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"Il rilancio di Sassuolo è nelle piastrelle hi-tech", di Marco Alfieri

Bocche cucite, per scaramanzia. Ma il probabile varo dei dazi all’import di piastrelle cinesi al vaglio di Bruxelles rappresenta (anche) una vittoria italiana. Per un settore che esporta il 70% di quel che produce nel Belpaese, l’Europa è il cortile dove giocare le proprie guerre di mercato. Per questo c’è prudenza tra i ceramisti. Quando si dice piastrella italiana in realtà s’intende Sassuolo. L’80% della produzione nazionale (vale 5,7 miliardi di euro), viene dal modenese: qui si concentrano una novantina di aziende sulle 200 censite da Confindustria ceramica. La fine di una stagione Nell’ultimo biennio sulla via Emilia se la sono vista brutta. Dopo lo sboom immobiliare, in giro per il mondo sempre meno case, bagni, cucine e salotti hanno richiesto ceramiche tricolore. A cascata la stretta creditizia ha fiaccato un tessuto imprenditoriale fondato sugli alti costi di magazzino, facendo esplodere la cassa integrazione, che nei mesi più duri della crisi ha coinvolto quasi la metà dei 20mila addetti del distretto. Sembrava la fine di una stagione per un “cluster” studiato fin dal 1966 da un giovane Romano Prodi con il suo Modello di sviluppo di un settore in rapida crescita: l’industria della ceramica per l’edilizia , ancora oggi un evergreen della letteratura dei distretti. L’invasione cinese All’inizio degli anni ’80 la produzione italiana copriva un terzo di quella mondiale, oggi si ferma all’8 per cento. Nel frattempo sono arrivati i cinesi, diventati i più grandi produttori di massa con 4 miliardi di mq di piastrelle l’anno. Dal 2003 l’export di Pechino verso l’Ue è cresciuto del 950 per cento. Il distretto di Sassuolo chiude non a caso il 2009 in profondo rosso (-25%). L’invasione cinese manda fuori mercato il 40% della produzione. E’ uno shock per il mondo piccolo della Bassa, tenore di vita e automobili hollywoodiane: tutto sembra sbriciolarsi, insieme a quel compromesso emiliano che per anni ha garantito concertazione e redditi alti. Minozzi e le formiche Invece Sassuolo «barcolla ma non molla», come dicono sulla via Emilia. Nella crisi fa la formica. Ad esempio dopo lo spettro del disimpegno, il vecchio leone Romano Minozzi si rimette in trincea con la sua Iris, abbandona la sindrome dei Buddenbrook, razionalizza gli organici, tornando sul mercato con nuovi prodotti come la piastrella active. «Sottopelle è proseguita l’internazionalizzazione produttiva del distretto», conferma Franco Mosconi, economista dell’università di Parma. «L’80% delle piastrelle realizzate in Francia esce da imprese controllate da capitale italiano. Lo stesso per il 50% della produzione in Usa. Dunque se la recessione colpisce duro, la ripresa tocca Sassuolo più velocemente dei sistemi chiusi». Già nel 2010 il consumo globale di piastrelle registra un +5,5% sul 2009. Nel 2011 le stime indicano un +5,9%, grazie a paesi arabi e Far East. Il mercato si riprende sgonfiando la cassa integrazione: oggi nel triangolo SassuoloFiorano-Casalgrande non ci sono più di 5-600 addetti in cig. Le ceramiche 2.0 Anche la propensione all’investimento non si è contratta. Nel biennio 2008-2009 le aziende continuano ad investire il 6-7% del fatturato. Solo la Marazzi, “l’università” della ceramica, è ripartita investendo 90 milioni in nuovi impianti a ciclo continuo. Altre aziende puntano sulla ceramica ecosostenibile, altre sulle piastrelle fotovoltaiche, altre ancora su quelle antibatteriche, ideali per ospedali, mense, asili nido e case di riposo. Anche la concentrazione industriale si consolida. Se guardiamo il fatturato globale oggi i “Top 5” valgono il 42,1% dei ricavi dell’intero distretto. Alfalux, Marazzi, Panaria, Atlas concorde, Graniti fiandre, Casalgrande padana, Florim, Ricchetti: sono loro i “big” cresciuti spesso per linee esterne, spingendo sull’internazionalizzazione e sulla crescita del prezzo medio dei prodotti venduti. Emilio Mussini, presidente di Panaria Group, lo dice da tempo: «non sarà la negazione di un aumento salariale che ci farà tornare competitivi con la Cina. Dobbiamo puntare sul controllo dei costi di gestione e sul mix tra prodotto, innovazione estetica e tecnologica». Tutto il mondo è Sassuolo Solo così si rivede la luce. Un distretto non più leader mondiale per volumi prodotti, i cinesi hanno messo la freccia, ma ancora in valore. Su questo parametro la fetta di mercato globale riferita alla produzione italiana rimane intorno al 40 per cento. «Non dimentichiamoci che la Cina realizza i suoi record con tecnologia sassuolese», ricorda sempre Giorgio Squinzi, patron della Mapei, colle e prodotti chimici. Lo spettro della sovra produzione Basterà in futuro? Manuela Gozzi, della Filcem Cgil di Modena, è meno ottimista. «Ci sono imprese che hanno sfruttato la crisi per riorganizzarsi, altre no e oggi soffrono». Una macchia di leopardo riassunta in due numeri. «La superficie vendibile sul mercato attuale vale 400milioni di mq di piastrelle – calcola Gozzi – ma la potenzialità impiantistica del distretto vale ancora 600 milioni». Il pareggio resta lontano. Inoltre, «nella crisi non è scattato un forte processo di crescita dimensionale», ammonisce la sindacalista. «Manca quell’innovazione epocale come fu, negli anni ’80, l’invenzione della cottura rapida». Il palliativo dei dazi In sostanza i dazi aiuteranno sul breve a vendere in Europa, perché i cinesi arrivano alle nostre fiere con le piastrelle copiate. Ma la crisi si batte strutturalmente conquistando l’Asia, «il mercato di domani, quando una classe medio-alta in espansione domanderà i prodotti made in Italy», nota Mosconi. In fondo Sassuolo è nato e cresciuto esportando in 150 paesi. Una volta tamponato il dumping cinese, può solo continuare a farlo…

La Stampa 17.02.11