Il Carroccio è sempre più nervoso e ipotizza le urne nella tarda primavera. Elezioni anticipate a giugno 2011, dopo l’approvazione dell’intero pacchetto dei decreti attuativi del federalismo. Se è questo il vero l’oscuro oggetto del sotterraneo confronto-scontro in atto al vertice della Lega, Silvio Berlusconi ha tutti i motivi per essere più che allarmato.
Anzitutto perché il Cavaliere alle elezioni non vuole andarci con la quasi certezza di perdere il senato per colpa del Terzo polo, men che meno poi nel mese estivo di giugno che Berlusconi considera sfavorevole alla mobilitazione del suo elettorato. Perciò Berlusconi sta facendo di tutto per cercare di tenere a galla il suo governo con altri arrivi dall’Mpa (si vocifera di Latteri e Misiti) per portare da 5 a 7 i voti di vantaggio della maggioranza sull’opposizione a Montecitorio. Nessuno si illude di andare lontano: «Se tutto va bene, riusciremo a tenere fino alla fine del 2011, ma oltre non sarà facile…», ammette uno dei “motori” del neo-gruppo dei “responsabili”, la cosiddetta “terza gamba” della maggioranza Pdl-Lega.
Se questo è il piano di Berlusconi, deciso a resistere a dispetto dell’inchiesta che lo vede accusato di prostituzione minorile e concussione, e a non compiere alcun passo indietro a favore di Letta, Tremonti (figurarsi a favore del leghista Maroni), la Lega sta cominciando a maturarne uno suo: assai differente.
Sono dovute trascorrere più ventiquattr’ore dall’ennesima riunione blindata dello stato maggiore del Carroccio a via Bellerio e dal corpo a corpo Maroni- Calderoli sul che fare – staccare o no la spina al governo – se il decreto sul fisco municipale non passerà la ghigliottina della bicamerale, prima che i reali contenuti del confronto nel Carroccio cominciassero a venire a galla.
Ma anche dalle parti della Lega, così come avviene nel Pdl del declino berlusconiano, le cose cambiano e la tenuta stagna che ha reso celebre l’ultimo partito leninista italiano fa acqua.
Così viene fuori che da quando al Carroccio s’è capito che il terzo dei decreti federalisti non passerà e che il clima politico anche sul piano dei rapporti “diplomatici” col Pd sta degenerando per l’insostenibilità della situazione una parte del vertice, facendo leva sul crescente malcontento della base, ha cominciato un pressing su Bossi perché sblocchi l’impasse dei rapporti paralizzanti con Berlusconi.
L’idea di un passaggio di mano a un governo Tremonti o addirittura a Maroni (la Lega ha posto un veto su Letta), Bossi non ha neppure provato a suggerirla al premier: «É inutile, tanto non lo fa…», ha detto ai suoi. Perciò Maroni (uno dei motori del cambio di fase nonché il nome più forte se si arrivasse a una candidatura leghista) sta cercando a modo suo di smuovere le acque: lanciando messaggi in codice sul voto anticipato e su intese con un Pdl senza più Berlusconi candidato premier.
Che ciò abbia scatenato l’ira dell’avversario di sempre Calderoli (dal caso Credieuronord in poi) non stupisce: posizionamenti personali sullo sfondo dei veri termini del dibattito in corso nella Lega. Quali? Anzitutto, con o senza il via libera delle opposizioni, far emanare al governo il decreto sul fisco municipale e tirare dritti sugli altri 5 (fisco regionale e costi standard sanitari, Roma capitale, perequazione, armonizzazioni, premi e sanzioni) da approvare entro il 21 maggio.
«Possiamo farcela entro aprile», è il tam-tam leghista.
Poi, incassato il federalismo, la via delle urne è spianata. Basterà un pretesto qualsiasi, per staccare la spina a Berlusconi. Il quale ha mangiato la foglia ma non ha appigli per chieder conto a Bossi di un’opzione di cui formalmente non c’è traccia. Perciò il Cavaliere è in un altro bel guaio.
