cultura

"Muti: io, ribelle del podio un urlo per salvare la cultura", di Ernesto Assante

I direttori d´orchestra non devono parlare ma era necessario: la nazione che perde la propria cultura perde l´identità. Riccardo Muti in prima fila contro i tagli alla cultura. Contro “la riduzione al nulla” della nostra cultura. La serata di sabato, per la prima di Nabucco all´Opera di Roma, si è trasformata in una straordinaria manifestazione sulle note del “Va pensiero”. Maestro Muti, una serata davvero speciale…«Veramente fuori dalla norma, non preparata, ci tengo molto a dirlo. Io penso che i direttori d´orchestra non dovrebbero parlare dal podio, ma ieri, dopo l´intervento del sindaco di Roma, era necessario, importante, che anche il musicista prendesse la parola. Per un musicista come me che poi ha la fortuna di girare il mondo e vedere la realtà italiana dalle altre nazioni, e quindi soffrire per la situazione. Era doveroso parlare. Ma pensavo di aver terminato lì, dopo aver detto: “Il 9 marzo del 1842 Nabucco debuttava come opera patriottica tesa all´unità ed all´identità dell´Italia. Oggi, 12 marzo 2011 non vorrei che Nabucco fosse il canto funebre della cultura e della musica”. Perché una nazione che perde la propria cultura perde la propria identità».
Cos´è accaduto allora?
«E´ chiaro che il “Va pensiero”, al di la delle assurdità che si dicono dell´inno nazionale, è un canto che esprime in maniera intensa l´animo degli italiani, una nostalgia, un senso di preghiera, una profondità mediterranea che Verdi attribuisce al popolo degli ebrei schiavi ma che gli italiani hanno scelto come bandiera del loro Risorgimento. E quando l´ho diretto la prima volta ho sentito, quando il coro ha cantato “oh mia patria si bella e perduta”, che quel momento fosse carico della situazione drammatica non solo per le istituzioni ma anche per la vita delle persone chiamate a studiare nei conservatori, nelle accademie, nelle università. Ho sentito che quel grido veniva dal profondo dell´animo, un grido vero da parte di chi sta vivendo questo dramma, uomini e donne che producono cultura nel nostro Paese. E lo fanno nel disinteresse sempre più grande da parte di chi deve preservare la cultura, non solo per rispetto del paese ma anche per il rispetto del mondo verso l´Italia. Il mondo non guarda a noi per le tecnologie, facciamo cose importanti ma quando si pensa all´Italia si pensa ai poeti, ai pittori, ai musicisti, ai nostri musei e teatri, a ciò che l´Italia rappresenta. È pieno di italiani – ricercatori, studiosi, medici – che sono nelle grandi università, come quelle americane, e fanno ben parlare di sé. Giovani che si fanno stimare fuori dall´Italia, perché da noi trovano difficoltà. Noi non possiamo vedere questa barca affondare, sabato sentivo che il “Va pensiero” era questo grido».
E ha deciso di sorprendere tutti
«Dovevo decidere: faccio il bis richiesto come viene chiesto, una ripetizione consolidata nell´abitudine, oppure offro a questa ripetizione un carattere nuovo, aderente alla situazione? ho pensato, il coro ha cantato, “Oh mia patria, si bella e perduta” e sicuramente se perdiamo al cultura andiamo in questa direzione, facciamo che questo grido sia contro questa operazione di riduzione al nulla della nostra cultura. Allora ho invitato, dato che il discorso doveva essere globale, tutti a cantare. Non mi aspettavo che l´intero teatro si unisse, tutti sapevano il testo. Poi, come in una situazione surreale, dal podio ho visto le persone alzarsi a piccoli gruppi, per cui tutto il teatro alla fine era in piedi, fino alle ultime gradinate. Era una specie di coralità straziata e straziante, un grido che invocava il ritorno alla luce della cultura che è la colonna portante dell´Italia, sono le nostre radici».
E il pubblico si è commosso.
«Si, ho visto nelle prime file diverse persone con le lacrime agli occhi. E´ la dimostrazione di un popolo che si sente fortemente unito, al di la dei proclami. E della straordinaria attualità di Verdi, valido anche per il futuro, con la sua grande universalità. Verdi parla all´uomo dell´uomo e resterà sempre collegato alla nostra realtà, sempre assolutamente attuale».

La Repubblica 14.03.11

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“La cultura lancia un grido. I tagli sono la nuova censura”, di Armando Torno

Le parole di Riccardo Muti, sul podio del Nabucco a Roma, dedicate alla «ignominiosa scure che si è abbattuta sulla cultura» , dovrebbero indurre a un’ulteriore riflessione i signori del Palazzo. Si uniscono a quelle di Daniel Barenboim, pronunciate alla prima di Sant’Ambrogio alla Scala e rivolte al presidente Napolitano, ma anche a quanto ha proferito l’attore e regista Tata Russo in coda alla recita di venerdì scorso de Il fu Mattia Pascal al Teatro di Varese (presente in sala il ministro Maroni): «… altri 27 milioni al Fondo dello spettacolo… ma perché non potevate tagliare le auto blu?» . E Sergio Escobar, direttore del Piccolo di Milano, parla di «situazione tragica» , sottolinea l’ipocrisia «di maggioranza e opposizione» , ricorda che si discetta sulle fondazioni liriche ma che il teatro sta peggio ed è ormai al collasso, tanto che «per il solo Piccolo negli ultimi tre anni il taglio supera il 60 per cento» . Non sono che esempi di un disagio ben diffuso, al quale i politici hanno risposto come potevano, nella maggior parte dei casi facendo spallucce. Se ne sono sentite di tutti i colori dopo l’annuncio dei tagli, compresa l’assiomatica dichiarazione che non si mangia con la cultura; e nel battibecco che ha caratterizzato l’amputazione delle risorse si è capita una sola cosa: la tanto osannata cultura in questa Italia in crisi — e sprecona al tempo stesso— non potrà più essere considerata valore o investimento. E allora cos’è? — in verità non lo sappiamo, o meglio: non lo sappiamo più. Se il mondo dei colti ci stima per il nostro Rinascimento o per i miracoli della musica dei quali il Belpaese è stato per secoli la culla, chi tiene le redini risponde credendo che l’Italia sia altro. Ma non è così, e le parole di Muti e di tutti gli altri lo dimostrano. C’è insomma un popolo che ripete come nel Risorgimento in faccia all’occhiuto gendarme: «Viva Verdi!» . Non intende invocare l’ascesa al trono di Vittorio Emanuele e la cacciata dello straniero, ma soltanto dire che la nuova censura sono i tagli.

Il Corriere della Sera 14.03.11