Giovani padri, insegnanti che vorrebbero creare un gruppo di autocoscienza maschile, uomini che hanno bisogno di raccontarsi altrimenti. Da quando è salito sul palco del 13 febbraio per dare voce all’altra metà del cielo è stato un felice continuo di messaggi, confessioni, coming out. Lui li interpreta come una voglia di cambiamento che sta attraversa l’universo maschile italiano, certo più variegato di come lo vorrebbe l’inventore del bunga bunga.
Il richiamo alla complicità con cui ci stanno martellando è insopportabile, il messaggio che vogliono far passare è che infondo siamo tutti invidiosi di Berlusconi, sbotta Stefano Ciccone, biologo, che da anni, insieme ad alcuni amici, lavora a smontare gli stereotipi con cui vengono bombardati i maschi italiani. Loro che in quegli stereotipi non si riconoscono, hanno deciso di chiamarsi Maschile plurale. Più che una associazione, una rete, fatta di tanti piccoli gruppi sparsi per il territorio nazionale. Ce ne è uno a Roma, uno a Milano, uno altro a Torino, uno Pinerolo, a Firenze, a Bari, Foggia, Viareggio, etc.. Gruppi di intimità, li chiamano. Si incontrano, parlano, discutono delle loro esperienze, fanno autocoscienza, si direbbe. Non fosse che quel termine, un tempo, era appannaggio delle donne. Mentre loro sono maschi, con tutto ciò che comporta. Un universo di condizionamenti ancora in gran parte da esplorare. Se i centri anti-violenza si occupano delle vittime, loro hanno deciso di concentrare la loro azione sugli autori delle violenze.
«Quelli che si confessano violenti sono una minoranza, l’atteggiamento più diffuso è la rimozione, il trasferimento della responsabilità sulle donne», spiega Stefano, che a Roma, forma gli operatori che lavorano con i detenuti. A Torino è nata anche una help line dedicata agli uomini che, scoprendo in sé la violenza, hanno bisogno di ascolto. «Sono un uomo e vedo la violenza maschile attorno a me e vedo però anche il desiderio di cambiamento di molti uomini. E so che quel desiderio è una risorsa per sradicare quella violenza», recita la lettera manifesto di Maschile plurale, che è diventata anche un video (prodotto con la collaborazione della Provincia di Roma) da far girare come un passaparola Da uomo a uomo (è il titolo del video), soprattutto nelle scuole, dove, a contatto con le nuove generazioni di maschi si svolge l’altrà metà del loro lavoro quotidiano.
«Questa parola di uomini l’abbiamo aspettata per quarant’anni», apprezza da femminista storica Lea Melandri, «Neppure il femminismo è riuscito in quello che loro stanno tentando: porre la questione della violenza come questione di rapporti tra uomo e donna, lavorando sul perturbante che si annida in ciò che più ci è noto».
L’Unità 26.02.11