«Faccio ancora una volta un appello al Pd e ai suoi dirigenti: occupiamoci dell’Italia, siamo al paradosso di una destra che attacca il Pd e del Pd che attacca se stesso, per di più nel momento più drammatico, dal punto di vista sociale, della nostra storia più recente». Lo dice Walter Veltroni in un’intervista che comparirà domenica su l’Unità. «A volte mi sento Penelope», ammette il segretario. Nessuno, dice, abboccherà agli ami lanciati da Cesa e Casini: «Le persone a cui ineducatamente l’Udc si è rivolta sono tra i fondatori del Pd».
Veltroni vede «un governo inerte, che da tre mesi non produce più nulla». Fermo sull’economia, senza ruolo e senza iniziativa sulla crisi mediorientale. «Si sono mossi tutti i premier, Berlusconi si occupa delle elezioni in Sardegna. È in perenne campagna elettorale, all’Italia serve un premier non un candidato premier». A Fini che sulla giustizia ha fatto proposte alternative a quelle del governo, Veltroni dice: «È la strada giusta, noi siamo pronti».
Segretario, è cominciato l’anno ma il vecchio virus non sembra debellato. Anzi, ormai si parla di scissione, di ritorno alle proprie case d’origine. Questo rischio c’è?
«No, non c’è. C’è chi non nasconde questo desiderio, i nostri avversari. È il Pd l’ossessione per chi vuole che questo paese non cambi mai e invece è proprio lì che bisogna investire tutte le nostre energie, perchè mai l’Italia ha conosciuto un partito riformista di queste dimensioni. Dopo l’estate avevamo ripreso lo slancio, quella del 25 ottobre era stata la più grande manifestazione di partito della storia italiana, poi sono riaffiorati vecchie contraddizioni, i personalismi, insomma la situazione che sembra fatta apposta per alimentare la cattiveria dei media, che trovano molto più indolore attaccare noi piuttosto che vigilare sul governo. Ma resto convinto che senza il Partito democratico il riformismo in Italia non vincerà mai. Tutto quello che succede conferma la nostra scelta di investire nella vocazione maggioritaria. C’è ancora una grande spinta nella società per il Pd che abbiamo conosciuto alle primarie e alla manifestazione del 25 ottobre. Però questa spinta richiede a tutto il gruppo dirigente la capacità di tenere in armonia il pluralismo delle idee col senso di responsabilità. L’alternativa è tornare dove si stava prima, rifare due partiti del 16 e del 9%, metter su una coalizione che se per caso vince non riesce a governare. Se c’è questa tentazione, la considero un omicidio nei confronti della speranza riformista. La sfida è cambiare l’Italia. Perché non dobbiamo pensare che in Italia possa esserci, come in altri paesi, una maggioranza riformista e non solo una maggioranza antiberlusconiana? Sviluppiamo il Pd, poi verranno anche le alleanze. In questo anno di lavoro la cosa di cui sono più orgoglioso è aver cambiato l’approccio programmatico del Pd, abbiamo mandato in soffitta vecchie idee su lavoro, scuola, ambiente, pubblica amministrazione, giustizia, abbiamo rifatto l’alfabeto programmatico del centrosinistra, innovando e trovando una sintesi tra le diverse culture. Ma ci ricordiamo cos’erano i vecchi partiti? Erano inadeguati».
Eppure il segretario dell’Udc Cesa lancia ami agli ex della Margherita. E anche Casini, a quanto dicono i giornali. Secondo lei qualcuno abbocca?
«Trovo assolutamente ineducata la posizione del segretario dell’Udc, un partito che ha sempre avuto da noi rispetto e che altrettanto ne deve a noi. L’Udc sta decidendo di candidarsi in diverse parti d’Italia con la destra e altrove col centrosinistra, è una scelta legittima, che come Casini sa, ho sempre compreso. La sola idea che fondatori del Pd possano essere chiamati in causa per progetti diversi è, come loro stessi hanno detto, una stupidagine. Sono cose buone per il circuito mediatico».
Non le viene mai la tentazione mandare tutti al diavolo?
«Non ho il diritto di farlo. Anzi, ho più entusiasmo e determinazione che mai. Ho il dovere di corrispondere a un mandato, non solo a quello delle primarie, ma a quello dei 12 milioni che hanno votato per il Pd e per me alle elezioni. La sensazione, questa sì fastidiosa, è di fare il lavoro di Penelope. Ti occupi di economia, Alitalia, giustizia e il giorno dopo scopri che i giornali hanno solo cercato chi può dire una cosa contro il Pd o il segretario».
Lei ha fatto un appello all’unità in vista delle elezioni. Ma a volte sembra che qualcuno speri in un pessimo risultato per logorare la leadership.
«Ho fatto un appello all’unità, perchè lo vuole il buon senso, lo vorrebbe lo spirito con cui si è conclusa la direzione, ma soprattutto lo chiede il paese. Il mio invito è questo: immergere il partito nella crisi sociale che stiamo vivendo, portarlo fuori da questa interiorizzazione continua che che è una delle malattie profonde del centrosinistra. Un grande partito vive nel rapporto col paese reale, per questo chiedo ora e per i prossimi mesi a tutti i dirigenti locali e nazionali di usare le loro energie per contrastre gli altri e non per alimentare ogni giorno il disegno di chi punta a liquidare il Pd. La società italiana, il mondo occidentale, stanno male come mai da molti anni a questa parte: è il prodotto delle politiche della destra, che ne deve pagare il conto. Tutti i dati sono allarmanti e dicono che questa crisi seria e profonda significherà chiusura di fabbriche, laboratori, negozi. Impressiona invece la totale assenza di iniziativa del governo. Questo fa rabbia: ci sono tutte le condizioni per scatenare una grande iniziativa, e invece… ».
