Ballestra: va reclamata la parità. Bossi Fedrigotti: bisogna educare i figli maschi. C’è una vignetta di Pat Carra, due amiche, una di fronte all’altra. La prima dice: «Da grande farò la escort». L’altra risponde: «A me la politica non interessa». La battuta è divertente ed è un concentrato di cose: c’è la cronaca di questi giorni, l’ironia sotto la quale nascondere l’amarezza, c’è il mettersi una di fronte all’altra e da lì partire per provare a ragionarci su quello che sta accadendo. Su chi siamo noi donne italiane, cosa vogliamo, domanda per nulla scontata perché oggi sembra complicato persino comprendere chi si desidera essere e diventare.
Come nella vignetta di Pat Carra, abbiamo messo due donne una di fronte all’altra, diverse per generazione, per esperienze, per sentire. Abbiamo fatto ad entrambe le stesse domande consapevoli che non c’è, è ovvio, un solo tipo di donna, ma che la femminilità si declina in mille modi diversi. Silvia Ballestra, 41 anni. Isabella Bossi Fedrigotti, venti di più. Entrambe scrittrici.
«Molte fra noi si chiedono: ma allora siamo davvero tornate al via? Tutte le parole dette, i discorsi fatti sono state soltanto inutile retorica, aria fritta?», chiede Isabella Bossi Fedrigotti. «Se c’è la sensazione di un ritorno al passato è perché la società pare bloccata. Uscire di casa, fare figli, costruire una famiglia e quindi un rapporto maturo e paritario è quasi un’impresa. Questo comporta frustrazione, superficialità», risponde Silvia Ballestra. «Di femminismo forse è meglio non parlare. Quando qualcuno vuole insultare una donna oggi le dà della “femminista”! Alle donne non resta che l’azione, la faticosa e silenziosa azione. Studiare, prepararsi, coltivarsi, lavorare con gli uomini e anche più degli uomini: strada che, tra l’altro, le ragazze, molte ragazze, altre ragazze, hanno già imboccato da un po’», riprende la prima. «Il maschilismo da sala da biliardo e la volgarità televisiva, pubblicitaria che vediamo oggi sono un modello al tramonto. Prendetevelo, ragazze, il vostro futuro; lottate, reclamate, battagliate. Insomma, fate prendere un po’ di paura a chi vi discrimina. In passato ha funzionato producendo una grande rivoluzione, perché non dovrebbe funzionare ancora?», contrattacca la seconda.
Chi siamo? Io, tu, le nostre figlie, le cugine, le sorelle, le amiche, le donne che ci stanno accanto.
Ballestra: «Siamo poco più del cinquanta per cento della popolazione italiana, in maggioranza tra i laureati, con una media migliore dei voti, con maggiori tassi di produttività. Ma in questo momento di crisi perdiamo il lavoro per prime, vediamo sparire il tempo pieno dei figli alle elementari, facciamo da ammortizzatore sociale alla famiglia».
Bossi Fedrigotti: «Vedo le mie amiche, le mie colleghe, mia sorella, le mie cognate – tanto per stare nella mia fascia d’età – parlo con loro e mi pare che ragionino tutte più o meno come me. Chi sono le donne del mio catalogo? Donne che in maggioranza ancora lavorano, che leggono, vanno al cinema, viaggiano se e quando possono, hanno mariti, figli e qualche volta nipoti, sono molto meno vecchie delle loro madri alla stessa loro età, nell’aspetto, sì, ma ancora di più, mi pare, nella testa».
Consapevoli di ciò che sta accadendo in questi giorni, del perimetro in cui l’attualità ci ha confinato: quanto ci sta stretta l’immagine della donna che ne esce?
Ballestra: «Se il riferimento è agli scandali sessuali, all’immaginario “malato” (parole della moglie) del premier, alle ragazze che lo compiacciono per soldi e favori, il perimetro è stretto, strettissimo. Eppure questo disagio che ci strangola era prevedibile: era latente e a volte pienamente conclamato da anni nel modello culturale dominante, che usa donne nude per vendere macchine e gelati. Il “bunga bunga” italiano dura da anni».
