rapporto con il cielo è intenso come capita solo ai naviganti.
Zibibbo – È una delle tantissime parole arabe che arricchiscono la nostra lingua. Viene prodotto nei lembi più meridionali del nostro paese, dove il sole è potente e il secco quasi africano. Incredibile come abbiamo potuto rimuovere, negli ultimi secoli, la vicinanza estrema con l´Africa, nostro confine meridionale. Ascoltare Creuza de ma di De André: nel genovese i vocaboli arabi sono centinaia. I genovesi sembrano un ibrido tra gli arabi e gli inglesi. Dunque molto italiani.
La Repubblica 17.03.11
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