attualità, politica italiana

"Parola di Gran Bugiardo", di Giuseppe D'Avanzo

Al Gran Bugiardo, che ieri ha afflitto il Paese con un terzo videomessaggio, si deve ricordare che la verità è una condizione necessaria in una democrazia. Nutre la fiducia del cittadino nello Stato e ha un presupposto nella convinzione che lo Stato – e chi momentaneamente lo rappresenta – non ingannerà il cittadino. La verità è anche il presupposto indispensabile per il cittadino di esercitare la sua libertà perché se falsifichi la realtà, manipoli gli eventi, allevi imbrogli e confusione, alteri il bianco nel nero, pregiudichi il possibile esercizio della libertà.È un forte argomento anti-tiranny – ricorda Michele Taruffo (La semplice verità) – che le azioni illegittime compiute da chi esercita il potere debbano poter essere rivelate e afferrate, ma «ciò implica che informazioni veritiere siano disponibili per le potenziali vittime del tiranno». Solo in questo modo, il cittadino potrà controllare le modalità con cui il potere viene esercitato. Con il tempo abbiamo compreso che la politica di Silvio Berlusconi è soprattutto arma psicologica e l´unico antidoto all´illusionismo del Gran Bugiardo è un´adeguata sintassi. Consente quanto meno di distinguere i discorsi verificabili dal nonsense. Permette di proteggersi dai media che ci addestrano a non pensare. Le parole, i falsi argomenti, i finti discorsi, le finte idee, i gerghi sgrammaticati dell´uomo che ci governa vanno mostrati nella loro inattendibilità per ripristinare quella verità che è premessa della nostra libertà.
Se si lasciano in un canto le favole sui successi di un governo, al contrario, paralizzato dagli interessi personali del premier, si contano altre quattro bugie in questo nuovo videomessaggio.
1. Berlusconi dice: «È stato violato
il mio domicilio».
È falso. Nessuna residenza del capo del governo è stata oltraggiata. Vediamo come stanno le cose. Si indaga per prostituzione perché in un giorno di luglio Ruby, una minorenne protetta da Lele Mora e “scoperta” sedicenne da Emilio Fede a Messina, è stata condotta nella villa del presidente del Consiglio. Dove, dice, ha assistito a spettacoli e «scene hard» – anche se non vi ha partecipato, giura – alla presenza del «presidente» che tutte le ospiti (venticinque) chiamano «papi». Lo sfruttamento della prostituzione minorile è un reato gravissimo. A Milano si mettono al lavoro. Prioritario accertare l´attendibilità della testimone e parte lesa: è stata davvero ad Arcore, come dice. C´è stata con Mora, Fede, Nicole Minetti? È vero che, in quelle occasioni, c´erano A. B. C.? C´è un metodo per venirne a capo. Si verifica a quale “cella” fosse connesso, in quel giorno, il telefono cellulare dei protagonisti. Si scopre che Ruby ha detto il vero. Il 14 febbraio 2010 era ad Arcore e c´erano anche A. B. C. e Fede. Quest´operazione viola il domicilio del capo del governo? No. Accerta la validità delle dichiarazioni di Ruby e non c´è altro modo per farlo. Quando salta fuori che tra molte inesattezze la minorenne ha raccontato anche il vero, sono stati chiesti i tabulati delle sue telefonate dal gennaio 2010 e delle ragazze – alcune prostitute – che l´hanno accompagnata e periodicamente vengono condotte da Mora, Fede e Minetti nella dimora del Sultano. Berlusconi dovrebbe avvertire l´imbarazzo di aver ospitato e pagato minorenni e prostitute per allietare le sue serate (è documentato e ci sono le prove di quei pagamenti). Dovrebbe provare vergogna per avere indecorosamente condotto la sua responsabilità pubblica condividendo addirittura una donna (Marysthell Polanco) con un narcotrafficante dominicano.
2. Berlusconi dice: «Non è un Paese libero quello in cui quando si alza il telefono non si è sicuri della inviolabilità delle proprie conversazioni. Non è un Paese libero quello in cui il cittadino può trovare sui giornali delle proprie conversazioni che fanno parte del proprio privato e che non hanno nessun
contenuto penalmente rilevante».
