università | ricerca

Studenti in fuga, Sos Università", di Flavia Amabile

Calo costante nel numero di iscrizioni: in 8 anni perso il 10%. E i migliori scelgono atenei privati. Nemmeno l’Università è più quella di una volta e gli italiani l’hanno capito. Il rapporto presentato ieri dal Comitato Nazionale per la Valutazione del Sistema Universitario mostra la grande fuga degli studenti dalle facoltà. Al decimo posto nel mondo e al quinto in Europa il sistema universitario italiano sembra aver perso appeal negli ultimi anni.

Calano innanzitutto le matricole. Nel 2003 erano stati il 74,5%, oltre 7 su 10, i diplomati che avevano deciso di proseguire gli studi e iscriversi all’università. Nel 2008/2009 – dopo una serie di diminuzioni progressive – siamo al 66%, il 2% in meno rispetto all’anno precedente. E i dati provvisori del 2009/10 registrano ancora un calo: i diplomati che si trasformano in matricole sono il 65,7%. «È cambiato l’atteggiamento culturale delle famiglie – spiega Luigi Biggeri, presidente del Cnvsu -. Una volta si cercava nella laurea la promozione sociale, ora ci si è resi conto che proseguire gli studi nella maggior parte dei casi non permette di fare alcun salto di classe sociale».

E quindi ormai meno di un diciannovenne su due si iscrive all’Università. Negli ultimi anni questo dato è stato in continua diminuzione: se nel 2003-2006 si era ancora intorno al 56%, nel 2007/08 si era già scesi al 50,8%, e nel 2009/2010 siamo al 47,7%. «L’università italiana manifesta pertanto una ridotta capacità di attrarre i diciannovenni, rispetto a quanto accade in molti paesi all’estero», commenta il Comitato.

«È il fallimento di questo modello di università – spiega Biggeri – ma anche del mercato del lavoro e della capacità di creare lavoro da parte delle imprese». Il fallimento è evidente soprattutto se si va a vedere che cosa accade nelle diverse regioni. Dove c’è occupazione i giovani non perdono tempo a iscriversi all’università. «L’Indicatore di proseguimento degli studi dalla scuola superiore all’università presenza infatti differenze non banali tra le varie provincie: i valori più alti si hanno nelle provincie di Teramo, Bologna, Isernia e Rieti – con oltre 80 immatricolati ogni 100 maturi -, mentre i valori più bassi si registrano nelle provincie di Catania, Sondrio e Vercelli – con una percentuale di immatricolati su maturi tra il 40% ed il 50%». In altre parole, a Teramo, Bologna o Isernia – non avendo alternative – ci si iscrive all’università. A Catania, Sondrio e Vercelli, dove un lavoro si trova più facilmente, si preferisce non perdere tempo se non si è convinti di voler proseguire.

La conseguenza è un forte calo dei laureati, scesi a quota 293 mila, il 13% in meno rispetto a otto anni fa quando erano oltre 338 mila. Tutto questo perché è molto alto anche il numero di abbandoni. «Soltanto il 32,8% degli studenti porta a termineun corso di laurea, a fronte di una media Ocse pari al 38%», precisa il Comitato. Nell’anno accademico 2009/2010 c’è un’ulteriore diminuzione di oltre 15mila unità, con un tassi di abbandono (mancate iscrizioni al secondo anno di corso) pari al 16,7%. Insomma, meno uno studente su tre si laurea e quasi quasi 2 su 10 abbandona dopo il primo anno. Cresce anche la quota di «immatricolati inattivi», rispetto all’anno precedente, è arrivata al 13,3%. Ed anche la regolarità degli studi è in diminuzione: ogni dieci studenti iscritti, quattro sono fuori corso, e le facoltà con gli studenti più assidui risultano quelle con prove di selezione all’ingresso e accessi programmati.

La fuga non è però generalizzata, ma riferita soprattutto alle università pubbliche. Altre attirano i più bravi, infatti gli studenti che hanno un voto di maturità superiore a 90 si rivolgono ad università non statali. La Luiss di Roma (con il 68,1%), la Bocconi di Milano (con il 58,0%), il Campus Biomedico di Roma (con il 52,6%) e il San Raffaele di Milano (con il 52,5%). Seguono l’Università della Calabria ed il Politecnico di Bari, con il 40,8%.

