La montagna di retorica prodotta dalla propaganda leghista sul cosiddetto federalismo fiscale sta producendo i suoi mostriciattoli che potranno avere, al momento della loro effettiva incidenza sulla realtà amministrativa delle Regioni e degli enti locali, solo due possibili esiti: o restare, lettera morta e finire accantonati da provvedimenti di urgenza in attesa di una loro radicale modifica, o aprire una stagione di grave disordine e di possibile collasso nel funzionamento amministrativo delle autonomie locali, con gravi conseguenze, specie nel mezzogiorno d’Italia, nell’erogazione di fondamentali servizi.
E’ davvero sorprendente che fino ad oggi quel poco di attenzione dell’opinione pubblica, che si è riusciti a sollecitare per tale argomento, sia stata concentrata sul tema della qualità della tassazione aggiuntiva o sostitutiva e sul futuro assetto del sistema fiscale che dovrebbe essere incentrato sul superamento della finanza derivata, fondata sul criterio della spesa storica.
La legge delega ha stabilito la struttura fondamentale delle entrate di regioni ed enti locali, ha definito i principi che dovrebbero regolare l’assegnazione di risorse perequative agli enti dotati di
minori capacità di autofinanziamento e ha delineato gli strumenti attraverso cui dovrebbe essere garantito il coordinamento fra i diversi livelli di governo in materia di finanza pubblica.
I Decreti legislativi delegati stanno realizzando tutto ciò con gravissime omissioni e illegittimità.
E’ di queste questioni che bisogna, a mio avviso, trattare oggi se non si vuole correre il rischio che la prossima campagna elettorale sia condotta all’insegna della superficialità su un terreno più
favorevole alla propaganda leghista.
Due sono i decreti legislativi finora approvati o in via di definitiva approvazione: quello sulle spese di Comuni e Province (D.P.R. n. 216 del 26 novembre 2010) e quello sulle entrate comunali, il
cosiddetto federalismo municipale, rinviato da Napolitano alle Camere. Il Decreto riguardante le entrate regionali e provinciali sta iniziando il suo iter parlamentare e dovrà concluderlo entro
l’11 marzo 2011.
I decreti delegati approvati o in via di approvazione indicano due fasi, di cui una transitoria, per la realizzazione del nuovo assetto della finanza locale.
Per i Comuni e per le Province dal 2011 al 2013 cessano gradualmente i trasferimenti statali e nello stesso periodo si dovrebbero definire i costi standard in base a cui consentire il superamento del principio del finanziamento della spesa storica.
Mi sembra al riguardo scarsamente evidenziato il rischio reale che, stante la farraginosa procedura proposta per la individuazione dei fabbisogni-costi standard delle funzioni fondamentali di tali Enti, si realizzi un clamoroso disallineamento temporale rispetto alle date previste per la progressiva cancellazione dei corrispondenti trasferimenti statali. In questa fase transitoria i Decreti delegati prevedono la costituzione di un fondo sperimentale di riequilibrio, peraltro non previsto dalla legge delega, che rinvia l’avvio dell’autonomia impositiva tranne che per una modesta compartecipazione all’IVA e che di fatto rappresenta, con l’impiego, per alimentare tale fondo di riequilibrio, di una parte delle tasse e dei tributi statali sugli immobili (registro, bolli , catasto ecc.), la continuazione, con altra veste, delle vecchie modalità che caratterizzavano i trasferimenti da parte del Ministero degli Interni.
E’ utile al riguardo ricordare che l’art.14 della legge 122/2010 ha tagliato per il triennio 2011-2013 i trasferimenti statali alle Regioni, alle Province autonome di Trento e di Bolzano, alle province e ai comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti come di seguito indicato:
a) le regioni a statuto ordinario per 4.000 milioni di euro per l’anno 2011 e per 4.500 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2012;
b) le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano per 500 milioni di euro per l’anno 2011 e 1.000 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2012;
c) le province per 300 milioni di euro per l’anno 2011 e per 500 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2012, attraverso la riduzione di cui al comma 2;
d) i comuni per 1.500 milioni di euro per l’anno 2011 e 2.500 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2012.
Tale articolo, integrando di fatto gli articoli 8 e 11 della legge delega n.42, ha stabilito che dei tagli apportati ai trasferimenti “non si sarebbe dovuto tenere conto in sede di stesura dei decreti delegati”.
Ciò di fatto non è avvenuto, ma la questione è stata solo genericamente presentata all’opinione pubblica, quasi come fosse una scelta ineluttabile non in contrasto con quanto stabilito dalla
legge delega per effetto delle modificazioni in essa introdotte dall’art.14 della legge 122/2010. Così tranne che per che per un impegno assunto con le Regioni con l’accordo del 16 dicembre
2010, ancora peraltro non attuato, tutto il problema delle modalità di ripristino degli effetti dei tagli ai trasferimenti statali agli enti locali è stato ignorato dai decreti delegati sul federalismo…
Si tratta con ogni evidenza di una violazione della legge delega, essendo le modifiche apportate dall’art.14 suddetto una sua parte integrante, che pregiudica la costituzionalità di tutto l’impianto dei decreti delegati.
Il vero colpo allo stato sociale di Tremonti é questo.
Infatti nei primi due anni, almeno per i Comuni e le Province, non c’è alcun recupero di questi tagli ai trasferimenti. La finanza locale inizia quindi il suo percorso verso il federalismo da un livello notevolmente più basso che sarà difficile recuperare specie nel Sud.
Ciò accade fra l’altro a causa delle modalità di interpretazione del ruolo da assegnare al funzionamento dei fondi di riequilibrio e di quelli perequativi.
