Oggi il presidente di Santa Cecilia, Bruno Cagli, presenterà le sue dimissioni ai 70 accademici e al consiglio di amministrazione di una delle più antiche e prestigiose istituzioni musicali del mondo (fu fondata da Sisto V nel 1585). Nel 2008 l´Orchestra permanente ha compiuto il primo secolo, in un periodo che l´ha vista risorgere a nuova vita per l´incrociarsi di due eventi, l´assunzione (2005) a direttore musicale del maestro Antonio Pappano, rivelatosi una bacchetta di livello mondiale, coincidente con lo straordinario e insperato successo del Parco della Musica, concepito da Renzo Piano, il contenitore che da sessant´anni i melomani della Capitale attendevano. La rinomanza internazionale è risultata di tale rilevanza che quest´anno l´orchestra è stata invitata a prodursi in sessanta concerti in alcune delle principali metropoli. Per esemplificare, poi, il successo basti dire che il concerto di sabato, oggi e domani (Verdi, Liszt e Mahler) ha registrato un “tutto esaurito” dei 2800 posti dell´Auditorium. Le dimissioni di Cagli vogliono essere un gesto angosciato di protesta e, comunque, l´annunciato rifiuto di gestire il catatrofico declino di uno dei punti più alti della cultura italiana, se da parte del governo non verrà un segno di resipiscenza.
“Repubblica” (11/3), a firma di Michele Serra e Roberto Mania, ha dedicato un´ampia inchiesta al dimezzamento del Fondo Unico per lo Spettacolo (da 501 a 258 milioni) per cui mi limito al caso singolo ma clamoroso di Santa Cecilia. Premesso che ben comprendo l´obbligo di seri risparmi nel bilancio pubblico, a condizione che non siano alla cieca, privi di ogni intelligenza sugli effetti perversi che possono avere e, infine, non avvengano sotto l´impulso delle beceraggini pseudo culturali di cui non pochi ministri e lo stesso premier pubblicamente si vantano. Se paragoniamo l´enormità dei tagli alla cultura rispetto ad altri settori, la spiegazione più convincente risale all´astio dichiarato da Berlusconi verso gli intellettuali, considerati inutili orpelli del “comunismo”, odiati al pari dei magistrati, ma, a differenza di questi, riducibili al silenzio da un paio di forbici. Così, nel caso della musica, con prosopopea, ignoranza o malafede li si invita a decurtare spese e spettacoli. Solo due enti, difesi dalla Lega, la Scala e l´Arena di Verona si sono salvati. Santa Cecilia (i cui finanziamenti pubblici sono scesi da 13 milioni nel 2009 a 9, 7 nel 2010, a poco più di 6 nel 2011) dovrebbe ridurre drasticamente la produzione concertistica e gli standard di qualità (come prenotare con 3-5 anni d´anticipo un grande direttore?), chiudere la Bibliomediatica e il museo degli strumenti musicali, sciogliere la Juniorchestra che forma 600 bambini e adolescenti e il Coro di voci bianche. Con il risultato di aumentare le perdite in relazione alla spesa, visto che sia il personale tecnico che la massa orchestrale, come pubblici dipendenti, verrebbero egualmente pagati anche senza suonare. E, quindi, con perdita della biglietteria e di molte sponsorizzazioni che coprono più del 50% del bilancio. Senza calcolare che nel 2009 Santa Cecilia ha ricevuto dallo Stato 9,7 milioni e gliene ha riversati 6,5 di Irpef, Iva e Irap.
Infine va ricordato un principio che ogni studente di economia conosce, basato sul “teorema di Baumol”, dal nome del suo scopritore: gli spettacoli dal vivo non incamerano produttività e un quartetto di Mozart impegnava nel ´700 quattro orchestrali per altrettanto tempo di oggi. Ma un lavoratore industriale di allora produce oggi, nello stesso tempo, cento volte di più. Così il suo salario è salito grazie alla produttività mentre quello dell´arpeggista lo ha seguito per trascinamento, senza alcuna produttività. Altrettanto il costo di un concerto. Ne deriva che solo se i cittadini decidono di finanziare la differenza attraverso le imposte essi possono permettersi di ascoltare ancora un concerto di musica classica dal vivo.
La Repubblica 14.03.11