Berlusconi inocula fobie nel proprio esclusivo interesse. L´indagine che lo vede indagato per concussione e sfruttamento della prostituzione minorile non fa leva, come strepitano gli sgherri libellisti del suo serraglio, sulle intercettazioni telefoniche. È un´inchiesta condotta con testimonianze dirette e documenti. La concussione è dimostrata per tabulas senza alcun documento acustico. I funzionari della questura ammettono di aver ricevuto la sua telefonata. Confermano che il premier ha parlato di Ruby come della «nipote di Hosni Mubarak». I materiali del pubblico ministero dei minori e le relazioni di servizio dei poliziotti confermano le procedure abusive che hanno portato all´affidamento di Ruby a Nicole Minetti che subito abbandona la minorenne a una putain brasiliana, amica del presidente. Dove sono qui le intercettazioni? È il reato più grave e non se ne vede l´ombra. Berlusconi mente. Qualche numero delle intercettazioni di quest´inchiesta, allora. Dal 29 luglio a questo gennaio e non per tutto il periodo, ma quando le indagini lo rendono necessario, quindi anche a volta due soli giorni, sono state intercettate cinquanta persone per una spesa di quasi 27mila euro. Con il bestiario che circonda il presidente (si valuta che nelle ville e palazzi dell´uomo che ci governa circolino in un anno dalle 300 alle 500 falene) non sono grandi numeri. Le intercettazioni sono servite a dimostrare quale fosse il mestiere delle signore. Si indaga per prostituzione e alcune sono effettivamente delle prostitute che il premier ha retribuito e gli amici del presidente sono coloro che inducono alla prostituzione. È falso che siano state diffuse conversazioni private di nessun interesse giudiziario o pubblico. È di assoluto interesse pubblico (la verità è presupposto essenziale della democrazia e della libertà del cittadino) sapere che una decina di ragazze ricattano il premier o pretendono dal premier incarichi e responsabilità pubbliche. Possono dirsi «privati» questi dialoghi?
3. Berlusconi dice: «Non ho alcun timore di farmi giudicare. Davanti ai magistrati non sono mai fuggito: i mille magistrati che si sono occupati ossessivamente di me e della mia vita non hanno trovato uno straccio di prova che abbia retto all´esame dei tribunali».
È una menzogna stupefacente che non sia mai fuggito dai magistrati. Il Gran Bugiardo non ha fatto altro che scappare dalle responsabilità di un´avventura umana e imprenditoriale che ha avuto nell´illegalità il suo canone. Nonostante le leggi che si è affatturato per eliminare i reati, cancellare le prove, ridurre i tempi dei processi, allontanare i giudici che non gli piacevano, è stato assolto nei sedici processi che lo hanno visto imputato soltanto in tre occasioni. Altro che nessuno straccio di prova.
4. Berlusconi dice: «Io ho diritto di presentarmi di fronte al mio giudice naturale, che non è la procura di Milano, ma il giudice assegnatomi dalla Costituzione cioè il Tribunale dei ministri. Mi presenterò appena sarà stata ristabilita una situazione di correttezza giudiziaria».
Il Gran Bugiardo sa di mentire anche in questo caso. Sostiene che sempre, in ogni caso, un uomo come lui «unto dal Signore» e al governo del Paese debba essere giudicato dal tribunale dei ministri, qualsiasi cosa faccia. Non è così. L´art. 96 della Costituzione comprende nella categoria dei «reati ministeriali quelli commessi «nell´esercizio delle funzioni». La Carta non prevede singole fattispecie. Individua una circostanza: la connessione tra il reato e le funzioni esercitate dal ministro.
Ora la concussione è un abuso. È di «potere» se chi lo pratica fa leva sulle «potestà funzionali per uno scopo diverso da quello per il quale sia stato investito». Per capire, sarebbe stata una concussione di potere se a telefonare in questura a Milano «consigliando» la liberazione di Ruby fosse stato il ministro dell´Interno. Ma l´abuso può essere anche di «qualità». In questo caso «postula una condotta che, indipendentemente dalla competenze del soggetto (il concussore), si manifesta come una strumentalizzazione della posizione di preminenza ricoperta». È il caso di Berlusconi. Abuso di potere o abuso di qualità presuppongono due competenze diverse. L´abuso di potere di un ministro impone la competenza del tribunale dei ministri. L´abuso di qualità prescrive la competenza del territorio dove è stato commesso il reato.
