Vi sarà presto un’ ulteriore tornata di prove INVALSI. Non conosco test e metodi che verranno usati questa volta ma tutto fa pensare che –a parte il numero di alunni coinvolti e l’ inserimento degli alunni del II anno delle scuole secondarie superiori- assomiglino molto a quelli della scorsa annata.
Possibili novità a parte, i tempi per compilare le schede saranno ristretti e i quesiti difficili per chi non ha ben sviluppato il pensiero convergente. L’ anno scorso chi scrive non riuscì a espletare tempestivamente il test di lettura per la seconda elementare e altri test lo misero a dura prova.
Ricordo per la secondaria di I grado un triangolo inserito in un cerchio che fece impazzire due accreditati docenti di matematica.
Come accade anche con le prove OCSE-PISA, ispirate alla stessa ideologia oggettivistica, alla fine saranno probabilmente diffuse dai media sintesi assai negative per l’ immagine della scuola italiana, in quanto derivate da test che avranno tenuto conto solo degli aspetti più facilmente valutabili del rendimento scolastico, quelli esecutivi, “ automatici” o in cui comunque la capacità di pensiero critico e creativo, in un’ottica di visione seriale e pseudo-oggettiva dei processi educativi, non ha spazio.
Una lettura attenta dei testi originari di simili importanti (in quanto hanno una grossa portata nell’ orientamento dell’ opinione pubblica) ricerche di sistema mostrerà magari una rappresentazione dei fenomeni più complessa ma pochi leggono le ricerche in originale e il danno d’immagine sarà comunque compiuto. La responsabilità morale degli autori di una ricerca non è peraltro limitata a quel che dicono ma anche a quello che senza alcuna avvertibile smentita lasciano dire.
Le prove come elemento di conoscenza e di disconoscimento Il sistema vive esclusivamente nel visibile e ne richiede imperiosamente un qualche simulacro. E’ dunque vero che qualcosa in materia di valutazione occorre fare: ma sarebbe necessario che venisse fatto disinteressatamente, onestamente, rigorosamente. Questo comporta per i soggetti che non hanno gravosi interessi politici o economici e che non devono rendere conto a nessuno delle proprie posizioni scientifiche una presa di distanza rispetto alla macchina dei test “ oggettivi”.
Peraltro stanno arrivando nelle professioni e nella scuola gli studenti a suo tempo selezionati attraverso test per l’ accesso alle facoltà con questa pratica perversa: bravi quando si tratta di compilare stampati o di esercitare pensiero replicante ma mediamente scadenti per tutte quelle attività in cui occorre capacità critica, attenzione a tutto campo, fantasia, inventiva.
Questi meccanismi di valutazione, di derivazione IEA e perseguenti metodologie non ermeneutiche abbandonate nei paesi ove furono inizialmente applicate, sono comunque da prendere in considerazione in quanto indicative dei loro presumibili effetti nel condizionamento dell’ opinione; occorre d’ altra parte esservi attenti in quanto sono spesso ricche anche di dati utili a valutare quelle attività scolastiche in cui viene posto in atto il pensiero convergente e immediatamente operativo.
Evoluzione della curvatura epistemologica
La ricerca pedagogica italiana prevalente in materia è bloccata da una quarantina di anni sui lavori di M. Gattullo e B.Vertecchi; il primo, purtroppo, è morto da quindici anni e forse –data la sua formazione bertiniana- avrebbe cambiato idea; il secondo è vivo ma non ha proceduto oltre e i suoi allievi dominano il campo docimologico con i loro dogmatismi. Sarebbe ora di ripartire: l’ istanza di scientificità (vedi anche di quegli anni i lavori di De Bartolomeis e della Becchi ) trova ora risposte in modelli epistemologici diversi da un galileismo fuori tempo e fuori campo. La ricerca mondiale sulle scienze dell’ educazione ha recepito la lezione husserliana della “ Crisi delle scienze europee” . Studi importanti sono ad esempio condotti nell’ ambito del Wordl Phenomenolgy Institute di Vancouver diretto da A.T.Tymieniecka; in Italia dal gruppo di Encyclopaideia di Bologna (M.Tarozzi e M.Artoni), dal Centro di fenomenologia e scienze della vita di Macerata (F.Totaro e D.Verducci), dal Centro italiano di ricerche fenomenologiche di Roma (A.Ales Bello).
Entro questo scenario, l’ argomento che occorre affrontare è quello della particolare visione della scientificità che va messa in opera, anche perché da un punto di vista fenomenologico una valutazione “ oggettiva” che pretendesse di avere valore complessivo appare impossibile. Si prenda atto che in ogni settore, i risultati di una ricerca sono spesso (a volte in gran parte) il prodotto dei presupposti metodologici e dei modelli quanti/qualitativi espliciti e impliciti. Le impostazioni della ricerca determinano gli esiti. Quel che in una piccola ricerca è una frequente eventualità, in una ricerca che richieda grossi finanziamenti e apparati stabili (es. OCSE/PISA, INVALSI) occorre che i risultati siano, se non utili, almeno compatibili con il sistema. E gli interessi deontologicamente mal controllati uccidono la verità del valore (autenticità e autorevolezza dell’ attribuzione del valore), se mai questa esista.
