Ieri sul sito del Wall Street Journal, il quotidiano della business community ora proprietà di Murdoch, Berlusconi era in prima pagina. Ma non per il piano di rilancio dell’economia italiana, che si è confermato alla fine esaurirsi nell’ipotetica modifica di tre articoli della Costituzione.
No, Berlusconi interessava al Wsj per la notizia del possibile rinvio a giudizio (seguiva anche sondaggio on line, che per quel che vale vedeva un 78 per cento di favorevoli all’incriminazione).
Può darsi che la notizia sia considerata di scarso rilievo: già, che importa agli italiani dell’opinione dei media finanziari esteri? Allora però come valutare la scena alla quale abbiamo assistito ieri mattina, con Tremonti che, chiamato a dare appoggio e sostanza al “piano” appena illustrato dal presidente del consiglio, esordisce dicendo : «Starò poco, devo prendere un treno»?
Va bene, ci siamo capiti. E hanno capito anche gli uomini-chiave dell’economia italiana, che nei giorni scorsi sul Sole 24 Ore avevano ripetuto all’unisono: dell’articolo 41 ci importa poco, speriamo in misure concrete. Hanno avuto la loro risposta.
Bonanni, sceso dal viaggio in treno con Tremonti, ha espresso delusione. Emma Marcegaglia, sempre più in vista, ha ribadito le critiche della vigilia Alla fine, l’operazione orchestrata da Giuliano Ferrara (che nel frattempo, intuita la malaparata, ha preferito lanciarsi a caccia di azionisti) si risolve in un boomerang politico: torna sotto i riflettori la nota ostilità fra Berlusconi e Tremonti, la posizione del premier ne esce ulteriormente indebolita, il suo isolamento appare evidente.
Voler intentare causa allo Stato non è da presidente del consiglio, pare lo sfogo di chi si prepara all’esilio. Sono segnali di debolezza sul fronte processuale. Comparando l’incontro con la stampa di Berlusconi con quello, contemporaneo, di Bruti Liberati, era perfino inquietante il senso di maggior forza che emanava da quest’ultimo.
L’unica via per uscire dal pantano sono le elezioni. Può darsi che cominci ad arrendersi all’idea (non fantastica ma l’unica rimasta in assenza di uno scatto nel centrodestra) anche il capo dello stato. Che, in questo clima, con Berlusconi non vuole neanche parlare.
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La frustata è un bluff, resta solo la guerra con i giudici
Plateale il distacco di Tremonti, nessuno crede alla svolta in economia L’operazione-frustata non è riuscita. È bastata la conferenza stampa post-consiglio dei ministri a palazzo Chigi, con Silvio Berlusconi affiancato da sette-ministri- sette schierati a favore di telecamera, per far capire che l’annunciata scossa al cavallo dell’economia italiana non ci sarà. E ciò che più colpisce è il plateale distacco e scetticismo di Giulio Tremonti che, prima di assentarsi, ha ricordato che «l’agenda della crescita italiana si decide in Europa con l’Europa», non in una riunione che ha cercato in tutta fretta di mettere insieme un po’ di incentivi e lo sblocco di qualche fondo Fas, rimettendo ancora una volta nel cassetto le liberalizzazioni solo annunciate, e annunciando un cambiamento dell’articolo 41 della Costituzione.
Il tentativo di coprire la bufera sul Rubygate, dunque, è fallito. Tanto più clamoroso nel giorno in cui la procura di Milano ha chiesto il rinvio a giudizio immediato per il premier e rivelato di avere prove schiaccianti della sua colpevolezza. Intanto il Cavaliere ha annunciato il voto di fiducia sul federalismo alla camera, dopo lo stop in bicameralina.
da Europa Quotidiano 10.02.11
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“L’economia sacrificata agli slogan”, di Michele Dau
La scossa per rinvigorire la gracile crescita dell’economia è stata annunciata. Sarà bene chiarire subito che per il tempo breve non ci saranno effetti concreti, anche per il mancato stanziamento di risorse aggiuntive.