Finalmente, dopo molti passi falsi, questa differenza l´ha compresa anche Berlusconi. Che per evitare il suo giudice naturale, è in queste ore alle prese con un´altra manipolazione delle prove dopo aver già condizionato le testimonianze delle sue ospiti raccolte durante le indagini difensive, dopo aver (per quanto dice Ruby) promesso cinque milioni di euro per farle tenere la bocca chiusa ed evitargli guai assai seri.
Per sostenere che è intervenuto sul capo di gabinetto della questura di Milano non nella sua «qualità» di capo del governo, ma nelle sue «funzioni» di presidente del Consiglio, deve suggerire che quella notte del 27 maggio non aveva altra preoccupazione che evitare una crisi diplomatica con Hosni Mubarak convinto che Ruby ne fosse la nipote. Per la bisogna, il Gran Bugiardo s´inventa allora che qualche giorno prima ne aveva addirittura parlato con Mubarak (peccato, che lo ricordi soltanto ora). «Per 15 minuti, gli ho chiesto di Ruby, ma Hosni non ricordava di avere una nipote in Italia» dice Pinocchio e annuncia che ci sono anche i testimoni. Il testimone è uno. È R. A, l´interprete italo-arabo a contratto alla Farnesina. Sul capo di quel poverino chi lo sa che cosa si sarà scatenato in queste ore.

La Repubblica 29.01.11

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“Le lupe di Arcore”, di FRANCESCO MERLO

Teme le lupe di Arcore molto più dei giudici, anche perché solo loro hanno visto e valutato quella cosmesi che gli si ferma al collo. Sanno che lì sotto c´è un bosco di rughe e peli bianchi e grinze e pieghe.
«Vecchio e basta» ha detto di lui la Minetti e anche «flaccido» e «mi fa vomitare» e altro ancora. Ed è, con tutta evidenza, un linguaggio di disprezzo più che di rabbia.
Ancora un passo, dunque, e Nicole Minetti diventa la lupa verghiana, quella che allupa e poi sbrana Berlusconi. Questa sboccata madame de Pompadour alla riminese, che sceglieva e “briffava” e “confessava” le favorite per meglio farsi favorire, è la bellezza acciaccata dal risentimento, è la maitresse di Stato che ora vuole «mettergli paura», vuole «fargliela pagare». E, a differenza degli uomini che ogni tanto lo lasciano e finiscono tutti nel ventilatore stercoforo dei vari Sallusti o nella caricatura dei sedotti e abbandonati, le donne che mostrano cipiglio, fascino vero e intelligenza combattiva, diventano le sue vere nemiche temutissime forse perché sono state comprate e mai sedotte, e l´abbandonato è sempre lui.
Sono donne le mine vaganti del berlusconismo. Sono la sua cintura esplosiva: dinamite fatta mammifero. E infatti, prima ancora di comprarne il silenzio a peso d´oro, Berlusconi prova sempre a blandirle pubblicamente come dimostra la famosa telefonata con la quale non voleva tanto insultare Gad Lerner quanto risarcire e rabbonire la Minetti: provava, con affanno, a redimere l´irridente. E basta fare attenzione allo stridore tra le lodi pelose di lui e il dileggio che lei gli aveva riservato per capire che era un messaggio cifrato più che uno schizzo di bile: il rosario delle insolenze alle «cosiddette signore» esaltava il monumento alla Minetti: splendida, competente, studiosa, laureata con lode e con un inglese di madre lingua che permette alla Regione Lombardia di fare una bellissima figura con gli ospiti internazionali…
Del resto Berlusconi tentò la carta della contrizione anche con Veronica. Per averne il perdono scrisse una pubblica lettera d´amore che anche allora era, in realtà, di scuse, e persino si travestì da beduino in un viaggio riparatore nel Maghreb. Già ci aveva in qualche modo provato, pur nella evidente diversità delle situazioni, con Stefania Ariosto. E fatica a spegnere le micce di Mara Carfagna e di Stefania Prestigiacomo che, stecche nel coro, metà dentro e metà fuori, spesso ostentano la nota stonata. Una volta Berlusconi ritardò l´arrivo al vertice Nato di Lisbona: attaccato al telefono, chiuso nell´aereo di Stato sulla pista dell´aeroporto, cercava di convincere Mara a non passare con i finiani, a non lasciarlo – ecco il dettaglio che lo manda in bestia – per Bocchino.