Ancora un segnale di allarme arriva dalla cifra sui pensionamenti. Nei prossimi 5 anni si possono stimare oltre 14 mila cessazioni dal servizio del personale docente. A rischio emorragia sono soprattutto le aree scientifiche. Particolarmente critica la situazione nelle aree delle Scienze fisiche, di Ingegneria civile e Architettura dove le uscite dei professori ordinari saranno almeno del 32%. «È impensabile non affrontare quest’uscita con una programmazione adeguata», avverte Biggeri.

La Stampa 27.01.11

******

“Matricole in calo e i più bravi si iscrivono agli atenei privati”, di ALESSANDRA MIGLIOZZI

ROMA – I neo diplomati bocciano il sistema universitario italiano, soprattutto quello statale: gli atenei attraggono sempre meno i ragazzi freschi di maturità che, dove c’è lavoro di qualità, preferiscono un contratto all’iscrizione ad un corso di laurea. In Italia meno di un diciannovenne su due prosegue gli studi dopo il diploma. E chi lo fa, se ha una bella pagella in uscita dalle superiori, punta sugli atenei privati di maggior prestigio per completare il proprio percorso: università come la Luiss e la Bocconi raccolgono le percentuali più alte dei migliori diplomati, quelli che prendono voti dal 90 in su. È la fotografia scattata dall’annuale Rapporto del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario (Cnvsu), che racconta di un sistema accademico in buona salute (siamo quinti in Europa per qualità e decimi al mondo), ma sempre meno attraente per i giovani. Un dato, quest’ultimo, che impone una riflessione agli atenei, in particolare quelli pubblici, bocciati dai migliori studenti. Entro 5 anni, poi, il sistema perderà 14mila professori che andranno in pensione, ma, segnala Luigi Biggeri, presidente Cnvsu, «manca una programmazione dei posti da mettere a concorso per coprire i buchi».
LA FUGA
Nel 2002/2003 il 74,5% dei neo diplomati sceglieva l’università. Nel 2009/2010 sono scesi al 65,7%. In particolare, meno di un 19enne su due (47,7%) nel 2009/2010 ha scelto di proseguire gli studi. Un calo drastico rispetto al 56% del 2006. Dove c’è occupazione, si legge nel Rapporto, i giovani non si immatricolano: l’università non viene percepita come un volano per la propria carriera, meglio partire da un contratto. Gli immatricolati sono scesi a quota 293mila contro gli oltre 338mila di otto anni fa. Un giudizio preciso sulla qualità del sistema accademico emerge poi dai super bravi: chi prende più di 90 alla maturità sceglie università private. Alla Luiss il 68,1% delle neo matricole fa parte della rosa dei diplomati migliori, alla Bocconi sono il 58%. Seguono il Campus Biomedico di Roma (52,6%), il San Raffaele di Milano (52,5%). Un giudizio che, forse, vale più di qualunque classifica.
L’ABBANDONO
Gli abbandoni fra il primo e il secondo anno calano dal 17,5% al 16,7%, ma il 40% degli studenti è fuoricorso. La regolarità è in diminuzione, la situazione è migliore solo nelle facoltà a numero chiuso. I laureati sono scesi, nel 2009, sotto la soglia dei 300mila. Da soli quelli triennali sono diminuiti di 2mila unità. In calo anche i dottori precoci, che si laureano prima del previsto, ma la gran parte si concentra ancora in modo anomalo in alcune università telematiche.
BORSE DIMEZZATE
L’università attrae poco, forse, anche perché per chi non ha i mezzi frequentarla può essere difficile: nel 2010 sono stati dimezzati i fondi per le borse di studio, calati del 60%. Solo l’81% degli idonei riceve il sussidio e solo il 22% di chi ha una borsa ha accesso ad alloggi universitari.
PROF OVER 60
Il corpo accademico invecchia a vista d’occhio: gli ordinari over 60 sono il 50%. La loro età media è passata dai 58 anni del 1998 ai 63 del 2010. Fra gli associati solo il 5% ha meno di 41 anni. Invecchiano anche i ricercatori. Aumenta la quota di donne: sono il 20% degli ordinari e il 45% di chi fa ricerca. L’età media elevata spiega il fatto che nei prossimi 5 anni andranno in pensione oltre 14mila docenti. Per facoltà come Architettura e Ingegneria Civile è allarme: uscirà il 32% dei prof ordinari. «Vanno riprogrammati gli accessi – sottolinea il presidente Biggeri – o si rischiano emorragie di docenti in determinate aree di studio». C’è poi il caso dei ricercatori in fuga dall’università: tra il 2000 e il 2010 il 50% di quelli che sono usciti dal sistema sono stati dimissionari, hanno scelto di fare altro, soprattutto fra i più giovani, gli under 45.

Il Messaggero 27.01.11