Vinca il più forte. E’ la nuova regola del federalismo muscolare consacrato dall’ultima straordinaria impresa di questa maggioranza: il «Milleproroghe».
Questo decreto dal nome stravagante rappresenta ormai un appuntamento fisso invernale in un Paese così sciattamente governato da non essere in grado di rispettare nessuno dei termini fissati per qualsiasi materia dalle sue stesse leggi e che deve perciò rimediare prorogandoli. Proroghe continue: proroghe delle proroghe. Ma in mezzo alle proroghe si trova anche spazio per altre cosucce. Tanto più che in un Parlamento dove l’attività legislativa è ormai ridotta al lumicino questo è uno dei pochi provvedimenti destinati ad andare sicuramente in porto. E allora diventa l’occasione per saldare un conticino, sistemare una pendenza, onorare una promessa. Passi che il risultato è una nebulosa di 130 pagine, zeppa di numeri, commi e rimandi nella quale non si capisce un’acca. Com’è noto, in politica il fine giustifica i mezzi. Peccato soltanto che per qualcuno che ci guadagna, in questo curioso meccanismo federalista ci sia sempre qualcuno che ci rimette: generalmente il più debole.
Capita così che con il Milleproroghe siano state finanziate soltanto due delle quattordici fondazioni lirico-sinfoniche italiane, un settore massacrato dai tagli alla cultura. Nella legge non ci sono i nomi, ma è come se ci fossero. C’è scritto che hanno diritto ai soldi soltanto le fondazioni che nell’ultimo bilancio hanno incassato dal pubblico almeno il 70%del contribuito statale e hanno coperto con i biglietti venduti metà del costo del personale. Un gioco da ragazzi, scoprire i beneficiari. Si tratta della Scala di Milano di cui è incidentalmente vicepresidente Bruno Ermolli, uno degli uomini considerati più vicini a Silvio Berlusconi, e dell’Arena di Verona, presieduta dal sindaco Flavio Tosi: stella di prima grandezza del firmamento leghista.
Avranno tre milioni ciascuno, lo stesso finanziamento che in un altro comma è espressamente previsto, invece, per la Fondazione Giuseppe Verdi di Milano. Pazienza se non si sono trovati altri quattrini per il Teatro La Fenice di Venezia. D’altra parte la città è in mano al centrosinistra: se lo doveva aspettare. E pazienza se il direttore del Piccolo Teatro di Milano Sergio Escobar continua a protestare per l’avarizia dello Stato. Peggio per lui: poteva evitare di chiudere in pareggio il 2010 nonostante il taglio selvaggio dei fondi pubblici. Avrebbe impietosito qualcuno. Operazione che dev’essere invece riuscita ai produttori cinematografici. Anche se non perfettamente, visto che i finanziamenti al cinema saranno coperti con l’aumento del biglietto di un euro tondo. Non poteva poi mancare un segnale d’attenzione all’epicentro del federalismo.
E’ quindi spuntata nel Milleproroghe una nuova dilazione di sei mesi per il pagamento delle multe dovute dagli allevatori padani che se ne sono infischiati delle quote latte stabilite dall’Unione Europea. «Al fine di far fronte alla grave crisi in cui versa il settore lattiero caseario» , c’è scritto. Invece i pastori della Sardegna, dove la «crisi in cui versa il settore caseario» è anche peggiore, resteranno a bocca asciutta. Ma tant’è. Che cosa c’è di meglio per rinsaldare i rapporti con l’elettorato leghista di un bel rinvio delle multe? Cinque milioni, ci costa questo scherzetto. Prelevati da un fondo che serve anche a finanziare la ricerca sul cancro e l’assistenza ai malati di tumore. C’è chi dirà che cinque milioni sono niente, nel bilancio dello Stato. Vero. Eppure con 5 milioni, tanto per dirne una, si può pagare per un anno lo stipendio a 142 archeologici dei Beni culturali che si prendano cura del nostro straordinario patrimonio. Ma è inutile illudersi: iniziative del genere, per chi ha un orizzonte che al massimo arriva alle prossime elezioni, non sono all’ordine del giorno. Al contrario di altre misure considerate ben più redditizie. Per esempio, il blocco di un anno delle demolizioni delle costruzioni abusive in Campania. L’obiettivo è puntato in particolare sull’isola di Ischia: dove il centrodestra aveva promesso che avrebbe bloccato le ruspe durante l’ultima campagna elettorale delle regionali. E ogni promessa è debito. Nel nutrito pacchetto di favori alla politica spicca poi l’abolizione del taglio al numero dei consiglieri comunali di Roma e Milano, entrambe guidate dalla destra, ed entrambe con un numero di abitanti superiore al milione. Soglia che consentirà loro di mantenere 60 poltrone, anziché ridurle a 48, e aumentare a 16 il numero degli assessori. Per un soffio non ce l’ha fatta Napoli, che di abitanti ne ha «soltanto» 963 mila ed è in mano alla sinistra. Ahi, ahi… Una piccola indecenza. Che impallidisce di fronte al condono per i manifesti elettorali abusivi. L’ennesimo. E’ il sesto, dal 1996. Il segretario radicale Mario Staderini ha calcolato che i Comuni italiani, i cui muri vengono regolarmente imbrattati con i cartelli dei partiti e dei singoli politici sicuri dell’impunità garantita dalla sanatoria successiva, hanno dovuto rinunciare a incassare multe per 1,7 miliardi. Somma addirittura superiore al taglio dei trasferimenti statali deciso dal governo per il 2010, che i sindaci avrebbero potuto impiegare per gli asili nido, la manutenzione delle strade, interventi sociali. E guardate come l’hanno scritto, questo condono: «Articolo 2, comma 18-undecies Le norme di cui all’articolo 42-bis del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14, si applicano alle violazioni commesse dal 28 febbraio 2010 alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Per tali violazioni le scadenze fissate dal comma 2 del citato articolo 42-bis al 30 settembre 2009 e al 31 maggio 2010 sono prorogate rispettivamente al 30 settembre 2011 e al 31 maggio 2011» . Non ha niente da dire il «Semplificatore» Roberto Calderoli, autore due anni fa di una norma secondo la quale le leggi devono essere «chiare e comprensibili a tutti»?
