Il governo ha puntato tutto sul corridoio libico, tralasciando le altre vie di accesso. Il Consiglio per i rifugiati accusa: sbarchi iniziati a gennaio, Roma ha agito tardi e male. E’ la tempesta perfetta. L´onda migratoria è pronta ad abbattersi sulle coste italiane. Gli ingredienti? Disoccupazione crescente, popolazioni giovani, crisi politiche. Il risultato? Oltre un milione di nordafricani guardano oggi al di là del mare. E «l´esodo biblico», di cui parla il ministro dell´Interno Roberto Maroni, rischia di affondare per sempre le politiche migratorie del governo.
«L´idea di puntare tutto sull´accordo con la Libia si è rivelata miope – attacca Christopher Hein, direttore del Consiglio italiano per i rifugiati – ci si è limitati a tappare il buco del Mediterraneo centrale, senza badare agli altri buchi che si andavano aprendo: primo, quello via terra, sulla direttrice Turchia-Grecia; secondo, quello ora in partenza dalla Tunisia. È prevedibile che i rifugiati provenienti dal Corno d´Africa e dall´Africa subsahariana usino adesso la breccia aperta in Tunisia per raggiungere l´Italia. Il governo ha sottovalutato il problema, che era già prevedibile nel mese di gennaio, quando gli sbarchi dei tunisini sono cominciati ad aumentare. Non solo. Ha anche tardato ad aprire il centro d´accoglienza di Lampedusa e a coinvolgere l´Europa».
Il Trattato con la Libia, che prevede tra l´altro la cessione di 6 unità navali della Guardia di Finanza alle autorità libiche, è molto oneroso. Ed è strettamente legato all´accordo per la chiusura del contenzioso coloniale, che prevede investimenti da parte dell´Italia in infrastrutture per circa 3,4 miliardi di euro.
«Il terremoto politico del Nord Africa – sostiene Gian Carlo Blangiardo, docente di demografia alla Bicocca di Milano e collaboratore della fondazione Ismu – rischia di far saltare tutte le previsioni sui flussi migratori». La fondazione Ismu ha, infatti, stimato che da qui al 2030, anche in assenza di particolari crisi politiche nei Paesi d´origine, circa 900mila nuovi immigrati arriveranno in Italia, provenendo da cinque Stati africani. Quali? Marocco (444.642 nuovi residenti), Egitto (123.569), Senegal (122.780), Nigeria (108.614), Tunisia (71.897). Già oggi questi cinque Paesi incidono sui residenti africani totali in Italia per ben il 79,3%.
«Tutti i fattori sociologici, economici e politici che spingono a emigrare restano forti – conferma Lorenzo Coslovi, ricercatore del Cespi (Centro studi politica internazionale) – il rafforzamento dei controlli, compresa la discutibile politica dei respingimenti in mare, ha finora frenato i flussi». E oggi? «Se saltano i controlli alle frontiere tutto può succedere, ma attenti agli allarmismi: i viaggi restano cari e rischiosi, non tutti sono disposti a imbarcarsi».
«Quanto sta succedendo in Nord Africa – afferma Massimo Livi Bacci, senatore Pd, professore di demografia a Firenze, tra i promotori del sito neodemos.it – ha colto il mondo di sorpresa. Il nostro Paese è certamente impreparato di fronte all´eventuale tensione politica che potrebbe diffondersi in tutto il Nord Africa. Basta pensare a cosa accadrebbe se saltasse il “tappo” della Libia. Credo, però – aggiunge Livi Bacci – che i nuovi flussi migratori dalla Tunisia siano solo una conseguenza acuta e transitoria dello shock dovuto alla crisi politica. La Tunisia, infatti, non straborda dal punto di vista demografico e inizia ad avere un modesto benessere economico».
E qual è il giro d´affari legato a questa nuova ondata migratoria? Dalle indicazioni dell´intelligence emerge una sorta di “tariffario” per il trasferimento illegale di migranti. L´Aisi (ex Sisde) ha segnalato che «per la direttrice nordafricana il corrispettivo preteso dai trafficanti oscillerebbe tra un minimo di 1000/1200 dollari a un massimo di 4000/5000, con la possibilità di frazionare l´importo versando ai gestori delle diverse fasi del percorso le provvigioni per le rispettive tratte».