Si parla delle beghe interne del Pd.
«L’altro giorno abbiamo fatto una conferenza stampa sulla vicenda Alitalia, sui giornali zero. C’erano articoli, ma solo sulle diatribe interne. Mi fa rabbia perchè il governo è già in crisi. Iniziano ad accorgersene persino i commentatori. Guardiamo cosa accade su Malpensa, giustizia, federalismo. Da 3 mesi il governo non produce più nulla. Si è esaurita la fase dei fuochi d’artificio, vanno avanti coi decreti, nonostante i numeri di cui dispongono. È il segno di una difficoltà, e il paese sta cominciando a sentire che è stato preso in giro. Tra l’altro è un governo inerte anche di fronte a una crisi drammatica come quella mediorientale. Nessun peso, nessuna iniziativa, nessun ruolo. Hanno parlato e preso iniziative Sarkozy, Gordon Brown, Zapatero. Non si è avuta notizia di Berlusconi. Lui sembra preoccupato delle elezioni in Sardegna, non della pace in Medio oriente. È in campagna elettorale permanente, il paese avrebbe bisogno di un premier non di un candidato premier».
È sicuro che l’opinione pubblica percepisca le difficoltà del governo?
«La riduzione delle tasse non c’è stata. Il caso Alitalia-Malpensa appare nella sua cruda verità: una svendita in nome dell’italianità, una delle vicende più scandalose della storia del nostro paese. La sicurezza: per quanto si cerchi di far sparire questi temi dai giornali e per quanto Bruno Vespa non organizzi più trasmissioni sul tema, i fatti avvengono, specie nelle città oggi governate dalla destra. I reati sono aumentati. Immigrazione, i flussi sono aumentati. Sulla crisi Berlusconi è fermo, sventola le collane che acquista, ma questo è ottimismo da carosello».
Voi avevate fatto delle proposte. Che fine hanno fatto?
«Ci siamo comportati come fa una grande forza nazionale di fronte ad una crisi che sta impoverendo il paese: abbiamo detto e ribadiamo che ci vogliono interventi per i pensionati, per la piccola e media impresa e per garantire quegli operai che perdono il lavoro, magari a 50 anni. Tutto il partito si deve dedicare alla costruzione di un movimento che aiuti i giovani precari italiani a organizzarsi contro quel rischio di licenziamento che si è sostituito alla speranza di stabilizzazione del lavoro. Alla direzione abbiamo avanzato una proposta sul welfare per garantire che un precario che perde il lavoro non resti a zero euro».
Invece?
«Non se ne è fatto nulla. Ci vuole un altro passo. Serve un piano strategico sulle aree più provate, interventi su precari, pensionati, salari, piccola e media impresa. Un piano di infrastrutture: non è possibile che il nord si blocchi se nevica. Guardiamo cosa ha fatto Obama: mille euro di sconto fiscale per ogni famiglia americana. Quella è la strada giusta, non è demagogia».
Secondo lei perchè un governo e un premier che si professano decisionisti fanno poco di fronte alla crisi?
«Hanno sbagliato le previsioni e la manovra finanziaria, basta pensare al grottesco degli incentivi sugli straordinari. E poi la loro non è la cultura dell’equità sociale, sono e restano liberisti, nonostante abbiano rispolverato Keynes. Dentro la loro cultura c’è spazio solo per chi ha»
Politicamente Berlusconi resta forte.
«Il governo pattina. Il premier vive tra gli ultimatum di Lega e An. Aveva annunciato due nuovi ministri e ha dovuto rinunciare, non sono in grado nemmeno di far dimettere il senatore Villari dopo aver preso un impegno con l’opposizione su un nome condiviso».
Fini ha fatto delle proposte sulla giustizia: riforma condivisa, no alla seprazione delle carriere. Che direte?
«Il presidente Napolitano ha più volte rivolto un appello affinché si cooperi per affrontare in Parlamento le grandi questioni del Paese. Io sono in sintonia con quell’appello, lo ero in campagna elettorale lo sono restato dopo. Il presidente Fini ha avanzato proposte sulla giustizia molto diverse dalle urla confuse del governo. Alcune di queste coincidono con le nostre, ispirate al principio di una giustizia che funzioni per cittadini e imprese, fondata su indipendenza della magistratura e garanzia dei diritti. Su questa base si potrà lavorare e confermo la nostra disponibilità a farlo. Come pure sul pacchetto di proposte di riforme istituzionali elaborate la scorsa legislatura: riduzione del numero dei parlamentari, una Camera legislativa, Senato delle Regioni. Si può approvare un pacchetto innovativo, che per altro considero indissolubilmente legato alla discussione sul federalismo alla quale abbiamo responsabilmente contribuito».
L’Unità 11.01.09