Se vuol proteggersi dall’insidia leghista non potrà che cercare di rallentare il più possibile il varo dei decreti. Ma il partito proelezioni, nella Lega, si fa sempre più forte. E se Berlusconi tirerà troppo la corda neppure Bossi, già oggi in gran difficoltà, riuscirà a impedire che si spezzi.
da Europa Quotidiano 02.02.11
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“Dal loro federalismo più tasse per tutti”, di Raffaella Cascioli
La maggioranza è in grande affanno, il decreto firmato da Calderoli non ha i numeri in commissione.
A dispetto di un presidente del consiglio che, nel tentativo di coprire mediaticamente il proprio comportamento, propaganda meno tasse per tutti, il federalismo che il governo Berlusconi si propone di attuare imporrà inevitabilmente un ulteriore aumento della pressione fiscale.
Il decreto attuativo sulla fiscalità municipale che da oggi la bicameralina inizierà a votare, e per il quale domani è previsto il voto finale, comporterà un aggravio d’imposta per cittadini e imprese e, inoltre, presenta importanti carenze sul fronte delle coperture. Ne è convinto il Pd che con il vicesegretario Enrico Letta ha sostenuto come il nuovo testo Calderoli non comporti solo un aumento delle tasse per tutti i cittadini ma preveda «per artigiani e commercianti quella imposta patrimoniale che il presidente del consiglio, per pura propaganda, vorrebbe attribuire alla volontà dell’opposizione democratica». Lo sostiene anche il Terzo polo che con l’Udc, Gianluca Galletti, definisce la tassa di scopo una «patrimoniale mascherata».
Ieri il ministro Calderoli non è riuscito a convincere le opposizioni circa la bontà della terza versione del decreto sul federalismo municipale che, stando così le cose, non dovrebbe ricevere il parere della bicameralina. Infatti, a favore del decreto si esprimeranno 15 parlamentari della maggioranza, compreso il presidente della commissione La Loggia, mentre i 15 parlamentari dell’opposizione esprimeranno parere contrario. La parità nei voti comporterà di fatto una bocciatura del testo che dovrebbe ricevere anche il parere delle commissioni bilancio di camera e senato. Al riguardo mentre ieri la commissione finanze del senato ha già espresso parere favorevole, il voto è tutt’altro che certo nella commissione bilancio della camera dove, con il voto del presidente leghista Giorgetti, ci potrebbe essere anche qui una situazione di parità.
Nel qual caso non vi sarebbe il parere della Bilancio della camera sulle coperture. «Tuttavia – spiega il capogruppo del Pd in commissione Pierpaolo Baretta – potremmo non essere chiamati al voto qualora la bicamerale non riesca ad esprimere un parere». Infatti, a quel punto non si capirebbe su quale testo la bilancio sarebbe chiamata ad esprimersi. D’altra parte dubbi sulle coperture sono stati sollevati per il Pd in commissione da Marco Causi, che fra l’altro è il vicepresidente della bicameralina.
«Abbiamo chiesto un’audizione urgente del ragioniere generale dello stato – spiega – perché chiarisca numerosi punti oscuri contenuti nella relazione tecnica che accompagna il decreto sul fisco comunale, giunto ormai alla terza stesura».
Numeri alla mano Causi ha spiegato come l’aliquota di equilibrio dell’Imu a regime, stabilita dal governo al 7,6 per mille, non potrà essere tale ma molto più alta intorno all’8,5 per mille. E che i numeri contenuti nella relazione tecnica, che ha ottenuto la bollinatura della Ragioneria, non siano aderenti alla realtà lo ha confermato anche il documento di quantificazione del servizio bilancio della camera che ha avanzato dubbi circa la sovrastima del 18% dell’emersione di gettito derivante dall’applicazione della cedolare secca sugli affitti: il che farebbe pensare che la cedolare secca non sia coperta del tutto. E se Causi sostiene che due anni fa l’impegno di tutti era quello di non fare riforme a colpi di maggioranza, correttezza vorrebbe che, in caso di un mancato parere da parte della bicameralina, il governo verificasse in parlamento se la maggioranza dà mandato ad andare avanti. La Lega però premerebbe per un secondo definitivo passaggio in consiglio dei ministri. E se per Francesco Boccia nonostante gli sforzi compiuti da Calderoli non si sono sciolti i nodi sull’aumento della pressione fiscale, le pmi con Rete Impresa Italia sospettano che il federalismo diventi l’occasione per mettere le mani nelle tasche degli italiani.
da Europa Quotidiano 02.02.11