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“Le verità rovesciate del caso Ruby”, di Luigi Ferrarella

Non è facile, guardando alla salute delle istituzioni scosse dall’inchiesta Berlusconi-Ruby, capire se la minaccino di più le bugie, che almeno con la verità hanno un rapporto (seppure rovesciato), o le affermazioni del tutto indifferenti alla verità. I 315 deputati che in una deliberazione ufficiale hanno attestato «evidente» il fatto che nel telefonare di notte alla Questura di Milano «il presidente del Consiglio abbia voluto tutelare il prestigio e le relazioni internazionali dell’Italia, giacché presso la medesima Questura era detenuta, a quanto poteva legittimamente risultargli, la nipote di un Capo di Stato estero» , hanno ridotto la credibilità istituzionale della Camera sotto i tacchi persino dell’autoconfezionata trasmissione tv nella quale Ruby stessa aveva riso della storiella di lei nipote di Mubarak. Il ministro degli Esteri annuncia che il premier potrebbe ricorrere alla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo contro l’asserita violazione della sua privacy, e subito trova il ministro della Giustizia, tra un consiglio di guerra e l’altro con il presidente del Consiglio e i suoi avvocati-parlamentari, a garantire che «il ministro degli Esteri parla sempre ponderando le parole, e quindi se lo ha detto c’è da crederci» : sicché un trascurabile dettaglio, e cioè la regola (derogata solo in caso di non praticabilità o non effettività dei mezzi di ricorso nazionali) per cui a Strasburgo un cittadino può rivolgersi solo quando abbia prima esaurito tutti i rimedi previsti dall’ordinamento del suo Paese, lascia l’incertezza tra la colposa incompetenza o la dolosa consapevolezza di due ministri di questa rilevanza. Il ministro del Welfare, tra i tanti nei talk show, denuncia Berlusconi vittima di «117.000 intercettazioni» , senza tema del ridicolo di un numero pari a quello di tutte le intercettazioni di tutte le inchieste di tutta Italia di tutto un anno al costo di circa 180 milioni di euro, a fronte invece di intercettazioni che in questa indagine hanno ascoltato a tratti un centinaio di utenze di una trentina di persone al costo di 26.000 euro. Il ministro dell’Interno, che più volte aveva garantito la regolarità dell’affidamento di Ruby dalla polizia alla consigliere regionale pdl inviata dal premier, non si è più sentito da quando è emerso che Ruby in realtà finì proprio alla prostituta brasiliana sulla quale il pm minorile aveva posto il veto; così come non sembra aver nulla da dire sul fatto che il questore dia per scontato che il premier gli possa «raccontare una balla» , o che il prefetto ritenga la cosa più normale del mondo accogliere la raccomandazione di una delle vivaci ospiti notturne di Arcore da parte di un premier a conoscenza che mesi prima il convivente della ragazza fosse stato arrestato con 12 chili di cocaina. L’escalation delle reazioni del capo del governo è direttamente proporzionale alla (per lui) inedita impotenza legislativa rispetto al rischio, appeso ormai solo alla imminente decisione del gip, di un processo per concussione e prostituzione minorile in aula già da aprile: le norme sul «processo breve» non lo neutralizzerebbero, acrobatici decreti anti-intercettazioni non ne azzererebbero le prove, la reintroduzione dell’immunità (come pure altre riforme in chiave punitiva delle toghe) richiedono troppo tempo, i precedenti della Cassazione fanno escludere che persino la presa sul serio della storiella della nipote di Mubarak possa rendere reato ministeriale la concussione: e non sospenderebbe il processo anche un conflitto di attribuzione davanti alla Consulta, sollevato in un mega conflitto di interessi da Palazzo Chigi contro il Tribunale su un processo proprio dell’imputato inquilino di Palazzo Chigi. Tutto inutile al premier. Ma tutto costosissimo per le istituzioni. Senza saperlo, e seppure in tutt’altro modo, in fondo ha proprio ragione Berlusconi: andrebbero preservate «le vite degli altri» . Di tutti quegli altri italiani che, anche nel dopo-Berlusconi, avranno ancora bisogno di istituzioni credibili e salde, non delle macerie di quelle bombardate ogni giorno che passa.

Il Corriere della Sera 13.02.11