Tale vergogna ha indotto Staderini a denunciare per lettera al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: «Le leggi poste a garanzia della regolarità del processo elettorale sono sospese da almeno quindici anni» . Con questo regaluccio ulteriore i partiti eviteranno di pagare quest’anno alle amministrazioni comunali un centinaio di milioni. Che in compenso i sindaci potranno chiedere ai cittadini. Nel «Milleproroghe» è prevista infatti la possibilità di rincarare le imposte sui rifiuti fino alla copertura integrale del costo del servizio. Mentre le Regioni colpite da calamità naturali, per esempio l’Abruzzo, avranno la facoltà di aumentare le addizionali Irpef, in deroga al blocco in vigore da un paio d’anni, per far fronte alle emergenze. Ma non lamentatevi: da qualche parte lo Stato dalle casse vuote i soldi deve pur trovarli. Ci sono da pagare 246 milioni di contributi agli autotrasportatori. Poi servono 24 milioni per le agevolazioni ai benzinai. Due milioni per i traghetti sui laghi Maggiore, Garda e di Como. Un milione per i fondi alle radio e alle tivù che trasmettono programmi in francese, ladino, sloveno e tedesco. E duecentomila euro alla meritoria associazione Alleanza degli ospedali italiani nel mondo presieduta da Barbara Contini, senatrice di Futuro e libertà. Già, i finiani… Non che tutte le norme prevedano un salasso grande o piccolo per lo Stato. Ci sono anche, per fortuna, misure «gratuite» . Tutte, però, con lo stesso odore. La proroga, a condizioni invariate, delle concessioni pubbliche a favore degli «operatori economici» privati danneggiati dalle eruzioni dell’Etna di nove e dieci anni fa. La proroga di tre incarichi dirigenziali all’Agea, l’Agenzia che distribuisce soldi agli agricoltori alla cui presidenza siede da un anno l’ex senatore leghista Dario Fruscio. La riapertura dei termini per i partiti che si erano scordati di chiedere i rimborsi elettorali relativi alle regionali del 2010. C’è anche questo, nel «Milleproroghe» . Che forse, però meriterebbe un nome diverso. «Milleorrori» , «Millescempi» , «Millemarchette» … Fate voi.
da il Corriere dela Sera
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“Salta l’emendamento con il piano per aiutare Pompei «Manca la copertura»”, di Al. Ar.
ROMA— Niente da fare per Pompei: anche l’emendamento, infilato all’ultimo nel decreto Milleproroghe, è stato bocciato, miseramente. E le rovine più antiche d’Italia devono attendere ancora quell’aiuto tanto sperato. Niente da fare per quel piano straordinario di rilancio che Sandro Bondi, ministro per i Beni culturali, va annunciando da quando dentro gli scavi di Pompei successe il disastro. Era il 6 novembre scorso, un sabato: la Schola Armaturum Juventis Pompeiani cadde in pezzi. E sulle rovine di Pompei si rovesciarono decine e decine di polemiche. Il ministro Bondi non esitò: per le nostre rovine, che l’Unesco ha dichiarato patrimonio dell’Umanità, avrebbe approntato presto un piano di rilancio. Una task force specializzata, nuove assunzioni, il ritorno della soprintendenza autonoma da Napoli e, soprattutto, l’ingresso di sponsor privati per la gestione delle rovine: è agli ispettori dell’Unesco in visita agli scavi che il ministro Bondi illustra il suo piano, fiore all’occhiello. Inutilmente. Perché è la fine dell’anno scorso (mancano tre giorni a Natale) quando il Consiglio dei ministri vara il decreto Milleproroghe e, all’ultimo momento, decide di stralciare proprio il piano per Pompei. Motivo: il testo è troppo «ordinamentale» per rimanere dentro quel decreto. Ma il ministro Bondi è ottimista: il piano potrà essere velocemente convertito in sede di discussione alla Camera e al Senato. Così non succede. E così si deve aspettare la fine di gennaio e il decreto Milleproroghe che arriva in Senato. E’ Lucio Malan, senatore del Pdl, che come relatore del decreto scrive l’emendamento 2072, ovvero il piano di rilancio di Pompei. Spiega ora Malan: «Erano previsti 900 mila euro in tre anni per assumere specialisti, la riduzione dei tempi per fare gli appalti, la deroga degli strumenti urbanistici, l’ingresso degli sponsor privati, il distaccamento dalla soprintendenza di Napoli. Un piano che, ovviamente, ho scritto concordandolo con il ministero dei Beni culturali. Ma la commissione Bilancio lo ha bocciato senza appello: non c’erano le giuste coperture economiche» . E il piano per Pompei rimane ancora un sogno sulla carta.
da il Corriere dela Sera