Il torrente di nuove norme legislative (altroché semplificazione) sarà concretamente operativo non prima di due anni, posto che il parlamento approvi tutto. Un diffuso scetticismo è stato già manifestato in questi giorni da moltissimi imprenditori ed esperti economici.
Dunque cosa si devono aspettare, fra 2-3 anni, le imprese, i lavoratori, quanti cercano un lavoro, le famiglie i cui redditi scivolano verso il basso ? Il piatto forte sono le modifiche alla nostra Costituzione: l’attività economica sarà libera, la pubblica amministrazione diverrà efficiente, trasparente e meritocratica, i cittadini saranno più garantiti nella loro autonoma iniziativa di svolgere attività di interesse generale.
È davvero difficile non trovarsi d’accordo con questi principi. Ma è altrettanto difficile sottrarsi alla sensazione di essere tutti vittime di un ennesimo tentativo di propaganda.
Se nel nostro paese l’attività economica non fosse stata libera, con piena garanzia e riconoscimento della Costituzione, come sarebbe stata possibile la nascita e la crescita di 3-4 milioni di piccole e medie imprese ? Come sarebbe stata possibile quella straordinaria rivoluzione della piccola proprietà contadina che ha portato alla formazione di centinaia di migliaia di imprese agricole? Come sarebbe avvenuto che oltre l’80% delle famiglie italiane sono divenute proprietarie della prima casa? E che quelle stesse famiglie hanno potuto largamente prosperare e risparmiare, trovandosi oggi fra le meno indebitate del mondo? E poi, ancora, come potrebbe essere che in Italia operano oltre 5 milioni volontari con gruppi e associazioni che svolgono una eccezionale e silenziosa azione di sussidiarietà orizzontale in piena sintonia con i poteri pubblici ? Insomma, di che stiamo parlando ? Non si può governare un paese come l’Italia senza averne una profonda coscienza e conoscenza storica, sociale e politica.
Il governo populista-leghista, dopo aver fallito con la riforma costituzionale nel 2005, respinta con grande partecipazione nel referendum del giugno 2006, riprova oggi a lasciare la sua impronta in altre parti della nostra Costituzione: l’articolo 41 sulla libertà economica, l’articolo 97 sulla pubblica amministrazione, l’articolo 118 sull’impegno sussidiario dei cittadini.
Circa l’esistenza in Italia delle libertà economiche si è detto. Sulla pubblica amministrazione la confusione sembra completa. Il nuovo articolo 97 dovrebbe prevedere che «le pubbliche funzioni sono al servizio del bene comune». Ma l’essenza di questo principio è già contenuta nel vigente articolo 98 che recita «i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione», con ciò valorizzando la responsabilità e la mission dei pubblici funzionari che sono poi gli attori principali delle pubbliche funzioni.
Ma allora, esattamente, di che stiamo parlando? Non certo dei problemi della nostra economia. Dopo 3 anni, non si è fatto quasi nulla per irrobustire l’ambiente economico esterno alle imprese (energia, infrastrutture per la mobilità, banda larga per le comunicazioni); all’interno delle imprese è stata erogata una politica passiva del lavoro che i riformisti hanno sempre definito assistenzialistica, e i pensionati e le famiglie più deboli sono state messi in fila con la social card in mano.
Le liberalizzazioni stentano ad emergere, quando non sono addirittura sopraffatte dalle pressioni microcorporative alle quali il governo soggiace avendo anche perduto la propria maggioranza politica.
L’attuazione delle idee liberaldemocratiche alla base della nostra Costituzione repubblicana ha certo bisogno di miglioramenti, per potenziare il nostro sviluppo (specie nel Mezzogiorno), per creare nuovo lavoro qualificato per i giovani e le donne. Ci vorrebbe però grande serietà, capacità di ascolto e di confronto, equilibrio e senso del bene comune nel prendere anche strade invise a qualcuno.
In realtà si deve constatare che le proposte messe sul campo non sembrano altro che proclami e slogan.
Forse per la prossima campagna elettorale.
da Europa Quotidiano 10.02.11