Si tratta a mio avviso di costruire una valutazione non appiattita sugli stereotipi di ricognizione/ interpretazione degli eventi che possono conseguire alla seriabilità delle procedure di ricerca, delle pratiche di elaborazione, di pubblicizzazione. Secondo un tipo di valutazione fenomenologicamente impostata entro l’ area delle scienze dell’ uomo, non ci sono oggetti, solo soggetti. E l’ intersoggettività esclude approcci oggettivistici come di soggettivismo chiuso, concilia i termini dell’ atto valutativo. Non sarà mai applicazione di un metodo completamente preesistente. Il campo di valutazione non può non essere posto in relazione esplicita con il metodo impiegato per studiarlo. Se di fronte a me sta una scuola, o una banca, un sistema giudiziario, un mercato non posso comportarmi come fossero la stessa cosa. Poichè di fronte a me vedo fenomeni e non cose in sé, devo percepire quanto distino da me e non farne oggetti seriali interscambiabili nelle procedure di cognizione con qualsiasi altro oggetto; devo sì inter- rogarli, ascoltare quel che mandano a dire, cercare di coglierli nella loro singolarità, nella loro essenza costitutiva. Ma anche rendermi conto che non vedo ciò che è, ma solo ciò che, anche onestamente, posso vedere, ciò che la comunità dei ricercatori può vedere.
Costruire risultanze plausibili
Se le grandi e costose ricerche di sistema sono investimenti finalizzati della committenza pubblica e privata (sappiamo che ormai la differenza è minima, data l’ ampia privatizzazione sostanziale del pubblico) anche le ricerche libere non possono pretendere di essere meri rispecchiamenti di valori intrinseci all’ oggetto. Nemmeno una libera comunità di ricercatori senza padrone o committente (un padrone a tempo determinato) può pensare di giungere al vero, di valutare non quel che le appare, ma ciò che è. Sta comunque entro un orizzonte di valori, una rete di aspettative che fan sì che niente sia meno evidente dell’ evidenza e che l’ evidenza sia solo quella visibile dalla propria finestra. Anche la ricerca più onesta –se ha dignità e diritto di essere orgogliosa- deve conservare umiltà: non considererà mai i suoi risultati universali e necessari, tantomeno “ oggettivi” . Potrà mirare a risultanze dichiaratamente relative e plausibili, almeno in potenza intersoggettualmente accettabili. La pratica di valutazione che auspichiamo è volta ai fenomeni, non ai fatti; un discorso indagante che assume i dati ma guarda anche sotto gli stessi e oltre, consapevole della prossimità di questi a una radice ignota. Aspira a un’ intelligenza dell’oggettualità (senza l’oggetto, anche il soggetto si disperde) senza pretendere di essere semplice replica formalizzata dell’oggetto; vi è protesa ma è consapevole della impossibilità di farlo rientrare “oggettivamente” nel proprio pensare.
Quel che si vuole appare
Certo, se la valutazione dei risultati non ha adeguata struttura epistemologica, se la committenza non è interessata alla verità ma alla produzione di materiale per argomentazioni persuasive, la valutazione diviene uno strumento di pura gestione del potere: se sei una scuola, ti valuto per l’efficacia della rappresentazione che –a suon di test e di slides- sai rendere credibile nel pubblico;
se sei un insegnante o un dirigente ti valuto non per quel che sai e sai fare ma per il lustro che deriva dalla tua presenza e per l’obbedienza che mi presti. Se persegui valori diversi da quelli che mi sono utili non considererò i dati che li riguardano. I dispositivi di valutazione servono allora per condizionare il pubblico nella sua fiducia verso le scuole; la pratica di valutazione del docente serve per convincere magari anche il docente stesso che forse è pagato poco, ma anche troppo per quel che vale.
Continuando il lavoro di “ Una valutazione possibile” , credo occorra proseguire con rinnovata lena nella costruzione secondo il metodo fenomenologico/ermeneutico di una teoria della valutazione generativa di pratiche rigorose di ricerca; su questa poi si farà perno per sistemi di rappresentazione al pubblico che rendano giustizia al grande valore della nostra scuola e dei nostri insegnanti. Magari a costo di esser partigiani come quelli dell’ altro fronte.
L’ impegno ha anche rilevanza politica: se non vi è un modello di valutazione scientificamente fondato (oltre che generalmente rispettato, se non condiviso, dalla comunità degli studiosi e dei docenti) valutare diviene un’arma contro la libertà d’insegnamento. Un apparato retorico.
Augurio per (lontani?) anni a venire
Come accade da molti, troppi anni anche con altre operazioni scientificamente discutibili, saremo disciplinati: gli ispettori (i pochi rimasti) sovrintenderanno, i dirigenti organizzeranno, gli insegnanti assisteranno. Socrate insegna che alle disposizioni dello Stato il funzionario deve comunque obbedire, pur rendendosi conto dei loro effetti; salvo sottoporle poi, dopo attento studio, a critica epistemologica ed etico-politica.
Ma pensiamo anche al futuro. Speriamo che la valutazione delle scuole possa acquisire negli anni venturi (quest’ anno non credo) una più aggiornata forma di ricerca, dunque, a mio avviso, fenomenologico-ermeneutica. Il tentativo potrebbe essere quello di elaborare scenari ed elementi progettuali per una teoria della valutazione che consenta di mettere in luce non eventi a suffragio di atti retorici ma atti scientifici. Occorre individuare esplicitamente i principi del metodo d’indagine e i processi configurativi, induttivi e deduttivi di costruzione teoretica e attuazione pratica. Per mettere il tutto a disposizione di chi proverà a valutare insegnanti, dirigenti e scuole (figuriamoci cosa accadrebbe se gli esiti delle prove di adesso fossero utilizzati per premiare/punire il cosiddetto “merito” ) o di chi sentirà il bisogno di strumenti epistemologicamente fondati se non altro per difendersi da valutazioni basate su modelli di “scientificità” e operazioni sempre più avvertiti da chi lavora nelle scuole come alieni.
da ScuolaOggi 15.02.11