Infatti mentre l’art. 21 comma 1 lettera d) della legge delega (42/2009) stabilisce per la gestione dei fondi perequativi che la determinazione dei medesimi, per i Comuni e le Province, si deve realizzare in misura uguale, per ciascun livello di governo, alla differenza fra i trasferimenti statali soppressi e le maggiori entrate spettanti in luogo di tali trasferimenti, il comma 2 dell’art.1 del Dl.gvo 26 novembre 2010, n. 216 (Disposizioni in materia di determinazione dei costi e dei
fabbisogni standard di Comuni, Città metropolitane e Province.) stabilisce che, ai fini del finanziamento integrale, il complesso delle maggiori entrate devolute e dei fondi perequativi non può eccedere l’entità dei trasferimenti soppressi.
E’ bene avere presente che fino a nuova determinazione dei livelli essenziali in virtù della legge statale, sono livelli essenziali quelli già fissati in base alla legislazione vigente.
Anche su questo fondamentale snodo il decreto legislativo non appare conforme alla delega.
Ciò in quanto i fondi perequativi di cui tratta la lettera d) suddetta sono quelli di cui all’art.13 della legge delega e sono determinati come differenza fra i trasferimenti statali soppressi e le maggiori entrate spettanti in luogo di tali trasferimenti (se ne deduce che le maggiori entrate dovevano essere direttamente attribuite ai Comuni e non solo virtualmente come avviene, almeno in larga parte, con il decreto sulla finanza comunale).
Il decreto delegato n. 216/2010 invece, riferendosi evidentemente a quello che nel successivo Decreto sulle entrate comunali viene indicato come fondo sperimentale di riequilibrio, stabilisce che “il complesso delle maggiori entrate devolute e dei fondi perequativi non può eccedere l’entità dei trasferimenti soppressi”.
La relazione tecnica, presentata il 27 gennaio 2010, quando la compartecipazione fiscale dei comuni riguardava il 2% dell’IRPEF (poi sostituita da un’equivalente compartecipazione all’IVA), in attuazione di questo principio assegnava per il 2011 a tale compartecipazione un gettito di 2.889 milioni su un totale di 11.243 milioni costituenti il totale delle entrate devolute o confluite nel fondo di equilibrio. Questi 11.243 milioni rappresentano una somma che equivale esattamente all’ammontare dei trasferimenti fiscalizzati calcolati al netto dei tagli di cui alla legge 122/2010 (DL. n.78).
Si tratta di un’operazione inaccettabile che è destinata a colpire tutto il sistema del welfare e specialmente il SUD e la scuola.
C’è da segnalare inoltre un ulteriore fonte di inadempienze e di gravi preoccupazioni perché oltre al taglio dei trasferimenti per le spese correnti ai Comuni e alle Province si verifica che finora
non è stata trattata la materia della fiscalizzazione dei trasferimenti statali in conto capitale.
In tale ambito si colloca la questione, finora totalmente cancellata, del ruolo dell’edilizia scolastica nel processo del federalismo fiscale.
I trasferimenti statali cessano dal 2012 per le Regioni e le Province Nel 2014 si dovrebbe completare per tali enti la fase sperimentale e passare al finanziamento a regime basato
essenzialmente su compartecipazioni o addizionali, all’IVA o all’IRPEF, che per tali enti ancora in corso di definizione.
Nella seconda, fase dal 2014, ad esempio per i Comuni entrano in vigore le tasse locali (tra le altre l’IMU sul possesso degli immobili che assorbe l’ICI e l’IRPEF su quelli non locati e la
tassa sul trasferimento degli immobili che assorbe anche le tasse di registro, di bollo patrimoniali e di catasto ecc.)
In effetti nella prima, fase fino al 2013, per i Comuni come si è visto, prosegue un regime di trasferimenti mascherati, con la sola aggiunta dell’IVA, da devoluzioni di tasse e tributi
destinati successivamente a confluire nella nuova tassazione comunale della proprietà immobiliare (nell’IMU o nella tassa sui trasferimenti immobiliari).
Per le Province la fase transitoria in cui avviene il taglio dei trasferimenti statali e regionali è garantita dai tributi propri connessi al trasporto su gomma dalla compartecipazione all’accisa
sulla benzina o a quella sulla tassa automobilistica regionale.
A tutti livelli le tasse esistenti in genere permangono o come nel caso dei Comuni aumentano (tassa di scopo. tassa turistica e incremento dell’addizionale sull’IRPEF).
Non siamo più al rispetto automatico della spesa storica ma, in un periodo di tempo decisivo anche elettoralmente per il futuro del Paese, alla politica della questua, con il cappello in mano, da parte degli enti locali presso il potere centrale statale o regionale.
Si ripropone quel modello di Stato autoritario e clientelare che il centro destra in questi due anni e mezzo ha tentato di realizzare in tutti i campi dalle banche alla scuola e all’università dall’editoria
alla cultura e alla giustizia, dalla pubblica amministrazione all’informazione.
Spesso si è usata, per la politica dei tagli lineari e indiscriminati, la congiuntura offerta dalla crisi economica globale. In questa occasione la stessa crisi internazionale ha consentito l’introduzione dei drastici tagli ai trasferimenti e l’operare insidioso e concreto di una concezione governativa
del federalismo che mira a trasformare tali tagli in un ridimensionamento permanente della spesa sociale e a perseguire il suo abbandono a carico delle risorse reperibili localmente o
a carico dei contribuenti o dei fruitori dei servizi. Una politica che strategicamente mira in tutti i campi alla privatizzazione dei medesimi.
ScuolaOggi 13.02.11