Ora che l’ipotesi di elezioni anticipate è stata congelata, rimane un interrogativo: cosa fare della legislatura? È una domanda che riguarda l’insieme delle forze politiche, l’opposizione non meno della maggioranza, ma che tocca in modo particolare l’area del governo. Ed è un punto decisivo perché due anni sono lunghi e se di deve giungere alla fine naturale della legislatura, nella primavera del 2013, è necessario che l’agenda dell’esecutivo sia ricca e convincente.
Per ora sappiamo due cose. Primo, che la stabilità della coalizione garantisce a Berlusconi la permanenza a Palazzo Chigi e questa circostanza, a sua volta, rappresenta una carta irrinunciabile nell’eterno duello con la magistratura, quale che sia la strategia processuale affinata dal presidente del Consiglio con i suoi legali. Secondo, che la coesione della maggioranza ha un prezzo ed è il cosiddetto “rimpasto” di governo, con l’aumento del numero di ministri e sottosegretari. L’operazione è inevitabile, visto che il gruppo dei Responsabili ha diritto di far pesare il proprio contributo. Come ha detto ieri sera Saverio Romano, il leader di questo gruppo, alla “Zanzara” di Radio 24, «mi aspetto un ministero e che siano individuati diversi posti da sottosegretario. Anche cinque».
È l’aspetto mercantile della politica e non c’è da meravigliarsi. Semmai si deve dire che d’ora in poi nessuno potrà più avvolgersi nella retorica di un bipolarismo che esclude qualsiasi “tradimento” degli elettori: non pochi di coloro che oggi reclamano un posto nel governo Berlusconi erano stati eletti nel 2008 nelle file dell’opposizione.
Il problema è un altro. Quale sarà l’orizzonte di qui ai prossimi mesi? Il rischio è che il “rimpasto” sia la premessa di una navigazione governativa all’insegna della più ordinaria amministrazione. In altri termini, una mossa dovuta per fissare bene i bulloni di una maggioranza che alla Camera dispone di margini esigui; e per il resto un’attività che si riduce a parare le avversità della sorte e le loro conseguenze. Dalla terribile crisi del Nord Africa ai nuovi criteri di bilancio che l’Europa si appresta ad adottare. Mentre sullo sfondo resta la dimensione mediatica in cui Berlusconi è sempre molto abile.
In questo quadro le riforme più volte annunciate restano nebulose. Al netto del federalismo fiscale, che è una battaglia specifica della Lega, il resto del programma è un’incognita. La riforma della giustizia dovrebbe essere pronta, ma l’impressione è che sia soprattutto uno strumento di pressione sulla magistratura: un’arma in più nel duello in corso. Non c’è chiarezza sulle vere intenzioni della maggioranza, come è testimoniato anche da un episodio minore, ma significativo, qual è la polemica all’interno del Pdl intorno alla proposta sulla “prescrizione breve” presentata dal deputato Vitali.
Proprio la centralità dei processi in cui è imputato Berlusconi rende poco credibile il respiro riformatore del governo, specie quando si tratta di giustizia. Tanto più che alcuni punti di una vera riforma richiedono, come è noto, una modifica costituzionale. E a questo proposito, anche i prossimi passi del federalismo passano per una legge costituzionale. Che dovrebbe toccare tra l’altro la funzione e la composizione del Senato, nonché i poteri del presidente del Consiglio. Fini ha detto l’altra sera a “Porta a porta” di essere pronto a discutere eventuali iniziative. Sulla carta anche il resto dell’opposizione è su tale linea. Ma nessuno crede che in questo scorcio di legislatura sia possibile trovare una qualsiasi forma di accordo per mettere mano alla Costituzione.
Il Sole 24 Ore 05.03.11