Bossi Fedrigotti: «Siamo consapevoli eccome, a prescindere dalle idee politiche, direi. Perché in questo “catalogo” ci sono donne, ovviamente, di una parte e dell’altra, anche se, quando le discussioni in proposito rischiano di infuocarsi, tendo a lasciar perdere – e non soltanto io -; in primo luogo perché nessuno convince nessuno, e poi perché l’amicizia come anche la parentela e i buoni rapporti passano prima. Cionondimeno molte tra noi si chiedono: ma allora siamo davvero tornate al via?».
A uscirne a pezzi non è la sola figura femminile, ma anche il rapporto uomo-donna: chi quel rapporto ha provato a cambiarlo (le donne della generazione di Isabella Bossi Fedrigotti) come vive quello che appare un ritorno al passato? E chi quel rapporto lo ha già trovato cambiato (la generazione di Silvia Ballestra) ha sbagliato a darlo per scontato?
Ballestra: «Il rapporto uomo-donna è in effetti cambiato: gli uomini di oggi di fronte alla paternità sono, per esempio, più consapevoli. Se c’è la sensazione di un ritorno al passato è perché la società pare bloccata. Se poi ogni giorno ci vengono mostrate caricature di uomini e caricature di donne…».
Bossi Fedrigotti: «Degli uomini, dei nostri uomini, di quelli che hanno vissuto con noi, che hanno parlato con noi, che ci sono stati vicini, che ci hanno amate e in molti casi ancora ci amano, dei nostri amici, dei nostri fratelli e colleghi, ci sentiamo oggi un po’ meno sicure. Anche se c’intendevamo perfettamente, se condividevamo passioni e ragionamenti, se pensavamo di conoscerli come le nostre tasche, si è fatto strada tra noi il timore di scoprire, magari sentendoli per caso parlare tra amici, che in fin dei conti anche per loro le donne valgono un tanto al chilo. E che intelligenza, cultura, studio, impegno professionale contano assai poco al confronto della “fortuna sulla quale sono sedute”».
La questione è la libertà: come tenerla e usarla (meglio)?
Ballestra: «La libertà non è un concetto astratto. È lavoro, autonomia, e quindi libertà culturale, il che migliora i rapporti umani, anche quelli affettivi. Non credo che si possa separare la questione economica da quella della libertà, e intendo anche servizi, welfare, asili, strutture per gli anziani. Il modo migliore di usare la libertà è difenderla sempre. Per questo lo spettacolo indecoroso sul corpo della donna che vediamo in Italia ci offende: limita la nostra libertà».
Bossi Fedrigotti: «Di libertà, sessuale e non, dei suoi limiti e delle sue potenzialità sarebbe comunque bello che parlassero anche i padri. Ma servono padri che amino profondamente le loro figlie e non vedano in loro “merce” da mettere a frutto sul mercato migliore, così come un tempo si tentava di piazzarle con il partito più ricco o più potente».
Tutto sembra avere il fiato corto. Come «allungare il fiato» e dare alle giovani donne di oggi una prospettiva più larga all’interno della quale crescere?
Ballestra: «Credo che la cosa più sensata sulle prospettive delle donne di domani sia dire alle ragazze: prendetevele, lottate per allargarle, reclamate, battagliate».
Bossi Fedrigotti: «Ah, saperlo! Come se noi non lo avessimo, il fiato corto, tra lavoro e impegni familiari, tra anziani genitori da accudire da una parte e figli o anche nipoti dall’altra. Per lo meno le ragazze dovrebbero trovare i loro ragazzi già educati a condividere le corvée casalinghe, ad accudire il bebè, a parlare con il pediatra e con gli insegnanti dei figli. E se poi sono fortunatissime, hanno noi, mamme disponibili e instancabili».
Il Corriere della sera 01.02.11