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"Così con Andreatta battemmo l'inflazione a due cifre" di Carlo Azeglio Ciampi

Ho accettato ben volentieri l’invito di Enrico Letta a ricordare le vicende del 1980-81 che portarono Beniamino Andreatta e me a stipulare quello che è passato alla storia come il “divorzio” tra Tesoro e Banca d’Italia. Sulle qualità di Andreatta, come uomo di studio e di lungimirante impegno civile, mi sono già espresso altre volte, segnatamente in occasione della giornata di studio promossa dall’allora ministro dell’Economia e delle Finanze, Tommaso Padoa-Schioppa, il 13 febbraio 2008. Agli inizi degli anni 80, l’Italia viveva la seconda crisi petrolifera; il livello dei prezzi segnava un tasso annuo superiore al 20 per cento. Da quasi dieci anni l’Italia conviveva con un’inflazione a due cifre, che non ci doveva abbandonare per altri cinque anni.

All’assemblea della Banca d’Italia del maggio 1981, interpretando l’anima dell’istituto che mi era stato da poco affidato, indicai tre condizioni per restituire al paese stabilità monetaria: una politica dei redditi volta alla disinflazione; una banca centrale completamente indipendente; il pieno controllo del bilancio pubblico e della conseguente creazione monetaria. Vorrei richiamare, per sommi capi, le tre condizioni che enunciai allora:

1 – «Il ritorno a una moneta stabile richiede un vero cambiamento di costituzione monetaria, che coinvolge la funzione della banca centrale, le procedure per le decisioni di spesa pubblica e quelle per la distribuzione del reddito. Prima condizione è che il potere della creazione della moneta si eserciti in completa autonomia dai centri in cui si decide la spesa… Oggi quella condizione deve essere soddisfatta soprattutto nei confronti del settore pubblico, liberando la banca centrale da una condizione che permette ai disavanzi di cassa di sollecitare una larghezza di creazione di liquidità non coerente con gli obiettivi di crescita della moneta. Ciò impone il riesame dei modi attraverso i quali, nel nostro ordinamento, l’istituto di emissione finanzia il Tesoro: lo scoperto del conto corrente di tesoreria, la pratica dell’acquisto residuale dei buoni ordinari alle aste, la sottoscrizione di altri titoli emessi dallo stato. In particolare è urgente che cessi l’assunzione da parte della Banca d’Italia dei Bot non aggiudicati alle aste».

2 – «Seconda condizione sono regole di procedura che collochino le grandi decisioni di spesa nella prospettiva dell’equilibrio monetario… Alle decisioni di spesa pubblica bisogna dare regole che costringano al rispetto sostanziale dell’obbligo di copertura… Occorre ricercare e definire solennemente forme, quali ad esempio l’obbligo del pareggio fra le entrate e le uscite correnti, con le quali dare concreta attuazione al principio enunciato nella Costituzione…».

3 – «Terza condizione: occorre ricercare e definire forme istituzionali attraverso le quali la negoziazione collettiva ritorni a essere strumento di governo della dinamica dei redditi e della condizione del lavoro anziché di distruzione della moneta… Autonomia della banca centrale, rafforzamento delle procedure di bilancio, codice della contrattazione collettiva sono presupposti del ritorno e une moneta stabile».

Nel nostro paese, nello scorcio degli anni Settanta e all’inizio degli anni Ottanta, la creazione di “moneta di banca centrale” – la moneta ad alto potenziale che stava alla base della piramide della creazione della moneta e del credito – avveniva principalmente attraverso il canale del Tesoro (gli altri due essendo le banche e l’estero): questo per effetto di una convenzione, non in forza di un obbligo di legge, che faceva sì che la banca agisse da acquirente residuale di tutti i BoT emessi dal Tesoro, al tasso d’interesse deciso dallo stesso Tesoro.

Il governatore Baffi, nelle Considerazioni finali del 1976, spiegò che la banca aveva creduto di «accettare la validità di una ragione economica storica più cogente della pur profonda convinzione di quanto sia effimero e dispersivo il sostegno dell’occupazione e del reddito affidato all’inflazione». In effetti, la creazione monetaria operata per il tramite del canale Tesoro agiva come un potente volano di svilimento del valore, interno ed esterno, della moneta, attraverso una costante creazione del combustibile – la “base monetaria” – che alimentava i processi inflazionistici.

In quelle difficili condizioni, l’azione della banca centrale nel controllo dei flussi monetarie finanziari si traduceva in un continuo sforzo di assorbire (mop up, si diceva allora) la liquidità in eccesso, principalmente attraverso operazioni di mercato aperto. Ricordiamo inoltre che, per un’economia di trasformazione quale quella italiana, caratterizzata da un elevato grado di apertura sull’estero, la presenza di un’elevata liquidità sul mercato interno facilmente si traduceva in tensioni sul cambio e sul tasso d’inflazione importata. Aggiungasi che il nostro sistema di determinazione delle retribuzioni, pubbliche e private, era fortemente indicizzato. Ben pochi mettevano in dubbio il sistema delle indicizzazioni al 10%, effetto della scala mobile conseguente agli accordi fra le parti sociali del 1975. All’estero, ciò consolidava l’immagine di un’economia italiana caratterizzata da una congenita propensione all’inflazione.

Andreatta e io eravamo convinti che fosse indispensabile ridare autonomia alla politica monetaria; di qui l’idea di modificare la prassi introdotta nel 1976 secondo la quale la Banca d’Italia agiva da acquirente residuale dei titoli invenduti in asta. Nell’autunno del 1980 avemmo con Andreatta lunghi colloqui sull’argomento. Trent’anni fa, proprio di questi giorni, sulla base di uno studio condotto da un gruppo di lavoro congiunto Tesoro-Banca d’Italia, ci scambiammo, con Andreatta, alcune lettere con le quali si poneva termine al meccanismo automatico di acquisto residuale; l’accordo si perfezionò nel luglio del 1981.

La riconquistata autonomia della banca centrale riduceva il finanziamento agevolato della spesa pubblica, cosicché il tasso d’interesse poteva riprendere il suo ruolo chiave di determinazione delle condizioni di equilibrio nel mercato monetario e finanziario.

Con l’adesione alla moneta unica quel cammino è stato portato a compimento. Soprattutto, la società civile ha maturato una nuova mentalità, centrata sulla stabilità quale condizione essenziale per un maggiore benessere economico e sociale. Ciò rese l’Italia degna di partecipare fin dall’inizio alla moneta unica.

L’articolo è uno stralcio del discorso che Carlo Azeglio Ciampi tiene oggi al convegno «L’autonomia della politica monetaria». Una riflessione a trent’anni dalla lettera di Andreatta che avviò il divorzio tra Tesoro e Bankitalia

Il Sole 24 Ore 15.02.11

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