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"Tutte le donnine del capo: così l’Italia è tornata a «Drive In»", di Luigi Manconi

«Loro tre e 28 ragazze. Tutte ragazze che poi alla fine erano senza reggipetto e con solo le mutandine strette». Così Carlo Ferrigno ex prefetto di Napoli a proposito di una serata nella Villa di Arcore.
Sociologicamente parlando. Chiunque abbia frequentato quell’autentico “romanzo di formazione”, che è stato per molti Drive In (1983-1988), con la sua estetica esuberante e scollacciata, procace e onanista, riconoscerà nella descrizione dell’ex prefetto un’autentica “scena madre”. O meglio: una vera e propria “scena primaria”, nell’accezione freudiana di evento psichico originario.
Quelle ragazze “solo con le mutandine strette” sono la perfetta riproduzione della fantasia erotica offerta da Italia 1 (ci pensate: quasi trent’anni fa) agli italiani famelici di spensieratezza e di sesso. Per un verso, fa un po’ impressione che quella rappresentazione abbia richiesto quasi tre decenni per togliersi “il reggipetto” e diventare – pressoché inalterato nelle forme, più esile nelle misure: non più 90 60 90 – bene di consumo, certamente ancora elitario, e materia di chiacchiericcio telefonico; per altro verso, colpisce la capacità di Berlusconi di rispondere puntualmente ai desideri di un senso comune infoiato (maschile e adulto), attraverso un prodotto televisivo e, infine, la sua incarnazione come remunerazione e benefit per i propri famigli e clientes. Qui sta, sociologicamente parlando, il capolavoro “culturale” di Berlusconi: ha fatto della propria personale dimensione onirico-libidica un format mediatico, consapevole che le proprie fantasie fossero le fantasie “degli italiani”, interpretandone e al tempo stesso plasmandone il gusto. Trasferendolo dalla sfera della propria immaginazione a quella della rappresentazione sociale fino a quella della rappresentanza politica. E ritorno. Non a caso, le “28 ragazze” oggi sono quelle (approssimativamente) di Colorado Cafè, una sottospecie di Drive In; ma sono anche quelle sparse qua e là, in alcune istituzioni rappresentative.
Dunque, non è giusto ironizzare troppo sui contorni di quell’immaginario erotico berlusconiano. Un conto è criticarlo e rifiutarne la sua traduzione in strumento di consenso e strategia di governo (anche in senso proprio); un conto ben diverso è osservarlo con sufficienza o snobbismo. Insomma, alla fine, tutti gli immaginari erotici si equivalgono: surrogato o sublimazione o risorsa della vitalità sessuale. Da questo punto di vista, l’operazione di Berlusconi non ha nulla a che fare – come ha spiegato Marco Pannella – con la elezione di Ilona Staller detta “Cicciolina” al Parlamento (grazie alle preferenze ottenute e non a un listino bloccato), nel 1987. La distanza tra quest’ultima e alcune “nominate” dal Premier in assemblee elettive è incommensurabile.
Cicciolina era l’esatto contrario: e non solo perché la sua innocenza e il suo disinteresse appaiono, nel confronto, addirittura virginali, ma proprio perché il suo segno simbolico era tutt’affatto diverso. Il rapporto di Ilona Staller col proprio corpo era di tipo, per così dire, liberista e libertario e, non a caso,un punto qualificante del suo programma politico era la legalizzazione (riconoscimento e tassazione) della prostituzione.
E invece, nello scenario attuale, la prostituzione si consuma, quando si consuma, all’interno di una regressione autoritaria e illiberale, bacchettona e giustizialista del quadro normativo, voluta dallo stesso Berlusconi. Tanto più restrittiva e tetra, quella normativa, quanto più, poi, trova “sfogo” nell’attività di meretricio all’interno della dimensione privata. D’altra parte, l’elezione di Ilona Staller costituiva un oltraggioso sberleffo, voluto innanzitutto dai suoi elettori, nei confronti della concezione beghina e reazionaria della sessualità, dominante in Parlamento all’epoca. Oggi, la presenza di alcune figure femminili nelle istituzioni sembra rappresentare, invece, una sorta di appagamento- realizzazione di una concezione meschina del rapporto uomo-donna, se non egemone, certamente assai diffusa. Si potrebbe dire: niente più che la solita maleodorante ipocrisia. Certo, c’è anche questa, ma c’è soprattutto la corriva corrispondenza dello stile di vita di parte del ceto politico a quel “realismo teologico” sempre coltivato da significativi settori delle gerarchie ecclesiastiche. Come ha ricordato proprio ieri
Vittorio Messori, che quelle gerarchie ben conosce, nella Chiesa Cattolica
c’è sempre chi apprezza “un politico puttaniere ma che faccia buone leggi”. Che so? sull’esenzione dell’Ici per gli immobili del Vaticano.

L’Unità 20.01.11