A ben pensarci sino ad oggi c´è pienamente riuscito solo con la virago Santanchè che lo aveva accusato di volere e sapere trattare le donne «unicamente in posizione orizzontale». Ebbene la signora ha ottenuto il padrinato sul Giornale, è sottosegretario, e gli ha persino strappato la pubblica promessa di diventare – parole di Berlusconi – «coordinatrice unica del Pdl, o come diavolo si chiami». La Santanchè, leonessa del berlusconismo morente, si era fatto vanto, letteralmente ed elegantemente, di «non avergliela mai data». Adesso ha dato tutta se stessa, alla causa politica beninteso.
Ma ora c´è la Minetti che lo fa letteralmente impazzire e anche perché un´eventuale, e persino logica intesa dell´imputata con la sua giudice naturale, con la pm Ilda Boccassini, sarebbe per lui l´arma letale, la bomba H, un po´ come, in altri tempi e in altri mondi, solidarizzano Falcone e Buscetta, da un lato la Giustizia e dall´altro la Catarsi che sempre è voglia implacabile di vendicarsi «per quel briciolo di dignità che mi rimane» per quel padre che è rimasto ferito e Berlusconi «è un pezzo di m…» e «quando si cagherà addosso per Ruby…» e insomma «c´è un limite a tutto». Sono questi i sentimenti di invincibile ripugnanza e di rivalsa che rendono la Minetti simile alla Jackie Brown di Tarantino, alla bella hostess che, ostaggio del bieco Ordell e della sua banda, li prende tutti in ostaggio e li distrugge.
Tutti si accorgono già a prima vista che la Minetti è diversa da Ruby, da Iris e dalle altre “ragazze stacchetto”, l´unica che non aveva bisogno di travestirsi da infermiera o poliziotta, da bambola sexy, e quando voleva farlo, come risulta dalle intercettazioni, si vestiva da uomo, faceva la George Sand della situazione, una specie di Calamity Jane. Perché c´è anche questo nel Berlusconi-Satyricon: il social climbing direbbero gli anglofili di Mediaset, l´arrampicamento sociale. Le ragazze di Arcore erano lì per passare di classe come i figuranti dei reality che, dopo essere stati pubblico, vogliono diventare protagonisti e quindi sono disposti a tutti i numeri che già conoscono, che hanno spiato. Dalle intercettazioni risulta che persino certe mamme e certi fratelli erano fieri del “mestieraccio”, purché esercitato ad Arcore.
Ebbene, anche in questo la Minetti è vicina alla liberazione: può decidere il palinsesto, tornare alla decenza, pulirsi del crimine, «io al massimo prendevo le contravvenzioni, ma non arrivavo a commettere reati». Il sogno di farcela come la Carfagna, «come Mara», è diventato un incubo: «Qua la cosa si fa grossa. Sono nella merda seria più di tutti quanti». Ancora un passo e può buttare via anche i segni della rabbia sociale che si porta addosso da quando lasciò la sua Rimini, che è la città dell´allusione al peccato, la città delle donne di Fellini: Grand hotel e tette grandi, i giorni sempre uguali in attesa del transatlantico che ti porti via, «scarto di Romagna e rifiuto delle Marche» diceva Mussolini per segnalarla come estranea a tutto, città che si perde proprio quando si avvicina all´eleganza.
Bella di una bellezza alla Newton, anche alla Minetti manca poco per diventare elegante, via il “tacco 12” per le “ballerine” alla Carlà, meno turpiloquio, basta con i finti fidanzati inventati dal manipolatore di corte Alfonso Signorini: «Vorrei una casa, un matrimonio, dei figli…». Il suo viaggio di riminese nel mondo comincia adesso. Nel film di Tarantino Jackie Brown è Pam Grier, la diva che viene dai filmacci di serie B, la lupa nera che li strazia e li divora e poi parte felice per la Spagna. Ma I´am Long Time Woman non c´è nel repertorio di Apicella: Sono una donna a lungo termine/ And I´m serving my time sto scontando il mio tempo / I forgot my crime / ho dimenticato il mio crimine.

La Repubblica 29.01.11