La Repubblica 15.02.11
******
“Bruxelles accusa: rifiutati i nostri aiuti Ma l’Italia smentisce”, di Adriana Cerretelli
Sono state scintille ieri tra Roma e Bruxelles, complice l’emergenza immigrati, le migliaia di persone in arrivo dalla Tunisia che si riversano su Lampedusa. «È un esodo biblico» aveva dichiarato domenica il ministro dell’Interno Roberto Maroni puntando il dito sulle eterne latitanze dell’Europa su questo fronte. «Il Maghreb sta esplodendo, un terremoto politico-istituzionale rischia di avere un impatto devastante su tutta l’Europa attraverso l’Italia. Ma come al solito siamo lasciati soli».
Parole forti che Bruxelles ieri ha respinto con forza asserendo di aver offerto aiuto all’Italia non più tardi di sabato scorso per sentirsi rispondere, proprio da Maroni, un cortese «no grazie, per ora non abbiamo bisogno di assistenza, magari più avanti».
Ad affermarlo, piccata, la svedese Cecilia Malstrom, responsabile Ue agli Interni che, sabato appunto, ha parlato al telefono con il nostro ministro e gli ha offerto piena disponibilità a fare la propria parte. «Sono molto sorpresa dalle accuse italiane. Sono stata in contatto sabato con le autorità italiane chiedendo in che modo la Commissione potesse fornire il suo sostegno. La risposta è stata no grazie per ora non ne abbiamo bisogno. Ciò nonostante ho chiesto ai miei servizi, a Frontex e all’ufficio Ue per l’asilo di vedere come sostenere l’Italia».
Immediata la replica di Maroni tramite il portavoce: «Non è vero che l’Italia ha rifiutato l’aiuto offerto dalla Commissione. Il ministro ha avanzato alcune richieste, peraltro non nuove: l’intervento di Frontex per controllare il Mediterraneo, la gestione dei centri per gli immigrati e il rimpatrio dei clandestini, nonché il rispetto del principio del burden sharing» dei flussi migratori, cioè dell’accoglienza condivisa tra tutti i paesi dell’Unione. Su questi punti, ha continuato il portavoce, non abbiamo ancora avuto risposte. Comunque «non è nostra intenzione polemizzare con la commissaria Malmstrom. La critica è rivolta più in generale all’Europa, dalla quale ci aspettiamo che passi dalle parole ai fatti dando risposte concrete alle richieste da tempo avanzate dall’Italia».
Se il burden sharing, la questione cruciale, dipende dai governi Ue finora del tutto refrattari alla solidarietà, la Commissione Ue può comunque dare una mano: per esempio con finanziamenti d’urgenza per ragioni umanitarie per circa 10 milioni, con il potenziamento rapido della sorveglianza alle frontiere. Le operazioni Frontex nel Mediterraneo invece richiedono più tempo in quanto dipendono dal contributo volontario di uomini e mezzi da parte dei governi Ue
Per questo ieri Maroni ha inviato una lettera a Bruxelles per chiedere una nuova Frontex rafforzata e aiuti Ue per 100 milioni di euro, ricordando che in cinque giorni l’Italia ha dovuto fare i conti con oltre 5.000 sbarchi.
L’emergenza, oggi scatenata dalla Tunisia domani forse da Egitto e Algeria e da chissà chi altri, rischia di assumere dimensioni epocali, di trasformarsi in una sfida strategica per l’Europa, come accadde più di 20 anni fa con la caduta del Muro di Berlino, ha avvertito ieri l’eurodeputato Mario Mauro, capogruppo Pdl, che ha chiesto e ottenuto l’iscrizione all’ordine del giorno dell’europarlamento di un dibattito già oggi sull’argomento. E poi, a stretto giro, ha chiesto, con una lettera ai presidenti di consiglio, commissione e parlamento Ue, la convocazione di un vertice straordinario dei 27 capi di governo dell’Unione. «Quel che sta accadendo nel Maghreb deve far rimettere in discussione la pochezza della strategia euro-mediterranea della Ue. Non basteranno le iniziative della commissione, i dibattiti parlamentari o i pattugliamenti di Frontex. La storia ci pone davanti a una sfida che va affrontata con la stessa determinazione e le stesse risorse impiegate in questi anni per stabilizzare i paesi dell’Est».
La presidenza di turno ungherese dell’Unione ieri ha risposto dicendosi disponibile a organizzare il summit. Nel frattempo mercoledì a Bruxelles i rappresentanti permanenti dei 27 discuteranno dell’emergenza in atto. Poi il 24 febbraio verrà il turno dei ministri Ue degli interni che si riuniranno a Bruxelles.
Il Sole 24 Ore 15.02.11
.